Sermone: Quando è “tra poco”?

I miei figli sono in un periodo in cui non vogliono stare da soli. Forse sentono il grande cambiamento del trasloco che verrà, non lo so, ma in ogni caso lo esprimono piangendo quando io o mio marito ci allontaniamo. L’altra settimana avevo Geneviève in macchina mentre dovevo fare benzina. Dopo si deve pagare, una bimba di quasi sei anni dovrebbe saperlo. Entro nel gabbiotto del benzinaio, 10 metri lontano dalla macchina e ad un certo punto sento un urlo che spacca i vetri. Corro alla macchina e c’è Geneviève che trema e piange e urla: Mamma non andare via! – Era talmente assurdo questo comportamento da parte di una bambina abbastanza grande che non ho avuto molta compassione!

Perché vi racconto questo? Perché nel nostro testo biblico di oggi, i discepoli di Gesù domandano come dei bambini che cosa intenda dire Gesù quando afferma che tornerà “tra poco”.

Vi leggo dal vangelo di Giovanni capitolo 16 i versetti 16-23a. Gesù disse ai suoi discepoli:

16 «Tra poco non mi vedrete più; e tra un altro poco mi vedrete perché vado al Padre».  17 Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra di loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Tra poco non mi vedrete più”; e: “Tra un altro poco mi vedrete”; e: “Perché vado al Padre”?»  18 Dicevano dunque: «Che cos’è questo “tra poco” che egli dice? Noi non sappiamo quello che egli voglia dire».  19 Gesù comprese che volevano interrogarlo, e disse loro: «Voi vi domandate l’un l’altro che cosa significano quelle mie parole: “Tra poco non mi vedrete più”, e: “Tra un altro poco mi vedrete”?  20 In verità, in verità vi dico che voi piangerete e farete cordoglio, e il mondo si rallegrerà. Sarete rattristati, ma la vostra tristezza sarà cambiata in gioia.  21 La donna, quando partorisce, prova dolore, perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’angoscia per la gioia che sia venuta al mondo una creatura umana.  22 Così anche voi siete ora nel dolore; ma io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi toglierà la vostra gioia.  23 In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda.

A prima vista possiamo dire: i discepoli non potevano saperlo, per questo chiedono a Gesù che cosa vuol dire “tra un po’’. Noi oggi sappiamo come la storia è andata avanti. Sappiamo che cos’è successo il venerdì santo, ma anche la domenica di pasqua. I discepoli sono rimasti da soli per tre giorni e poi leggiamo di nuovo che Gesù era con loro.

Ma la storia va avanti. Sappiamo anche che Gesù non rimane per sempre con i suoi discepoli ma nuovamente solo per un po’ e poi c’è l’ascensione che festeggeremmo fra due settimane e mezzo. L’ascensione è una festa che ci ricorda che Cristo lascia già di nuovo i suoi da soli, e questa volta è un addio per un tempo più lungo. Questa volta non è un addio doloroso, non è la risposta a un’azione brutale da parte degli uomini, ma è una libera scelta. È ora per lui di andare. Vale anche adesso la parola del ‘tra poco’?

I primi cristiani erano certi di vedere il ritorno di Gesù ancora durante la loro vita. Addirittura l’apostolo Paolo pensava che non valesse più la pena di sposarsi e fare figli, dal momento che Gesù sarebbe ritornato così presto. E Giovanni che ha scritto il testo che abbiamo letto, viveva in un’epoca nella quale né lui, né la comunità per la quale scriveva, aveva più conosciuto Gesù di persona. Erano nella stessa situazione di noi oggi.

Così pongo di nuovo la domanda: quando è tra poco?

Prima del loro compleanno i bimbi chiedono: quando è il grande giorno, quando c’è la festa? E la risposta standard è: non dura più a lungo. Lo sappiamo benissimo che per un bambino qualche giorno può essere molto lungo. Questa risposta non è soddisfacente per un bambino. I bimbi – e se siamo proprio sinceri anche gli adulti – non hanno tanta pazienza quando vogliono avere qualcosa o quando attendono una data speciale.

Gesù paragona il tempo di attesa con un parto. Mi ricordo abbastanza le ore del primo parto, e non solo io, forse William ancora più di me. Erano 17 ore dure, ore di stanchezza e di dolore che non auguro a nessuno. Ma alla fine l’unica immagine che mi è proprio rimasta, sono gli occhi di questo piccolo ometto che stava sdraiato sulla mia pancia e mi guardava con occhi grandi.

Non vorrei sembrare cinica, ma penso che servano questi periodi di dolore per raggiungere qualcosa di nuovo. Serve l’ansia e l’impegno prima della maturità se voglio avere la gioia di avere il mio diploma in mano. Serve il dolore e la forza di volontà se voglio correre una volta una maratona. O se guardo i bambini: servono tante cadute e ginocchia bollate prima di poter camminare. Serve la voglia di tirarsi di nuovo su, anche dopo l’ennesima caduta.

Ma non voglio cantare qui la lode del dolore e delle ansie. Proprio oggi in tempi nei quali non facciamo più vedere pubblicamente i nostri sentimenti, dobbiamo dire: va anche bene essere triste. Quando una persona amata se ne va, è normale essere infelici. E questo dolore non passa da oggi a domani. Ci vuole tempo, ci vogliono lacrime, ci vuole la tristezza. Questo vale per noi oggi come valeva per i discepoli di Gesù. Serviva il periodo dell’addio.

Questa domenica si chiama nell’anno liturgico ‘Jubilate’. Spesso si sente poco giubilare nelle nostre chiese – devo precisare nelle nostre chiese italiane, perché proprio in quest’aspetto direi che noi europei possiamo imparare qualcosa della gioia che altre culture riescono ad esprimere anche durante un culto. Però anche da loro succede che la gioia finisca dopo il culto e non riesca a vincere la quotidianità.

Direi che abbiamo oggi tante cose che ci fanno gioire: è bello poter celebrare questo culto insieme. Non è un motivo sufficiente per giubilare?

A Pasqua ci siamo detti gli uni agli altri: Il Signore è risorto. È davvero risorto. – Non tutti possono rispondere con gioia. Ci sono persone che cantano ‘Alleluia’ perché si fa così. Portano parole pie in bocca ma le parole non si rispecchiano nella loro vita. E quando qualcuno osa chiedere qualcosa, si risponde che in chiesa non si pongono delle domande. I bambini e i ragazzi hanno da imparare ciò che dicono gli adulti e niente di più. – Io devo dire che mi rallegro di ogni persona che viene qui con delle domande. Sono contenta quando qualcuno mi chiede dopo un culto: ‘ma come intendi questa cosa che hai detto nella predica’ , o anche qualcuno che ammette ‘questo non lo posso credere, perché lo credi tu?’.

Gesù dice In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda. Quando egli ritornerà, le nostre domande troveranno risposta. In quel giorno quando lo vedremo faccia a faccia gli indovinelli si scioglieranno. Questo giorno non c’è ancora, ma le domande talvolta tacciono già oggi.

Questo periodo muto che stiamo vivendo non è un segno di grande pazienza, ma piuttosto un segno d’indifferenza o di una pietà malintesa. Quando non siamo più in grado di porre delle domande alla nostra fede è la cosa peggiore che può succedere alle nostre anime.

Gesù trova nel testo che abbiamo letto delle parole per confortare i tristi, ci dà la speranza di una grandissima gioia e ci chiede di avere pazienza. Tutto questo sono emozioni. Solo chi può essere triste, può anche gioire veramente, solo chi è in grado di porre delle domande profonde può anche riconoscere delle risposte che sono all’altezza.

Se invece neghiamo queste domande, questa tristezza, questo turbamento della fede neghiamo anche la possibilità di vera gioia. L’indifferenza o una pietà malintesa si mettono come il mal bianco sui boccioli in primavera. Sapete che cos`è? È una malattia delle piante che quando colpisce distrugge tutto: una pianta colpita da questa malattia perde prima le foglie, poi qualche rametto e ramo fino a quando muoiono le radici. Niente si può più sviluppare, né tristezza, né gioia, tutto diventa grigio. – Questo succede anche alla nostra fede se non la mettiamo continuamente in questione.

Non dura più a lungo e tutte le vostre domande troveranno risposta, ci dice Gesù. Che cosa vuol dire avere pazienza dopo un periodo di attesa di quasi duemila anni? Quanto lungo sarà questo ‘tra poco’?

Gesù ha anche detto Dimorate in me, e io dimorerò in voi.(Giov 15,4) Questo è decisivo per tenere viva la nostra speranza. È normale avere periodi nella vita nei quali chiediamo ‘Gesù dove sei? Perché non ti sento? Sei proprio verità?’ Talvolta succede a noi com’è successo ai discepoli che siamo tristi e non possiamo credere, ma se cerchiamo di stare vicino a Gesù, ci saranno anche i periodi nei quali possiamo vivere una vera grande gioia, possiamo percepire lo Spirito Santo e sentirci già oggi in paradiso insieme con Gesù.

Ma dobbiamo per forza tenere vive le nostre domande, se no, non sentiremo né tristezza, né gioia. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente (Mt 28,20) queste sono le ultime parole di Gesù prima della sua ascensione. Tutti i giorni – vuol dire ieri, oggi e domani, sono i giorni tristi e i giorni di giubilo. Gesù è con noi e questo ci può fare gioire.

Amen

Ulrike Jourdan