Sermone: La dolcezza di Dio
Il nome di questa domenica è ‘Cantate’, però quando ho preparato la predicazione di oggi avevo l’impressione di non trovare in me la forza di cantare. Conoscete forse questo sentimento quando addirittura un canto è troppo pesante e se si cerca di sforzarlo, diventa comunque stonato e poco gioioso. Penso che esistano in ogni vita e anche nella vita di una comunità dei tempi nei quali riusciamo solo con grande fatica ad aprire la bocca per cantare.
E così sono arrivata a un testo biblico che non è previsto per oggi, ma che è riuscito a parlare. È il racconto di qualcuno che ha lavorato tanto, ha faticato e messo tutto il suo essere dentro a questo lavoro e ora si sente in qualche modo fallito, senza forza, senza prospettiva.
Si tratta di un racconto dall’Antico Testamento. Un pezzo della storia del profeta Elia che dopo un grande inizio arriva a un punto nella sua vita nel quale in buona sostanza non vorrebbe più muoversi.
Leggo dal primo libro dei Re, 19,1-13a
Acab raccontò a Izebel tutto quello che Elia aveva fatto, e come aveva ucciso con la spada tutti i profeti. 2 Allora Izebel mandò un messaggero a Elia per dirgli: «Gli dèi mi trattino con tutto il loro rigore, se domani a quest’ora non farò della vita tua quel che tu hai fatto della vita di ognuno di quelli». 3 Elia, vedendo questo, si alzò, e se ne andò per salvarsi la vita; giunse a Beer-Seba, che appartiene a Giuda, e vi lasciò il suo servo; 4 ma egli s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino, andò a mettersi seduto sotto una ginestra, ed espresse il desiderio di morire, dicendo: «Basta! Prendi la mia vita, o SIGNORE, poiché io non valgo più dei miei padri!» 5 Poi si coricò, e si addormentò sotto la ginestra. Allora un angelo lo toccò, e gli disse: «Àlzatie mangia». 6 Egli guardò, e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre calde, e una brocca d’acqua. Egli mangiò e bevve, poi si coricò di nuovo. 7 L’angelo del SIGNORE tornò una seconda volta, lo toccò, e disse: «Àlzatie mangia, perché il cammino è troppo lungo per te». 8 Egli si alzò, mangiò e bevve; e per la forza che quel cibo gli aveva dato, camminò quaranta giorni e quaranta notti fino a Oreb, il monte di Dio. 9 Lassù entrò in una spelonca, e vi passò la notte. E gli fu rivolta la parola del SIGNORE, in questi termini: «Che fai qui, Elia?» 10 Egli rispose: «Io sono stato mosso da una grande gelosia per il SIGNORE, per il Dio degli eserciti, perché i figli d’Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari, e hanno ucciso con la spada i tuoi profeti; sono rimasto io solo, e cercano di togliermi la vita». 11 Dio gli disse: «Va’fuori e fèrmati sul monte, davanti al SIGNORE». E il SIGNORE passò. Un vento forte, impetuoso, schiantava i monti e spezzava le rocce davanti al SIGNORE, ma il SIGNORE non era nel vento. E, dopo il vento, un terremoto; ma il SIGNORE non era nel terremoto. 12 E, dopo il terremoto, un fuoco; ma il SIGNORE non era nel fuoco. E, dopo il fuoco, un suono dolce e sommesso. 13 Quando Elia lo udì, si coprì la faccia con il mantello, andò fuori, e si fermò all’ingresso della spelonca;
Basta ora. Non ne posso più. Ho fallito. Non vedo un futuro. Forse Elia porta pensieri di questo tipo con sé quando si rifugia nel deserto. Non dobbiamo dimenticare che ha comunque un grande passato alle sue spalle. Ha partecipato al grande scontro tra i profeti di Baal e il Dio d’Isarele. Si era preparato un grande olocausto sul quale era stato messo un toro macellato. I sacerdoti di Baal pregavano il loro Dio, cantando e ballando, affinché accendesse il fuoco. Urlavano dalla mattina alla sera in estasi, ma Baal non mandava nessun fuoco. Dopo questa scena Elia fece costruire un altare per Dio fatto da dodici pietre. Metteva sopra della legna e vi faceva mettere il toro macellato. Però aggiungeva anche vari secchi d’acqua per bagnare la legna. E dopo bastava una singola preghiera: SIGNORE, Dio d’Abraamo, d’Isacco e d’Israele, fa’che oggi si conosca che tu sei Dio in Israele (1Re 18,36)
Allora piombò il fuoco del SIGNORE, e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la polvere, e prosciugò l’acqua che era nel fosso. Tutto il popolo, veduto ciò, si gettò con la faccia a terra, e disse: «Il SIGNORE è Dio! Il SIGNORE è Dio!» (1 Re 18,38f)
È un racconto spettacolare. È un segno grandissimo per tutto il popolo d’Israele. È il culmine nella storia di Elia. Ma tutto ciò gli porta solo problemi.
Elia ha dato tutto. Si è buttato nel suo compito con tutto il suo essere. Ha avuto grandissimo successo, ha visto un miracolo più grande di quanto potesse aspettarlo e ora cade in basso. Viene perseguitato a causa del suo successo, deve fuggire e durante questa fuga perde ogni fiducia in Dio.
Si rifugia nel deserto. C’è il deserto fuori e dentro di lui. Non trova più forza, zelo, più niente dentro di sé. E anche attorno a sé non c’è più nessuno che potrebbe aiutarlo.
Conoscete questo sentimento di sentirvi come in un deserto? Avete talvolta l’impressione che la vostra vita si perda nelle vostre mani come la sabbia. Conoscete l’impressione che tutto ciò che è colorato diventa diafano, in pratica del colore della sabbia? Conoscete quei tempi nei quali sembra che si debba combattere ogni giorno di nuovo? Potete ancora ricordarvi che cosa aiuta a sopravvivere nel deserto della vita?
Elia riceve nel bel mezzo del deserto tutto ciò di cui ha bisogno per vivere: contatto, conforto, cibo e acqua. Ed Elia fa ciò che solo apparentemente sembra ovvio, cioè accetta il dono. Elia si fa alimentare e dare forza. Non è così scontato come sembra. Conosco persone che hanno talmente interiorizzato di poter vivere senza l’aiuto di altri, che anche nel momento del bisogno non riescono ad accettare un aiuto. Sembra che cerchino almeno di tenere l’ultimo pezzettino di autostima. – Elia ha messo da parte questo orgoglio malsano. Elia accetta l’aiuto divino.
Solo dopo riceve un mandato. Àlzati e mangia, perché il cammino è troppo lungo per te. Dio ha un piano per Elia e per compiere questo dev’essere abbastanza forte. Elia deve camminare fino al monte del Signore. Sarà un cammino di quaranta giorni e quaranta notti. Quel numero è sicuramente un simbolo. Quaranta è una vita. Il popolo d’Israele è stato per 40 anni nel deserto. Gesù è stato per 40 giorni nel deserto ed è stato soggetto alla tentazione. Elia deve attraversare tutto il deserto della sua vita.
Però con questo mandato si mette di nuovo in movimento. Ha finalmente una meta. Inizia a muoversi. Egli cammina e il movimento cambia. Funziona. Quando qualcuno mi parla di un problema che sembra non avere nessuna via d’uscita propongo spesso di fare due passi. Non ho idea come funzioni, ma quando si muovono le gambe, anche il cervello si muove diversamente e si trovano delle soluzioni che sembravano non esistere finché eravamo seduti. Provatelo!
Da Elia funziona. Con ogni chilometro attraverso il deserto, si muove anche qualcosa nel suo intimo.
Com’è da voi? Che cosa portate con voi, che avrebbe bisogno di essere mosso una volta? Quali pensieri e sentimenti avete che non sono ancora in ordine? Portate delle preoccupazioni e ansie con voi che sono solo peso morto e inutile e dovrebbero essere messe da parte?
Immaginatevi di dover attraversare il deserto della vostra vita, immaginatevi di dover attraversare il deserto di questa chiesa. Che cosa succederebbe?
Elia si fa purificare durante il cammino e arriva al monte di Dio. Lì dorme in una spelonca.
Quella caverna è un luogo di protezione per Elia dopo la sua lunga camminata. Avete anche voi questi luoghi di protezione? Abbiamo noi come comunità un luogo dove ci sentiamo sicuri e protetti? Un luogo che ci permette di aprirci anche alle esperienze spirituali? Avete l’impressione che la nostra chiesa sia un luogo del genere?
Elia incontra Dio nella spelonca. Dio gli chiede che cosa sia successo ed Elia riflette sul suo cammino. Elia riflette sul deserto della sua vita, su tutto ciò che è triste e pesante e che comunque doveva attraversare per arrivare alla presenza di Dio.
Durante questo colloquio Elia riceve la promessa di incontrare Dio di persona. In seguito si manifestano dei fenomeni naturali. C’è una tempesta, un terremoto, s’incendia un fuoco però tutto ciò non è un segno della presenza di Dio. Solamente nel suono dolce e sommesso di un venticello Elia incontra Dio. – Me lo immagino come una leggera brezza al mare, quando hai l’impressione che il vento caldo ti accarezzi la pelle. Dio parla in suoni dolci. Elia non lo sente, però lo percepisce. Elia può farsi accarezzare da Dio dopo quel lungo periodo nel deserto, accetta di lasciarsi viziare e coccolare.
Forse serviva il lungo tempo nel deserto per preparare Elia a quest’incontro. Forse solo durante il suo cammino nel deserto Elia si è disposto a sentire anche i suoni leggeri e fievoli nella vita. Forse serviva a Elia, dopo il suo grandioso passato, e dopo aver visto la forza e potenza di Dio, un tempo di deserto per poter cogliere anche la dolcezza divina.
La domenica di oggi si chiama ‘Cantate’. Se cerchiamo di interpretare la storia di Elia sotto questo punto di vista potremmo dire che egli ha sentito l’orchestra piena di Dio, con organo, trombe e tamburi sul monte Carmelo. Quindi l’orchestra ha fatto una lunga pausa e solo dopo la musica ha ripreso, però con toni ben diversi. Forse con un flauto dolce o un violino.
In ogni partitura musicale servono le pause. – Potremmo anche dire: in ogni vita serve il deserto.
Elia non ha cercato il deserto. Sembra quasi che il deserto abbia cercato Elia, questo sarà anche da noi talvolta così. Anche noi non ci cerchiamo il deserto, ma lo incontriamo. Talvolta dobbiamo attraversarlo, però se lo incontriamo possiamo avere la speranza di incontrare dopo una realtà ben diversa. La musica dolce del nostro Dio. Amen
Ulrike Jourdan