Sermone: CANTICO DI ZACCARIA – 1^ DOMENICA D’AVVENTO
Luca 1,68-79
Preparando il culto per questa prima domenica di Avvento il mio pensiero è andato prepotentemente ad un amico molto caro che avevo. Era uno stimatissimo primario di neuropsichiatria nella capitale, esponente politico e uomo di grande cultura. Nonostante tutto ciò era anche uomo che sapeva relazionarsi con estrema semplicità con chiunque, infatti ancor oggi so per certo che molte persone, di qualsiasi levatura, come me piangono la sua repentina e prematura morte.
Con lui ho passato ore al telefono, nel cuore della notte quando finalmente si fa silenzio. Parlavamo di tutto con “Nik il sognatore” (così lo chiamavo e gli piaceva il nomignolo che gli avevo appioppato), e molto spesso il nostro confronto verteva sul fatto che lui era agnostico ed io credente. Gli piaceva stuzzicarmi chiedendomi come mai una persona come me, con i piedi piantati per terra, possa credere in ciò che non vede.
Proprio con lui ho parlato a lungo l’anno scorso sul significato dell’Avvento, spiegandogli il significato delle quattro candele della corona, della quale oggi abbiamo acceso il primo cero, quello detto anche “del profeta” (gli altri simboleggiano “Betlemme”, “i Pastori”, “gli Angeli”).
Ebbene, oggi la nostra candela ci ricorda i profeti, coloro che parlavano alle genti e parlavano predicendo eventi futuri ispirati da un’entità superiore.
Non erano certo singolari nel mondo antico coloro che venivano interpellati per cercare di conoscere il futuro e questo non solo nella storia del popolo ebraico.
Ma noi siamo “il popolo del Libro”, siamo coloro che, forti della conoscenza degli eventi successivi, riconoscono negli scritti profetici l’annuncio della venuta del nostro Signore, di Colui che ha riscattato l’umanità, Colui che ha confermato la sua immensa misericordia nonostante le infedeltà umane, Colui che ci ha riscattati dal peccato donandoci gratuitamente il perdono.
Nei nostri studi e nelle nostre letture abbiamo certo frequentato i libri profetici dell’antico testamento, ma allora perché oggi, parlando di profeti ho scelto il passo di Luca 1,68-79 chiamato il “Cantico di Zaccaria” in cui leggiamo:
«Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele, perché ha visitato e riscattato il suo popolo, e ci ha suscitato un potente Salvatore nella casa di Davide suo servo, come aveva promesso da tempo per bocca dei suoi profeti; uno che ci salverà dai nostri nemici e dalle mani di tutti quelli che ci odiano. Egli usa così misericordia verso i nostri padri e si ricorda del suo santo patto,del giuramento che fece ad Abraamo nostro padre, di concederci che, liberati dalla mano dei nostri nemici, lo serviamo senza paura, in santità e giustizia, alla sua presenza, tutti i giorni della nostra vita. E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo, perché andrai davanti al Signore per preparare le sue vie, per dare al suo popolo conoscenza della salvezzamediante il perdono dei loro peccati, grazie ai sentimenti di misericordia del nostro Dio; per i quali l’Aurora dall’alto ci visiterà per risplendere su quelli che giacciono in tenebre e in ombra di morte, per guidare i nostri passi verso la via della pace».
Questo Zaccaria non è certo lo stesso che compare come profeta nell’Antico Testamento, ma è il padre di Giovanni il Battista.
Luca ci dice che Maria ha ricevuto l’annuncio dell’angelo, il quale, tra l’altro, le ha anche detto che Elisabetta, sua parente, è rimasta incinta nonostante l’età avanzata. Maria si reca a casa di Elisabetta e Zaccaria e nel salutarla ci viene detto che Elisabetta, riempita di Spirito Santo, riconosce in lei colei che metterà al mondo il suo Signore.
Il passo che abbiamo letto, il cantico di Zaccaria, viene declamato dopo la nascita di Giovanni, quando il bambino viene circonciso.
Luca dice che “Zaccaria … fu pieno di Spirito Santo e profetizzò” dicendo le parole che abbiamo letto. Ma allora, forse che le sue parole si riferivano al figlio Giovanni? Non credo, perché già Elisabetta (piena di Spirito Santo) aveva salutato Maria come abbiamo detto e, dopo Zaccaria, anche il figlio Giovanni profetizzava sulla venuta di uno a cui lui non sarebbe stato degno nemmeno di legare i calzari.
Ecco allora che anche questo Zaccaria è profeta, cioè, ispirato da Dio, annuncia la realizzazione della promessa antica sulla venuta di un potente Salvatore, segno della grande misericordia del Signore che non si dimentica del suo santo patto e che è venuto per preparare le vie dell’Eterno e per annunciare al popolo la salvezza mediante il perdono dei peccati.
È vero, tutto ciò potrebbe essere una bella favola. Certamente questo scritto è frutto di tradizioni orali e di interpretazioni. È vero che gli scritti profetici (compreso il passo che stiamo commentando) non ci danno la prova dell’esistenza di Dio, perché NON C’È ALCUNA PROVA DELL’ESISTENZA DI DIO.
In questo il mio amico “Nik il sognatore”, da uomo di scienza, aveva perfettamente ragione, ma noi sappiamo che di fede si tratta e non di scienza.
Le nostre storie personali, il nostro scoprire la presenza di Dio nella nostra vita, il nostro credere che Gesù è il figlio di Dio, venuto in fattezze umane sulla terra per riscattarci dal peccato, hanno origine molto diverse.
Il nostro percepire la presenza del Signore nella nostra vita personale non ci deriva certo da un contatto telefonico dell’Altissimo, né tantomeno dal riconoscere la Sua presenza in un roveto ardente nel deserto. Ciascuno di noi, ciascuno dei credenti, ha una storia individuale che l’ha portato a credere senza vedere, senza avere alcuna prova tangibile. Tutto vero, ma è vero anche che, almeno alcuni, hanno sentito e continuano a sentire la presenza di Dio nella propria vita e vivono nell’attesa che i tempi si compiano e che si realizzi quanto oggi si crede per fede, una smisurata fiducia che ci fa elevare il cuore al cielo, senza accontentarci della sola dimensione razionale e orizzontale.
Una volta il mio amico mi ha chiesto: “E se poi un giorno ti accorgerai che era tutta una sovrastruttura culturale e non trovi nessuno che ti accolga in quello che chiami il Regno?”
La mia risposta è stata così repentina da stupire anche me stessa: “Nik, io non ci perdo nulla se non troverò niente, tanto, se così fosse, io non ci sarò perché tutto finirebbe con la morte. Ma se invece fosse vero? Se invece fossi tu quello che si sbaglia e trova la realizzazione di quella che io chiamo la Promessa?”
Sto facendo questo discorso in una chiesa, quindi, almeno in linea teorica, sto parlando con dei credenti, ma credo che sia utile lo stesso, perché spesso nella tradizione di proclamarsi credenti molti di noi non si chiedono se la presenza di Dio nella propria vita è veramente percepita. Molto spesso la nostra fede non viene sufficientemente analizzata e ravvivata ed è così che rischiamo di relegare il nostro sentire, il nostro credere in una dimensione tiepida, dove privilegiamo il fare, per buono che sia, dove la fede viene vissuta in maniera intimistica per timore di essere magari derisi, dove la preghiera non trova spazio, dove scarseggia la fiducia che Qualcuno ha già disegni per noi, anche se il più delle volte non li comprendiamo.
Accade così che il nostro spirito giaccia di fatto nelle tenebre e non ce ne accorgiamo, non ci accorgiamo nemmeno di aver bisogno dell’Aurora che le venga a dissipare.
Io da questo pulpito non ho certo ricette da dare, se non quella di riflettere e tornare col pensiero ai momenti in cui abbiamo sentito la presenza di Dio nella nostra vita, ai momenti in cui, con sicurezza e fiducia ci siamo detti: “Dio c’è e io sono suo figlio, sua figlia”.
La nostra mente è quotidianamente travolta da cose da fare, da notizie che ci addolorano, come da eventi che ci danno gioia, da avvenimenti dei quali non comprendiamo la logica e la giustizia, ma non possiamo accettare che queste dimensioni orizzontali offuschino la grande luce che un giorno ci ha illuminati.
E per tornare alla figura del profeta, permettetemi di aggiungere che, con estremo rispetto per i profeti “canonici”, come possiamo considerare Zaccaria un profeta, siamo anche noi chiamati ad essere profeti nel nostro piccolo, affermando la nostra fede e proclamando il Regno che viene. Siamo anche noi chiamati ad essere luce nel mondo.
Ma non possiamo dare luce se non l’abbiamo, per cui ravviviamo questa luce con la preghiera e con la frequentazione assidua della Bibbia, senza mai dimenticarci che facciamo parte di una chiesa riformata, nella quale la diaconia riveste una parte importante nel realizzare la fratellanza, ma nella quale proclamiamo anche il sacerdozio universale, in forza del quale ciascuno è impegnato a proclamare l’evangelo, ciascuno può essere “profeta”.
Oggi inizia il periodo dell’Avvento, dell’attesa. Dovrebbe essere un periodo in cui aspettiamo il Natale non certo per le luci, la festa e i doni, ma un tempo in cui viene stimolato il ricordo dell’attesa di colui che i profeti biblici avevano annunciato. Dovrebbe essere un periodo in cui spiritualmente noi stessi ci incamminiamo verso Betlemme con umiltà per accogliere un bimbo nato per noi, per la nostra salvezza e per donarci il perdono nel nome del Padre.
E se così facendo scoprissimo che in realtà non siamo credenti, se scoprissimo che la nostra dimensione è puramente orizzontale e non proiettata verso Dio incarnato in Gesù Cristo e che ci ha dato il dono dello Spirito Santo, coerenza vuole che non ci definiamo cristiani, perché anche fra coloro che si definiscono agnostici ci sono persone di grande spessore morale ed etico.
AMEN
Liviana Maggiore