Sermone: Il messaggero di buone notizie

Mercoledì scorso si sono riuniti i leader d’Europa a Bruxelles ed è successo ciò che nessuno aveva previsto per quella seduta. Era venuto a Bruxelles il sindaco di Aleppo, senza speranza di poter entrare nella sala blindata dove s’incontra il potere. Lui aveva previsto di partecipare alla manifestazione davanti all’ingresso dell’edificio, voleva gridare la sua rabbia e disperazione e poi – chiamatelo come volete: il caso, la provvidenza, la mano di Dio – è stato invitato ad entrare per parlare davanti a tutti i presidenti e cancellieri d’Europa. Ha raccontato della sua città, dove sono intrappolati più di 50.000 civili che attendono il massacro. Quel sindaco ha gridato ai nostri politici: “Questi potrebbero essere i vostri parenti, i vostri figli.”

È seguita una lunga discussione che però alla fine ha solo portato alla dichiarazione che non sappiamo che cosa si possa fare a parte qualche aiuto umanitario. Non c’è una vera idea su come si potrebbe intervenire. Anzi non c’è nessuna idea. – Quell’orrore della Siria è molto vicino a noi. Nei tre appartamenti sopra la chiesa vivono 15 persone che sono fuggite da lì. Sono i loro parenti che vivono lo sterminio sulla loro pelle.

Contemporaneamente succede qualcosa di totalmente diverso nel nostro Paese. Ci prepariamo al Natale con regali e panettoni, inviti per le feste e tante luci. – Sembra un contrasto troppo grande con ciò che succede nel nostro mondo. Sembra quasi cinico voler festeggiare mentre il mondo va in pezzi. – Per me non lo è.

Penso che proprio perché il nostro mondo è insicuro e disorientato, ci serve il messaggio natalizio. E questo messaggio non è solo l’arrivo di un bambinetto ma la venuta di Dio stesso in un mondo caotico e distruttivo, la venuta del principe di pace. Di pace abbiamo bisogno. Della pace parla anche il testo previsto per il sermone di oggi.

È il profeta Isaia che parla e che fa una promessa sulle rovine di Gerusalemme. Parla di pace e salvezza e soprattutto della presenza di Dio.

Leggo dal libro del profeta Isaia 52,7-10

7 Quanto sono belli, sui monti, i piedi del messaggero di buone notizie, che annunzia la pace, che è araldo di notizie liete, che annunzia la salvezza, che dice a Sion: «Il tuo Dio regna!»  8 Ascolta le tue sentinelle! Esse alzano la voce, prorompono tutte assieme in grida di gioia; esse infatti vedono con i propri occhi il SIGNORE che ritorna a Sion.  9 Prorompete assieme in grida di gioia, rovine di Gerusalemme! Poiché il SIGNORE consola il suo popolo, salva Gerusalemme.  10 Il SIGNORE ha rivelato il suo braccio santo agli occhi di tutte le nazioni; tutte le estremità della terra vedranno la salvezza del nostro Dio.

Isaia parla alla fine dell’esilio babilonese. Babilonia? Oggi lo chiamiamo Iraq. È sempre la stessa regione. 4.000 anni fa erano i nostri antenati biblici che venivano deportati dalla terra d’Israele in Babilonia dopo la guerra perduta. Oggi le persone fuggono da lì verso l’Europa. È sempre lo stesso.

Le persone all’epoca ebbero la stessa brama che abbiamo anche noi oggi: la pace, la felicità, la salvezza. Si chiesero come avrebbero potuto andare avanti per il loro popolo. Si chiesero dove fosse Dio e che cosa fosse la Sua volontà in tutto ciò. – Mi sembrano domande molto attuali.

Quel gruppo di Israeliti fu deportato in Babilonia dopo la sconfitta di Gerusalemme. La generazione dei nonni ricordava ancora la patria, aveva visto la distruzione del paese e affrontato la lunga marcia di circa 2.000 km attraverso il deserto. La seconda generazione era cresciuta sotto lo shock della deportazione, ma trovò un minimo di sicurezze nella nuova patria. La terza generazione iniziò invece a sentirsi a casa a Babilonia. Loro furono Babilonesi di religione ebraica. – Chi sa quando arriveremo noi finalmente al punto di poter dire con serenità che qui da noi vivono italiani i cui antenati vengono dalla Siria o dal Gambia o dalla Cina?

Torniamo a Babilonia. Quanti appartenevano a questa terza generazione vissero un periodo di gravi difficoltà della nuova patria – anche qui potremmo trovare qualche parallelo – e si domandarono come si potesse andare avanti.

In questa situazione si fa sentire il profeta Isaia e racconta del messaggero di buone notizie che viene a Gerusalemme per annunciare la pace e la liberazione. Descrive l’ingresso trionfale di Dio.

Prima viene il messaggero. È colui che ha corso tutto il tratto di strada da Babilonia a Gerusalemme per portare la buona notizia. E questa buona notizia è che Dio ha vinto, ha vinto la guerra così che il popolo può tornare nella propria patria. Dio porta la pace, questo è il messaggio buono che si deve diffondere.

Quanto sarebbe bello se questo messaggio valesse anche per noi. Pace, finalmente. Pace in Siria, in Afghanistan. Pace tra immigrati e nativi, pace tra ricchi e poveri, pace tra i vari partiti politici, pace tra genitori e figli. Ci servono buone notizie. E la notizia del Natale che Dio viene nel mondo è la migliore notizia che c’è. Dio si fa umano. Si lancia in questo mondo pieno di odio e di guerre, pieno di pregiudizi e incomprensioni, pieno di problemi non risolti. Dio viene nella persona di Gesù Cristo. Questa è la buona notizia che vuol essere diffusa.

I primi che sanno della buona notizia sono le sentinelle di Gerusalemme. Loro vedono il messaggero che si avvicina con la buona notizia. Questo è una dei primi testi nella Bibbia dove si usa la parola ‘buona notizia’ – in greco euangellion – in latino evangelium. Il messaggero che viene da Babilonia porta il vangelo, la buona notizia della vittoria di Dio. I deportati sono liberi, l’esilio è finito, è tempo di pace.

Chi sente la buona notizia? Sono le rovine di Gerusalemme. Non sono solo le mura che si sono rovinate nella guerra, ma anche le persone che portano gravi ferite nel corpo e nell’anima. La guerra ha rovinato le persone, li ha consumati, logorati. E proprio a loro che non si sentono più tanto intatti, viene annunciato la buona novella: Dio ha vinto. Dio ci viene vicino. Dio è la pace e viene da noi. Soprattutto per le persone che vivono solo più nelle rovine della propria vita, vale la promessa: il SIGNORE consola il suo popolo.

Il SIGNORE ha rivelato il suo braccio santo. È Dio stesso il protagonista. Lui viene. È il suo avvento che festeggiamo. Lui viene per portare pace con questo braccio santo che è fatto per consolare.

Isaia pronuncia una forte promessa e lascia noi oggi con una certa perplessità. Mentre lui vedeva la venuta trionfale di Dio verso il suo popolo, noi oggi ci chiediamo nuovamente: ma dov’è Dio? Che cosa vuole da noi, da me? Come possiamo trovare la pace?

In questo periodo dell’anno sono per me soprattutto gli inni che cantiamo che portano qualcosa della promessa. Questi inni che mi dicono che Dio non ci lascia da soli con i nostri problemi irrisolti, ma che vuole venirci vicino, viene per fare parte di questo mondo assurdo. In tanti di questi inni possiamo ancora sentire la voce del profeta. L’abbiamo cantato prima insieme. ‘Dal ceppo secolare’- ‘Es ist ein Ros entsprungen’. Queste sono le parole di Isaia.

Ogni volta che cantiamo questi inni, diamo voce alla promessa di Dio. Cantando la promessa di Dio si avvera, così come si è avverata nella predicazione di Isaia. Cantando aumentiamo la speranza e la gioia e la consapevolezza che Dio ci viene veramente vicino. Cantando queste parole divengono vere anche in noi:

Dio diventa umano, vuole esserci vicino, vuole portare la pace nel nostro mondo.

Questo è la buona notizia. Cantiamola, per noi stessi e per tutte le persone che da tempo aspettano questa buona notizia. Cantiamo con gioia: Dio viene – vieni Signore!

Amen

Ulrike Jourdan