LAVORO

Tra 28 aprile, primo maggio, 4 maggio…

Care sorelle e cari fratelli,

vorrei dialogare con voi oggi, in questo giorno tra il 28 aprile, giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro; il primo maggio, festa dei lavoratori; il 4 maggio, data simbolo per l’inizio della “Fase 2”.
In questi mesi abbiamo riflettuto più o meno consapevolmente sul lavoro: alcuni e alcune di noi hanno potuto continuare a lavorare da casa, altri sono stati costretti ad interrompere la propria attività lavorativa, altri la hanno vista modificarsi più volte. Alcuni e alcune di noi hanno perso il lavoro, sono stati licenziati o il loro contratto non è stato rinnovato. Alcuni e alcune di noi stanno lavorando confrontandosi giorno dopo giorno con responsabilità e attenzione in un lavoro che mette a rischio la propria salute occupandosi della salute e delle necessità delle altre persone. E poi ci sono gli studenti, un lavoro particolare il loro; i pensionati, che pur non lavorando attivamente fanno parte della nostra riflessione; le donne e gli uomini che non hanno un lavoro esterno alla famiglia; le tante persone disoccupate per le quali è ancora più difficile in questa situazione avere fiducia nel futuro. Il lavoro non è solo necessario per la sussistenza, il lavoro è anche un servizio reciproco, un modo per esprimere le nostre capacità e le nostre idee, anche se a volte il lavoro che svolgiamo non è quello che ci sarebbe piaciuto, anche se non sempre siamo nella condizione di poterci esprimere nel lavoro, anche se non sempre vengono riconosciute e valorizzate le nostre capacità.
Riflettere da cristiani sul lavoro in questi giorni, significa allora raccoglierci nuovamente intorno alla Parola; riappropriarci del progetto di Dio per l’umanità, un progetto che ci viene affidato insieme al dono della terra; confessare la nostra incapacità di occuparci gli uni e le une degli altri e delle altre; lodare Dio per le continue opportunità in cui possiamo testimoniare con le nostre parole, ma anche con le nostre scelte e le nostre azioni, la necessità di giustizia, verità, rispetto, dignità in ogni nostra relazione, in ogni rapporto di lavoro. Chiediamo a Dio di guidare la nostra riflessione, sostenere il nostro impegno, rinnovare la nostra speranza.

Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. Dio li benedisse; e Dio disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta (Genesi 1,27s)
Dio il Signore prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse. (Genesi 2,15)
Ricòrdati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’ tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro ordinario … ; poiché in sei giorni il Signore fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il Signore ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato. (Es 20,8-11)

Ringraziamo Dio
– per il dono della vita, per l’essere stati fatti a sua immagine
– per le abilità, l’inventiva, l’intraprendenza… e per il riposo
– per il dono della terra e delle sue risorse, per le piante e gli animali: sono per noi un bene da preservare e custodire, in cui lavorare e da amministrare con responsabilità
– per la nostra partecipazione alla sua opera a favore degli esseri umani e di ogni creatura
– perché in Gesù ci riconcilia con Lui, con la creazione, con gli altri e le altre: non siamo soli nel mondo che ci ha donato

GIOBBE 28
«Ha una miniera l’argento, e l’oro un luogo dove lo si affina.
Il ferro si cava dal suolo, e la pietra fusa dà il rame.
L’uomo ha posto fine alle tenebre, egli esplora i più profondi recessi,
per trovare le pietre che sono nel buio, nell’ombra di morte.
Scava un pozzo lontano dall’abitato;
il piede più non serve a quelli che vi lavorano;
sono sospesi, oscillano lontano dai mortali.
Dalla terra esce il pane, ma, nelle sue viscere, è sconvolta come dal fuoco.
Le sue rocce sono la sede dello zaffiro, e vi si trova la polvere d’oro. (…)
L’uomo stende la mano sul granito, rovescia dalle radici le montagne.
Pratica trafori dentro le rocce, e l’occhio suo scorge quanto c’è di prezioso.
Frena le acque perché non gemano e trae fuori alla luce le cose nascoste.
Ma la saggezza, dove trovarla? Dov’è il luogo dell’intelligenza?
L’uomo non ne sa la via, non la si trova sulla terra dei viventi. (…)
Non la si ottiene in cambio d’oro, né la si compra a peso d’argento. (…)
Dio solo conosce la via che vi conduce, egli solo sa il luogo dove risiede,
perché il suo sguardo giunge fino alle estremità della terra,
perch’egli vede tutto quello che è sotto i cieli.
Quando regolò il peso del vento e fissò la misura delle acque,
quando diede una legge alla pioggia e tracciò la strada al lampo dei tuoni,
allora la vide e la rivelò, la stabilì e anche l’investigò.
E disse all’uomo: “Ecco, temere il Signore, questa è saggezza, fuggire il male è intelligenza”».

Quale sarebbe la reazione di Giobbe se potesse assistere ad una giornata di lavoro nei cantieri o nei laboratori del nostro tempo? Sicuramente lui saprebbe stupirsi, saprebbe ringraziare riconoscente il Signore per quanto accade, per tutto quello che conosciamo, per le opportunità che la ricerca offre, per l’ingegno con cui l’essere umano sa progettare e realizzare, trovare e usare i materiali più adatti ad ogni strumento, ad ogni costruzione.
L’uomo ha posto fine alle tenebre… dalla terra esce il pane… l’uomo rovescia dalle radici le montagne… pratica trafori dentro le rocce… frena le acque… trae le cose nascoste fuori, alla luce.
Grandi meraviglie, grandi scoperte, grandi invenzioni. Ma anche grandi rischi. Si, perché la curiosità che porta alla scoperta, la conoscenza che sostiene la ricerca, l’ingegno che permette la costruzione, hanno bisogno di saggezza e intelligenza. Ogni lavoro e ogni attività non sono fini a se stessi. Siamo noi a decidere il come, il perché e il fine del nostro lavoro. Il contadino, l’operaio, l’insegnante, lo scrittore, il musicista, l’impiegato, il commerciante, l’autista, il ristoratore, l’operatore sanitario, l’artista, l’imprenditore, il collaboratore domestico, il giardiniere, anche il pastore o il diacono… tutti e tutte siamo chiamati a lavorare con saggezza e intelligenza.
Soprattutto in tempo di crisi potremmo essere tentati di pensare che le nostre abilità, le nostre capacità, le opportunità di cui godiamo, siano da usare solo per noi e per il nostro benessere. Potremmo dimenticare che siamo tutti parte di un’unica rete e basta che venga meno un solo nodo perché ci sia un buco. Potremmo convincerci egoisticamente che ci siano tipologie di lavoro più o meno importanti; che alcuni abbiano diritto a maggiore sostegno rispetto ad altri; che le leggi che ci impongono distanziamento e controlli siano esagerate…
È difficile unire nelle nostre riflessioni i vari aspetti del problema anche perché non su tutti possiamo intervenire. Eppure Giobbe ha ragione.
Giobbe, dopo aver considerato i grandi progressi della tecnica del suo tempo, in particolare nel campo dell’estrazione mineraria, riconosce che senza saggezza e intelligenza, a poco vale l’ingegno umano. Abbiamo bisogno di competenze, conoscenze, abilità… ma abbiamo bisogno anche di essere saggi, di quella saggezza che va oltre noi e che ci fa scoprire parte dell’umanità che partecipa, per grazia, ad un unico progetto di vita, non nostro, ma del Creatore. Abbiamo bisogno di intelligenza per distinguere il bene dal male, per aprirci dall’io al noi, per resistere all’egoismo e ricercare giustizia, dignità, vita non solo per noi, ma per tutte e tutti. In questo modo è possibile, anche nei limiti del nostro ambito personale, testimoniare la realtà di nuovi rapporti, la concretezza di una speranza che vuole coinvolgerci e renderci protagonisti.
Saggezza e intelligenza non si comprano e non si raggiungono con anni di studio. Nella Bibbia saggezza e intelligenza sono un dono di Dio. È Dio l’unico saggio e l’unico intelligente: è lui che ha mostrato saggezza e intelligenza nel realizzare ogni elemento del nostro mondo, nell’elaborare un progetto che garantisse l’esistenza e la vita delle sue creature.
Temere il Signore è la vera saggezza, non avere paura di lui, ma riconoscerlo come Dio, riconoscere la sua opera verso di noi. Fuggire il male è la vera intelligenza, e il male ha tante facce, anche quella della discriminazione, del pregiudizio, della disoccupazione, della disparità di stipendio tra uomo e donna, del lavoro nero, dell’evasione fiscale, dello sfruttamento, della mancata solidarietà.
Siamo saggi e intelligenti: temiamo il Signore e fuggiamo il male.

Che la bontà di Dio sia su di noi: che Egli faccia prosperare l’opera delle nostre mani.
Dio ci ha dato libertà e risorse: investiamo i suoi doni, non li sperperiamo.
Dio ci ha dato talenti e capacità: moltiplichiamo il bene nel mondo.
Dio ci ha mostrato la via della vera ricchezza: per amore ci ha donato suo Figlio.
Che la bontà di Dio sia su di noi: che Egli faccia prosperare l’opera delle nostre mani.

Past. Daniela Santoro

Libertà di religione e Covid-19. Una riflessione delle chiese europee

Il gruppo tematico della Conferenza delle Chiese europee sui diritti umani ha riflettuto sulla libertà di religione o di credo durante la lotta contro COVID-19

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Fase 2 e Chiese Evangeliche: «Tutelare libertà di culto anche per protestanti e credenti di tutte le confessioni»

Lettera della Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con lo Stato alla ministra Lamorgese

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Maria!

Giovanni 20,1.11-18

Il primo giorno della settimana, la mattina presto, mentre era ancora buio, Maria Maddalena andò al sepolcro e vide la pietra tolta dal sepolcro. Allora corse verso Simon Pietro e l’altro discepolo che Gesù amava e disse loro: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’abbiano messo»…
Maria, invece, se ne stava fuori vicino al sepolcro a piangere. Mentre piangeva, si chinò a guardare dentro il sepolcro, ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l’altro ai piedi, lì dov’era stato il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?» Ella rispose loro: «Perché hanno tolto il mio Signore e non so dove l’abbiano deposto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse l’ortolano, gli disse: «Signore, se tu l’hai portato via, dimmi dove l’hai deposto, e io lo prenderò». Gesù le disse: «Maria!» Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: «Rabbunì!» che vuol dire: «Maestro!» Gesù le disse: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli, e di’ loro: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro”». Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli che aveva visto il Signore, e che egli le aveva detto queste cose.

Maria!
In quanti modi possiamo pronunciare un nome? Provateci: possiamo chiamare Maria per sapere se è in casa, per rimproverarla o perché abbiamo bisogno di aiuto e la invitiamo a precipitarsi da noi, o al contrario le intimiamo di fermarsi e fare attenzione, possiamo pronunciare il nome in modo canzonatorio, per giocare, spaventati o contenti nel vederla…

Rabbunì!
Come avrà pronunciato Maria questa parola? Con stupore, paura, incredulità, gioia…
Sicuramente questa donna non pensava che la sua giornata comprendesse l’incontro con un morto… con il Risorto.
Al mattino presto, nella penombra che precede l’alba, Maria si reca da sola al sepolcro.
Quante volte anche noi non riusciamo a dormire: pensieri, preoccupazioni, ansia, dolore… arrivati ad un certo punto, meglio alzarsi e fare qualcosa piuttosto che continuare a girarsi e rigirarsi nel letto. E spesso ci decidiamo anche noi ad “andare al sepolcro” ad affrontare quello che non ci fa dormire.
Maria ha molto a cui pensare: venerdì ha assistito alla crocifissione di Gesù e una volta morto, ha visto Giuseppe e Nicodemo occuparsi del suo cadavere, avvolgerlo nelle bende con aloe e mirra e poi deporlo nel sepolcro del giardino lì vicino. Probabilmente non era così che voleva separarsi da Gesù: troppa gente, troppi curiosi, troppo dolore… ma adesso può avvicinarsi al sepolcro nella calma della notte, nel silenzio che accompagna il risveglio. Ha bisogno di vedere la pietra che chiude il sepolcro e che separa definitivamente Gesù dalla vita; ha bisogno di “mettere una pietra sopra”, seppellire anche lei un’esperienza, un’amicizia, un capitolo della sua vita, in un misto di ricordi, sensazioni, emozioni, parole e gesti. Vuole chiudere definitivamente la notte per poter, all’alba, iniziare un nuovo giorno.
Ma arrivata al sepolcro, lo trova aperto: la pietra è stata tolta.
Non era preparata a questo: come aprirsi a qualcosa di nuovo, se il passato non è chiuso? E poi la paura, l’incomprensione, il non sapere cosa fare… probabilmente anche noi al suo posto ci saremmo seduti su una pietra a piangere guardando il sepolcro vuoto, e sentendoci anche noi svuotati delle nostre certezze.
Ma il sepolcro non è vuoto, anzi, è fin troppo affollato: al posto del cadavere ci sono due angeli vestiti di bianco che le chiedono tranquillamente: “Donna, perché piangi?”.
Come avranno pronunciato questa frase gli angeli? Con simpatia e affetto, con severa fermezza, con stupore… quel che sappiamo è che Maria dopo aver risposto, si volta immediatamente verso il giardino e la sua attenzione è attratta da quello che lei pensa essere l’ortolano.
Stessa domanda: “Donna, perché piangi?”.
E questa volta Maria parla, non si limita a rispondere educatamente come ha fatto con i due angeli dentro al sepolcro: con l’uomo comune, che è fuori, nel giardino, come lei, Maria osa esprimere i suoi pensieri. D’altra parte, Maria avrà pregato tanto negli ultimi giorni, ma la risposta che si aspettava non era arrivata: Gesù è morto. Cosa poteva dirle Dio adesso, e cosa poteva chiedere ancora lei a Dio o ai suoi messaggeri? Invece l’ortolano conosce il giardino, può aver visto cosa è successo… se qualcuno può dar-le una risposta, è lui!

Maria!
Solo un nome, e tutto cambia. Un nome in cui sembrano concentrarsi tutte le risposte e tutte le aspettative. Un nome che invita Maria a riconoscere lo straordinario nell’ordinarietà di quella notte. Maria ha visto una pietra rotolata, un sepolcro vuoto, degli angeli al posto di un cadavere, ha sentito la loro voce chiedere il motivo del suo pianto, ha odorato l’aloe e la mirra che impregnavano le bende che ora sono per terra…
Anche noi a volte valutiamo la realtà solo basandoci sulle nostre aspettative: a volte vediamo, sentiamo, tocchiamo, incontriamo… ma non sappiamo riconoscere i messaggeri di Dio accanto a noi, non riusciamo a vedere la luce che si insinua nel buio e ci permette di vedere, prima dell’alba, il sepolcro vuoto e le bende a terra. E come Maria restiamo nel giardino a piangere e riponiamo la nostra fiducia nell’ortolano, non in Dio.
Ma basta essere chiamati per nome perché tutto cambi.
Il Risorto chiama Maria per nome portandola nel suo presente, ricollegandola a quel passato su cui avrebbe voluto “mettere una pietra sopra”. L’esperienza di nuova vita, dignità, giustizia, amore, verità vissuta con Gesù, non si conclude con la sua morte, anzi, costituisce quel passato che permette di vivere il presente nella speranza, riconoscendo i segni della presenza di Dio che illuminano il buio prima dell’alba, aprono i sepolcri nella nostra vita, ci sostengono e accompagnano nelle nostre notti insonni, nei nostri dubbi e nelle nostre paure.
Ogni volta che le nostre preghiere sembrano non trovare risposta, ogni volta che i nostri progetti svaniscono nonostante i nostri sforzi, ogni volta che la violenza ci scandalizza, che la malattia ci fa soffrire, che la paura ci assale, tutte le volte in cui non riusciamo a sentire la presenza, l’amore, la consolazione, la pace promesse da Dio, possiamo sentir chiamare il nostro nome e guardando verso il sepolcro, ci accorgeremo che la pietra non è più al suo posto, la speranza non è sconfitta e noi siamo ancora in cammino.
Il Risorto invita Maria a non trattenerlo: è un invito a vivere il presente senza aggrapparsi e rinchiudersi nel passato. E forse per questo il compito che le dà è veramente senza precedenti: Maria deve testimoniare agli altri discepoli che Gesù è risorto; che il sepolcro non è più un luogo di morte: Dio è presente anche lì con i suoi messaggeri; che le promesse di Dio si adempiono.
È lei che deve parlare, una donna comune. Siamo noi, a dover parlare, uomini e donne comuni… che si disperano, dubitano, si arrabbiano, si spaventano, indietreggiano e ci mettono un po’ a capire che cosa sta succedendo… ma quando veniamo chiamati, possiamo riconoscere e indicare la luce attorno a noi, prima dell’alba. Amen.

(Past. Daniela Santoro)

Signore Gesù Cristo,
risorto all’alba del nuovo giorno.
Nel giardino ancora umido della rugiada del primo mattino
troviamo una tomba vuota: non sei qui!
Tu sei al nostro fianco, risorto e glorificato.
Hai distrutto la morte.
Hai spezzato le catene dell’oppressione.
Ci hai preceduto nei luoghi più oscuri e spaventosi
e li hai resi inoffensivi.
Gesù Cristo,
tu che sei in eterno,
ieri, oggi e per sempre,
tua è la vittoria.
La terra ora comincia a svegliarsi,
sii con noi in questo giorno e per sempre
Amen
(D. Broom)

25 aprile – Non sono io

Il video di Cospe e Carta di Roma

Leggi l’articolo di Riforma Non sono io – Riforma

L’Associazione Carta di Roma è stata fondata nel dicembre 2011 per dare attuazione al protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione, siglato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti (Cnog) e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) nel giugno del 2008.

Il Cospe nasce nel 1983 ed è un’associazione privata, laica e senza scopo di lucro. Opera in 25 Paesi del mondo con circa 70 progetti a fianco di migliaia di donne e di uomini per un cambiamento che assicuri lo sviluppo equo e sostenibile, il rispetto dei diritti umani, la pace e la giustizia tra i popoli. 

Covid-19: una riflessione protestante

Il documento della Commissione bioetica delle chiese battiste, metodiste e valdesi sull’emergenza pandemica

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Clicca per leggere il documento Covid-19 documento

Coronavirus: assegnati i primi fondi da parte delle chiese metodiste e valdesi

La Tavola Valdese ha ultimato il piano di assegnazione della prima parte degli 8 milioni di euro dei fondi dell’Otto per mille per l’emergenza Covid-19

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Giornata della Terra

Salmo 95,1-7
Venite, cantiamo con gioia al Signore, acclamiamo alla rocca della nostra salvezza!
Presentiamoci a lui con lodi, celebriamolo con salmi!
Poiché il Signore è un Dio grande un gran Re sopra tutti gli dèi.
Nelle sue mani sono le profondità della terra e le altezze dei monti sono sue.
Suo è il mare, perch’egli l’ha fatto, e le sue mani hanno plasmato la terra asciutta.
Venite, adoriamo e inchiniamoci, inginocchiamoci davanti al Signore, che ci ha fatti.
Poich’egli è il nostro Dio, e noi siamo il popolo di cui ha cura, e il gregge che la sua mano conduce.

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Domenica 19 aprile

Egli è risuscitato!

(Matteo 28,6)

Quali sono le reazioni a questa notizia?

NON E’ VERO
Alcuni della guardia vennero in città e riferirono ai capi dei sacerdoti tutte le cose che erano avvenute. Ed essi, radunatisi con gli anziani e tenuto consiglio, diedero una forte somma di denaro ai soldati, dicendo: «Dite così: “I suoi discepoli sono venuti di notte e lo hanno rubato mentre dormivamo”.  (Matteo 28,11-13)

E perché non dovrebbe essere andata così? Perché i discepoli di Gesù non avrebbero dovuto, dopo la sua morte, recuperare il cadavere e far credere che fosse risorto? In questo modo avrebbero evitato di dover ammettere, almeno di fronte agli altri, di aver riposto la propria speranza in un impostore…
No, non impostore, perché gli insegnamenti, le guarigioni, l’inclusione sociale e religiosa, il dono della dignità, non sono stati illusioni, erano reali: la vita di chi ha incontrato Gesù è veramente cambiata. Gesù non ha mai agito per se stesso e se ha parlato di sé, lo ha fatto per far conoscere Dio. La crocifissione e la morte di Gesù non cancellano la sua testimonianza.
La resurrezione però porta qualcosa in più: compie il messaggio evangelico e coinvolge tutti e tutte. L’annuncio della resurrezione infatti non raggiunge solo i contemporanei di Gesù, ma chiunque ascolti la sua storia, la storia di Dio con l’umanità. E quando la ascoltiamo ci rendiamo conto di farne parte, non come semplici comparse, ma come protagonisti. Questa scoperta, se la facciamo nostra, ci rende liberi e libere. Liberi dalla morte, dalla disperazione, dalla rassegnazione, dalla solitudine, dai giochi di potere, dalla paura, dalla vergogna, dai pregiudizi… liberi di ammettere tutti i limiti nostri e dell’umanità sapendo di essere accolti e rinnovati dall’amore di Dio, sicuri di essere stati creati non per la morte, ma per la vita, convinti che siamo chiamati a testimoniare la certa speranza del nuovo mondo di Dio.

VI SIETE SBAGLIATI
Il primo giorno della settimana, la mattina presto, mentre era ancora buio, Maria Maddalena andò al sepolcro e vide la pietra tolta dal sepolcro. Allora corse verso Simon Pietro e l’altro discepolo che Gesù amava e disse loro: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’abbiano messo». Pietro e l’altro discepolo uscirono dunque e si avviarono al sepolcro. I due correvano assieme, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse primo al sepolcro; e, chinatosi, vide le fasce per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro, e vide le fasce per terra, e il sudario che era stato sul capo di Gesù, non per terra con le fasce, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, e vide, e credette. Perché non avevano ancora capito la Scrittura, secondo la quale egli doveva risuscitare dai morti. I discepoli dunque se ne tornarono a casa. (Giovanni 20,1-11)

Si, qualcosa è successo: il cadavere non è più nella tomba… ma non tutto quello che vediamo, sappiamo spiegarcelo; non a tutto quello che vediamo, crediamo.
I discepoli vorrebbero credere e per questo corrono al sepolcro per verificare, loro stessi, l’informazione. Corrono, vedono, uno crede e l’altro registra l’informazione ed entrambi, non capendo, la mettono da parte. Niente cambia: erano a casa e ora tornano a casa.
Anche a noi viene annunciata la resurrezione e anche noi corriamo, ci rechiamo nei tanti sepolcri del nostro mondo, della nostra società, della nostra vita. E i sepolcri sono ancora là, la pietra è tolta, il sepolcro è aperto, guardiamo… e torniamo a casa. Crediamo che qualcosa sia successo, che qualcosa di nuovo sia possibile… ma torniamo a casa.
È troppo poco vedere uno spiraglio di luce di vita inondare il buio della morte? È troppo poco constatare che il macigno che chiudeva il sepolcro è stato spostato eliminando la barriera che separava la vita e la morte? È troppo poco rendersi conto che Dio è signore della vita e il suo amore ha l’ultima parola anche sulla morte? È troppo poco accorgersi che possiamo oltrepassare il confine del sepolcro e collegare quei mondi che ci sembrano a volte così distanti, la vita e la morte, ma anche la gioia e il dolore, la serenità e la sofferenza, la giustizia e il pregiudizio, l’amore e l’egoismo, il cielo e la terra? La pietra è tolta, il cadavere non c’è più, Gesù è resuscitato: tutto cambia…
Eppure con i discepoli corriamo, vediamo, crediamo, non riusciamo a capire e torniamo a casa aspettando, insieme a loro, che accada qualche altra cosa.

DAVVERO?
Or Gesù, essendo risuscitato la mattina del primo giorno della settimana, apparve prima a Maria Maddalena, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a coloro che erano stati con lui, i quali facevano cordoglio e piangevano. Essi, udito che egli viveva ed era stato visto da lei, non lo credettero. Dopo questo, apparve in modo diverso a due di loro che erano in cammino verso i campi; e questi andarono ad annunciarlo agli altri; ma neppure a quelli credettero. (Marco 16,9-13)

È sicuramente facile credere a quello che vediamo e possiamo verificare, mentre, spesso, non osiamo credere quello che speriamo. E quanto è difficile parlare di quello che crediamo se non possiamo dimostrarlo.
Maria e i due discepoli ci provano, ma invano. I discepoli non credono alla parola della donna, ma neanche a quella più autorevole di due di loro, due del gruppo.
La resurrezione non è un’esperienza del nostro mondo. Un uomo torturato, morto su una croce, deposto in un sepolcro, non può essere vivo: dopo la morte e la sepoltura non ci può essere altro che cordoglio e pianto, anche se il sepolcro è aperto, anche se il corpo non c’è più… perché se invece fosse tutto vero… che cosa dovremmo fare? Non dovremmo cambiare il nostro modo di pensare, di agire, di relazionarci?

SI, E’ RISORTO!
Poi Gesù apparve agli undici mentre erano a tavola e li rimproverò della loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che l’avevano visto risuscitato. (Marco 16,14)

Incredulità e durezza di cuore.
Gesù è risorto? L’amore di Dio vince sulla morte? Sono creata per la vita? Dio è signore della storia?
Non ci credo finché non ne vedo le prove. O meglio, credo, perché come ai discepoli, anche a me è stato annunciato, ma finché non ne vedo chiaramente gli effetti nella mia vita, rimango in attesa, a casa, a piangere e fare cordoglio, a lamentarmi e prendermela con Dio che non fa abbastanza per me e per il mio mondo.
Incredulità e durezza di cuore sono strettamente collegate.
Credere la buona notizia della resurrezione di Gesù significa abbattere i muri della nostra cameretta allargando il nostro mondo e collegandolo a quello degli altri e delle altre, entrare nella comunione che Dio crea con noi e fra di noi.
Credere che Gesù è risorto significa riconoscere la presenza di Dio nel nostro mondo, non solo nel mio;
significa distinguere la luce che entra nei sepolcri attorno a noi perché le pietre sono state spostate, e avere il coraggio di entrare per farli diventare luoghi di vita, di amore, di condivisione, di dignità, di speranza;
significa lasciarsi consolare e incoraggiare, perché la testimonianza che abbiamo ricevuto dalle parole e dalle opere di Gesù, adesso è compiuta: Dio ci ha rivelato il suo progetto per l’umanità, un progetto di vita, e non di morte, di speranza e non di rassegnazione, un progetto per tutti e tutte, non solo per qualcuno.
Nei sepolcri si entra, o si viene portati, ma dai sepolcri si esce, si viene portati fuori.
La resurrezione di Gesù non è una notizia da conoscere, ma da vivere e condividere. Dio ha rotolato la pietra del sepolcro perché noi potessimo oltrepassare tutti i confini che ci impauriscono, che ci minacciano, che ci impediscono di vivere bene, di vivere con lui. Questa è la nostra fede e la nostra certa speranza, da vivere e condividere.

E Gesù disse loro: Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. (Marco 16,15)

Gesù è risuscitato.

Amen.

 

INNO 110 – Gloria al Signor in terra e in ciel!

Ivan Furlanis, organista della Chiesa Metodista di Padova

Past. Daniela Santoro

Settimana Santa

Dalle Palme a pasqua

Ecco le foto delle “Settimane Sante” che abbiamo ricevuto:

Grazie ad Andrea, Elohann e Sean, Rosanna.