Sermone: DOMENICA 10 MARZO 2013 CULTO DEI GIOVANI (PREDICAZIONE GV 12:20-26)

Quella di domenica 10 marzo 2013 è stata una giornata particolare per la Chiesa Evangelica Metodista di Padova. Infatti, abituata al “solito” culto e alle sue 20-25 presenze abituali, si è trovata felicemente “invasa” dai giovani della FGEI del Triveneto che, con la collaborazione delle Chiese Battiste di Padova e Treviso hanno animato il culto domenicale delle ore 11.00

Coordinato da Alberto Ruggin della locale comunità di Padova, con i canti ed il “karaoke” dei giovani Battisti, la predicazione era stata affidata ad un battista (2 Cor. 1,3-7) e a Stefano Bertuzzi della comunità valdese di Trieste (Gv 12:20-26).

Non essendo però stato preparato il sermone relativo alla lettera di Paolo, un membro della comunità metodista di Padova, contattato all’ultimo momento, ha presentato una breve riflessione in materia di consolazione e di misericordia in linea con il testo paolino.

Pubblichiamo invece il sermone sul passo dell’evangelo di Giovanni.

Il pomeriggio è poi proseguito con un’agape festosa, riflessioni e momenti di divertimento presso i locali sociali.

“Chi ama la sua vita, la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna”

Care sorelle, cari fratelli,
quando mi è stato chiesto, circa una settimana fa, di preparare una parte del sermone per questa domenica, devo ammettere che un primo momento ho reagito con un po’ di titubanza, con un po’ di incertezza. In parte perché non predico spesso – e quando lo faccio mi prendo solitamente più tempo per prepararmi – ma soprattutto perché non è facile parlare ad una comunità diversa dalla propria, ancor più sapendo che un folto gruppo di ragazzi e ragazze avrebbero ascoltato queste parole. E quindi una serie di dubbi mi hanno fatto riflettere sulle mie capacità, temendo soprattutto che, pur pregando e invocando l’aiuto del Signore, non sarei riuscito a trasmettere in maniera corretta il messaggio della Sua Parola.
Ma subito dopo sono andato a leggere i versetti che erano stati selezionati per il Sermone – o per lo meno per la parte che avrei dovuto preparare io – e se da un lato la loro lettura ha creato un aumento dei miei dubbi e delle mie preoccupazioni, dall’altra, come spesso accade nell’approccio con la Parola, tutto è apparso piano piano più chiaro.
In questi versetti di Giovanni, Gesù annuncia – e non è la prima volta che lo fa – la sua morte prematura. La annuncia subito dopo essere entrato trionfalmente a Gerusalemme; lo fa in un momento di estrema gioia, nel quale tante persone sembrano volerlo cercare e seguire. E queste persone lo cercano non soltanto per riceverne dei benefici diretti – ricordiamo che Gesù ha già compiuto miracoli per tutta la galilea – quanto soprattutto per ascoltare le sue parole piene di saggezza, le parole profetiche che si immagina siano in grado di dare una nuova speranza al popolo. La fama di Gesù l’ha preceduto, ed ora sono in molti ad acclamarlo a gran voce come un nuovo e grande re.
Nelle parole che abbiamo appena letto, scopriamo che tra coloro che cercano di avvicinare Gesù ci sono addirittura dei greci, dei pagani. Questo avvicinarsi da parte loro è un segno enorme, perché significa che il messaggio di Gesù stava già uscendo dal “ristretto” mondo ebraico. La portata della richiesta di parlare con Gesù, da parte di un gruppo di greci, è dirompente, anche se tale forza non viene subito colta dai discepoli. E infatti da lì si scatena una serie di passaparola nel quale è palpabile un certo grado di timore nei confronti di quel particolare – e inaspettato – approccio. Passaparola che finalmente giunge a Gesù. Un Gesù che come ci ha spesso abituato, risponde in modo inaspettato!
Chi di noi di fronte ad una richiesta così pressante non avrebbe cercato di sfruttare la fama acquisita. Magari in totale buona fede, ma comunque con un po’ di orgoglio e autocompiacimento! Non pensiamo soltanto a chi sfrutta la propria posizione per un tornaconto tutto personale. Riflettiamo su ciascuno e ciascuna di noi: a tutti fa molto piacere sentire di essere importanti e stimati. Io personalmente devo ammettere che siedo in prima fila tra persone a cui piace poter avere un ruolo da protagonista.
Gesù però non pensa a questo. Lui è ben conscio del suo destino e dell’importanza che avranno gli avvenimenti dei giorni seguenti: la “glorificazione” – cioè la piena rivelazione – alla quale sa di dover andare incontro non è quella delle folle festanti, ma è quella della sofferenza della croce. E Gesù ci fornisce anche una chiara spiegazione di questo: a cosa serve un leader carismatico forte che tiene per sé gloria e potere? Quale potrebbe essere il destino di un popolo che si mette interamente nelle sue mani una volta che il leader non ci sarà più? “Se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto”. Il frutto che deriverà dal suo insegnamento potrà crescere solamente se Gesù lo donerà a tutti e tutte noi attraverso la sua morte. “Chi ama la sua vita”, chi se ne vanta chi ritiene di poterla sfruttare egoisticamente per il proprio tornaconto personale è destinato a perdere tutto. Ma ciò non significa che la vita non ci debba interessare. Tutt’altro! Se la vita è il seme, è importante che esso contenga il germe di una pianta buona, capace di dare frutto. E da botanico posso assicurarvi che all’interno di un seme esiste un universo di vita – non starò qui a tenervi una lezione sulla composizione di un seme e su quanto esso sia in realtà estremamente complesso nelle sue seppur minime dimensioni! Il seme buono dà frutto quando scompare, abbiamo detto, e questa è una verità che vale anche per ogni uomo e ogni donna su questa terra. Tutti e tutte noi viviamo ogni giorno con il pensiero ad esempi di persone care che non sono più qui ma che continuano a guidarci. Le parole, per esempio, che ci arrivano attraverso libri più o meno antichi, sono i frutti imperituri, quasi eterni, di semi piantati anni o secoli fa. Uomini morti ma in qualche modo glorificati a vita eterna.
Ma Gesù va oltre. Lui è molto di più che un esempio da seguire. Il suo estremo sacrificio verrà compiuto per tutto il genere umano. Per riscattarlo dal peccato dell’odio e della divisione all’interno di esso e soprattutto con Dio. Divisioni che crolleranno, nel momento in cui anche i Greci, i pagani, beneficeranno dei frutti del seme Gesù.
E qua diventa chiaro un altro elemento importante del passo biblico: dicevamo all’inizio, che nelle parole lette, Gesù annuncia la Sua stessa morte. Ma egli in realtà fa di più. Qui Gesù annuncia la Sua resurrezione. Per tutti. Qui Lui dice che dopo di Lui ci sarà di nuovo Lui. In altra forma magari, ma sempre Egli stesso! E noi saremo insieme a lui se sapremo davvero stargli accanto, e così ci troveremo anche molto più vicini a Dio.
Quindi, sorelle e fratelli, viviamo la nostra vita nella pienezza di ciò che ci offre, ma non cerchiamo di trattenere di essa ciò che non ci appartiene. Agiamo nella consapevolezza che anche noi abbiamo il dovere di essere seme, sia come singoli ma soprattutto come Chiesa. La testimonianza che ci è stata chiesta è grande: in questi giorni che si avvicinano alla Pasqua rivivremo il sacrificio di Gesù. Non dobbiamo pensare a ciò come un semplice rito: perché nella nostra esperienza quotidiana possiamo – e dobbiamo – essere artefici di piccole/grandi risurrezioni. Il sacrificio che ci viene chiesto è esattamente questo: di essere portatori di una nuova speranza per l’umanità, non solo per noi ma per la vera e unica vita eterna.
Sermone a cura di Stefano Bertuzzi, della Chiesa Evangelica Metodista di Trieste