Sermone: Due anime albergano ahimè nel mio petto
L’altra settimana abbiamo avuto in casa per quattro giorno la visita di un topo. Si è infilato attraverso il garage e una mattina a colazione abbiamo sentito che c’era qualcun altro nella nostra cucina. Così ha avuto inizio la caccia “grossa” al topo: cucina mezza smontata finché il topino si è rifugiato sul balcone dove è rimasto per i giorni successivi. A quel punto è cominciata la caccia con le trappole. Prima due trappole classiche che, di fatto, fanno fuori la creatura. Ma il topo era troppo intelligente. Si è preso il cibo ed è fuggito. Poi una trappola in un secchio, ma anche da lì è scappato. Alla fine una trappola a gabbia, ma direi che a quel punto il topino aveva già trovato un altro modo per fuggire dalla terrazza, almeno non l’abbiamo più trovato. – La cosa strana è che durante tutti i giorni di caccia, vengono i sensi di colpa, o almeno a me venivano. Vedo questa povera creatura con gli occhioni scuri e non voglio farle del male, così metto al povero topo almeno un po’ di acqua sul balcone. Poi devo mangiare io in una cucina a 40 gradi perché non posso aprire la porta del terrazzino e mi viene da dire: basta, compro del veleno, ma di quello forte, e elimino ‘sto benedetto topo!
Goethe fa dire nel Faust: “Due anime albergano ahimè nel mio petto”. – Forse siamo così tutti quanti, con due anime che vogliono e al tempo stesso non vogliono o non possono o preferiscono chiudere gli occhi. Due anime che riescono a tirare contemporaneamente a sinistra e destra. Due anime che combattono tra ciò che uno vorrebbe fare e vede come giusto e buono e ciò che talvolta ci fa fare l’istinto o l’egoismo o chiamiamolo come si vuole.
Il testo della predicazione di oggi parla della vita cristiana e dei due lati che possiamo trovare dentro di noi, solo che qui ogni lato è rappresentato da una singola persona.
Leggo dal vangelo di Luca nel 18 capitolo a partire dal versetto 9
9 Disse ancora questa parabola per certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10 «Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l’altro pubblicano. 11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: “O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano. 12 Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo”. 13 Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore!” 14 Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s’innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato».
Due anime albergano ahimè nel mio petto. Vive il fariseo in me e ci vive anche il pubblicano. Conosco tutte e due, talvolta di più l’uno, talvolta di più l’altro.
I farisei erano persone ben viste, intelligenti, fini nel pensiero giuridico, molto preparati nell’ambito teologico. Erano persone alle quali questo errore di mettersi spiritualmente al di sopra di un’altra persona non sarebbe dovuto succedere. Sapevano che per un credente la superbia non è cosa buona – ma può succedere anche a persone irreprensibili di sbagliare.
I pubblicani invece erano spesso persone che non trovavano un altro lavoro con una reputazione migliore. Schiavi liberati o persone senza dimora che dovevano accettare questo lavoro che li metteva ai margini della società, anche se portava con sé spesso molto denaro. – Per riportarlo nell’oggi potremmo fare il paragone con uno spacciatore di droga o con un altro ‘mestiere’ illegale. Sono spesso quelli che non trovano nient’altro da fare, che intraprendono poi queste strade dell’illegalità.
Comunque sembrerebbe impossibile una preghiera del genere da parte di un pubblicano o di uno spacciatore o qualcuno di simile.
Quando Gesù racconta questa storia, non mette a confronto delle singole persone, ma delle tipologie di persone. È interessante vedere i dettagli in questo racconto. Il fariseo dice più volte ‘io’. O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano. 12 Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo. È facile vedere il peccato degli altri. Questo l’abbiamo già sentito nella lettura dell’Antico Testamento quando Davide è stato così veloce a condannare un altro, ma non se stesso. È facile vedere il peccato degli altri e non cambiare niente in se stessi. È facile inventarsi una propria misura etica.
Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto. Quando questi parla di se stesso, non si vanta ma confessa il proprio peccato. È schiacciato da questo peso che porta sulle proprie spalle. Lui cerca veramente un aiuto nella sua preghiera. – Andando via dovrà tirarsi in su. Sarà cambiato quando lascerà il tempio. Potrà tornare più leggero, rinnovato. Quest’uomo non cerca una propria misura etica, ma aspetta la misura di giudizio da parte di Dio.
Peccato e perdono. Ogni domenica, prima di avvicinarci alle Sacre Scritture abbiamo questo momento di confessione e annuncio del perdono. Dovrebbe rappresentare il bagno rituale degli ebrei prima di avvicinarsi al tempio, a ciò che è santo. Chiediamoci una volta con quale spirito noi cerchiamo il perdono di Dio e quanta anima farisaica alberga nel nostro petto? Non è facile mettersi sotto la misura di Dio.
Che cosa comporta far valere le proprie misure, il proprio metro di grandezza? È il peccato. – Mi piace sempre molto la spiegazione di Lutero su che cosa sarebbe il peccato. Lui parlava di un uomo incurvato in se stesso. Uno che si guarda il proprio ombelico. Uno che è solo più in grado di dire IO, che ha solo più la propria misura e guarda solo al proprio bene. Non riesce più a vedere il mondo attorno a sé. Non vede più altri uomini non vede più Dio, solo se stesso. Questo è un peccatore.
Il peccato ci fa abbassare lo sguardo. Il peccato pesa sulle nostre spalle e ci schiaccia.
Il perdono invece fa rialzare lo sguardo così com’è successo con questo pubblicano che poteva lasciare il suo peso nella preghiera.
Da bambina avevo un libro in cui si cercava di spiegare il peccato. Si vedeva un uomo con una pietra gigantesca che simboleggiava il peccato e su ogni pagina lui cercava di gestire questo peso. Ce l’aveva sulle spalle, cercava di nasconderlo, di abbellirlo, di negarlo, di metterlo sulle spalle di qualcun altro. Solo alla fine c’era la croce e la pietra gigante veniva annegata nel profondo del mare. – Questo è il significato della confessione. Gesù prende il nostro peccato su di sé è lo fa annegare.
Gesù racconta la parabola del pubblicano e del fariseo per tutti quelli che sono persuasi di essere giusti e (disprezzano) gli altri. Né i farisei né gli scribi o altri critici provocano Gesù. Il punto di partenza per la parabola si trova nel bel mezzo della comunità. Da sempre si trovano tra gli esseri umani anche quelli che si sentono automaticamente dalla parte dei giusti e disprezzano gli altri. – Due anime albergano ahimè nel mio petto. – Nella chiesa per la quale scrive Luca, lontano da Gerusalemme, si trovano i pii presuntuosi come anche gli umili e pregano a fianco a fianco, come i due personaggi nella parabola.
Non solo per le persone della chiesa per la quale l’evangelista Luca scriveva, lo sguardo rivolto verso Gesù aiuta al fine di non considerarsi più pii di quanto si è e di disqualificare la fede degli altri. Il fariseo sta ogni domenica in chiesa con la testa in alto e sa come deve pregare e comportarsi. Talvolta si trova anche in mezzo a noi. – Meno male che i farisei sono sempre gli altri! Noi siamo come il pubblicano, vero? Non è ormai diventato il pubblicano in noi un fariseo?
La parabola sulla preghiera segue un discorso apocalittico di Gesù che rispetto a quello degli altri evangelisti ha un tono consolante. In vista della venuta del regno di Dio è importante non avere paura nel tempo che ci è donato, ma viverlo con lo sguardo rivolto a Gesù il Cristo. Il regno di Dio è presente e la chiesa non deve più togliere lo sguardo da Gesù Cristo. Come esempi ha i pubblicani, le vedove, i bambini e i poveri. Luca vuole che la sua chiesa viva adesso così come prega e preghi così come vive: così insistente come la vedova, così devota come il pubblicano, così ingenua come i bambini, così generosa come i poveri, così incondizionata come i primi discepoli.
Questa parabola ci invita a una vita che sa riconoscere l’altra parte della nostra anima, quella che giudica, quella che la sa più lunga, quella che è troppo sicura di sé. Ma soprattutto ci invita a una vita di vera e profonda fede, così come il pubblicano ci offre l’esempio.
Voglio vivere con gli occhi puntati su Gesù Cristo nella consapevolezza che lui mi perdona quando il lato farisaico in me è diventato troppo forte. Voglio vivere con il capo alzato per poter vedere le persone intorno a me. Voglio vivere il regno di Dio che è presente tra di noi.
Amen
Ulrike Jourdan