Sermone: La gratitudine

Quando penso ai miei figli vorrei sempre che si comportassero con buona educazione. Direi che a tutti noi piace incontrare delle persone educate e anche noi cerchiamo di comportarci in un modo che risulti gradito agli altri. Ai bambini si insegna la buona educazione, perchè per loro non è sempre così ovvio che cosa sia giusto fare e che cosa non lo sia.

Quando siamo stati quest’estate in Germania i bambini volevano essere molto gentili con la bisnonna e le hanno dato dei grandi bacioni, che avrebbero fatto sciogliere ogni nonna italiana; il problema è che mia nonna è tedesca e non è abituata ai baci, per questo commentava con un po’ di fastidio: “Non è molto igienico!” Comunque dai bis-nipoti si accetta anche un bacio poco igienico!

Ciò che è vero, è che i bambini non hanno sempre voglia di mostrare il loro lato educato. Mi ricordo bene di quando ero bambina e incontravo una lontana zia che aveva portato un regalo per me, ma diceva di volermelo dare solo a patto che le dessi la bella manina. Non mi sono fatta corrompere. Lei non si è presa la bella manina, io non mi sono preso il regalo e mia mamma si è vergognata da morire di sua figlia maleducata e poco grata. – La zia non la sopporto ancora oggi.

Non è facile mostrare gratitudine. Sento spesso le lamentele di quanti ritengono che non venga loro espressa sufficiente gratitudine. Ci sono i figli, anche i figli adulti, che hanno ricevuto tutto e adesso non si fanno più vedere. I vicini che venivano aiutati e adesso non salutano neanche più. Gli amici che non hanno mostrato adeguatamente la loro gratitudine. La richiesta di gratitudine arriva piuttosto velocemente.

Anche il testo della nostra predicazione di quest’oggi parla di gratitudine. Dieci persone chiedono qualcosa, ma solo una mostra gratitudine quando la riceve.

Leggo dal vangelo di Luca nel 17 capitolo a partire dal versetto 11

11 Nel recarsi a Gerusalemme, Gesù passava sui confini della Samaria e della Galilea. 12 Come entrava in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, i quali si fermarono lontano da lui, 13 e alzarono la voce, dicendo: «Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!» 14 Vedutili, egli disse loro: «Andate a mostrarvi ai sacerdoti». E, mentre andavano, furono purificati. 15 Uno di loro vedendo che era purificato, tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce; 16 e si gettò ai piedi di Gesù con la faccia a terra, ringraziandolo; ed era un samaritano. 17 Gesù, rispondendo, disse: «I dieci non sono stati tutti purificati? Dove sono gli altri nove? 18 Non si è trovato nessuno che sia tornato per dar gloria a Dio tranne questo straniero?» 19 E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato».

I dieci lebbrosi di cui parla Luca hanno ricevuto un regalo molto grande. La lebbra era una malattia non curabile per la quale le persone morivano lentamente o, più tristemente, si scioglievano pezzo per pezzo. Ai tempi di Gesù, essere lebbroso voleva dire dover vivere fuori dalla città e dover urlare ad ogni essere umano che si avvicinava ‘Attenzione lebbra’. Erano persone emarginate dalla scuola e da qualsiasi professione, messi da parte dalla società e lasciati soli nella disperazione della loro situazione.

In quella zona, tra la Samaria e la Galilea, dove Gesù passava andando verso Gerusalemme si era messo insieme un gruppo di dieci malati. Potevano così almeno aiutarsi tra di loro. Nella loro condizione non importava neanche se uno era samaritano o ebreo. Per queste storiche inimicizie tra i popoli non c’era più spazio nella miseria.

Questi uomini chiamano Gesù e chiedono aiuto. L’avranno fatto con ogni predicatore itinerante che passava sulla loro strada. Solo questa volta succede il miracolo. Loro guariscono. Succede in modo assolutamente non spettacolare, senza che Gesù li tocchi o che vi sia un qualsiasi avvicinamento. In questo Gesù segue le leggi anticotestamentarie. Manda i dieci uomini semplicemente dai sacerdoti che avevano il compito di testimoniare ufficialmente la guarigione. Da un momento all’altro tutte le barriere sociali sono scomparse per questi ex-malati. Possono girare liberamente, possono nuovamente lavorare, hanno di nuovo pienamente parte alla vita. Dieci uomini sono guariti, ma uno solo torna da Gesù per ringraziare.

È subito riemerge il nostro senso per una buona educazione. Non hanno imparato a ringraziare come si deve? Nessuno gli ha insegnato le buone maniere? Proviamo un attimo a comprendere gli altri nove. Anche loro avranno portato gli olocausti al tempio, come si doveva. Avranno fatto i lavaggi rituali e espresso la loro gratitudine ufficialmente ai sacerdoti. Non è stata colpa loro il fatto che si ammalassero, perché dovrebbero fare mille inchini per ringraziare. Forse hanno pensato di aver fatto abbastanza e sono partiti al più presto verso la loro nuova vita, verso le loro famiglie.

Uno, però, ritorna – e questo è un samaritano. Un uomo che teoricamente dovrebbe vivere con gli ebrei una reale inimicizia. Uno che non dovrebbe neanche riconoscere i sacerdoti dai quali Gesù l’aveva mandato. Uno che percepisce che Gesù non ha solo da offrire un corpo sano. Con Gesù non funziona la logica del dare e avere sulla quale abbiamo basato la nostra società. Io ti do, tu prendi e ringrazi dandomi in retro qualcosa di simile valore. Una società che lavora secondo questi criteri può funzionare, lo vediamo – ma sarà sempre una società fredda perché non riconosce la gratitudine alla quale Gesù ci vorrebbe educare.

Questa gratitudine si sviluppa solo dove si riceve qualcosa senza meritarlo e senza poter dare qualcosa in cambio. Questo è quello che vediamo in quel samaritano, in quello straniero indesiderato, forse addirittura odiato. Egli ha percepito con più chiarezza rispetto ai suoi compagni che non poteva vantare nessun diritto nei confronti di questa guarigione, che Gesù aveva fatto qualcosa per lui, che non si poteva ricompensare con qualche rituale o olocausto. Quest’uomo ha sperimentato che la grazia di Dio ha agito in lui senza che lui si potesse meritare questa grazia.

“Immeritato” è la parola magica. Dire “immeritato” implica la fine del metter in conto. “Immeritato” significa non poter più dire: questo mi spetta. Immeritato vuol dire ammettere il proprio peccato. Vuol dire ammettere di fare degli errori o almeno di poter fare errori. Vuol dire fare un passo in retro per diminuire le proprie pretese.

Oggi ci sono tante persone che sanno perfettamente che cosa possono pretendere. Possono essere i finanziamenti che si aspettano dallo Stato, o certi aiuti che la chiesa dovrebbe dare, e già i bambini ci dicono: questo ce l’hanno tutti, e anche a me spetta.

Solo per intenderci: è giusto ed è bene saper formulare e avere delle attese. La Bibbia non vuole educarci ad accettare tutto ciò che accade con una umiltà mal compresa, con uno spirito inutilmente remissivo. Ma nove uomini in questo racconto, hanno fondato la loro relazione con Gesù sulle pretese e questo non funziona. Il decimo torna perché ha ricevuto qualcosa di immeritato. Una grazia immeritata alla quale non può rispondere con nessun’opera.

E poi sentiamo la strana parola interpretativa di Gesù. Non dice: sì, ti sei comportato bene, hai riconosciuto, hai compreso col tuo intelletto che non ti spettava e per questo ringrazi con tanto entusiasmo. Gesù gli dice invece: la tua fede ti ha salvato. – La fede fa la differenza. La sua fede gli apre la porta per vedere che vive senza averlo meritato e per poter ricevere senza contraccambio. La sua fede cambia la sua visione sulle cose, la sua visione sul mondo.

Tutti ci ammaliamo. Talvolta è solo un’influenza, talvolta è una malattia con la quale combattiamo a lungo, qualcuno muore dopo una malattia e di questo ci lamentiamo. Certe persone si disperano addirittura perché non capiscono come Dio possa ammettere che succedano certe cose e perché la malattia debba colpire proprio loro e i loro cari. Talvolta viviamo anche una guarigione e ringraziamo, ma in tutto ciò siamo ancora sullo stesso livello con i nove uomini.

Diventiamo come il decimo solo quando possiamo vedere ciò che Dio ci dona nella nostra normalissima vita e nella nostra quotidianità – qualcosa di immeritato – quando possiamo vedere che ogni nuovo giorno è un dono di Dio. Ogni giorno, anche i giorni cattivi, anche i giorni che non comprendiamo e vorremmo poter dimenticare subito, tutti i giorni sono un dono di Dio.

È il segreto di quel decimo uomo, di quello straniero, quel non ebreo che torna, che ci insegna con il suo comportamento come noi figli di Dio dovremmo vivere. Ci mostra una fede che è in grado di ricevere con gratitudine dolori e gioie sapendo che è tutto grazia divina. E poi sta scritto che tornava glorificando Dio ad alta voce. Lui che fino a poco tempo prima doveva nascondersi, torna adesso con la testa alzata verso Gesù lodando Dio così che tutti lo possano sentire. Questa è grazia. Questo è ciò che Dio si augura per noi. Una vita del genere vuole donarcela. Dio vuole aiutarci a camminare con una postura eretta e niente più della lode di Dio è capace di farci assumere questa posizione.

Gesù gli dice: Àlzati e va’. Non è il passo dell’orgoglio. È il passo del Fedele che può camminare diritto perché è stato liberato e perché sa che la forza che lo porta supera il proprio fare e agire. Così quel samaritano diventa un esempio di fede per noi. Un uomo che si fida della parole di Gesù, le segue e poi torna con gratitudine e lode.

Ripeto ancora una volta le frasi decisive:

Uno di loro (…) tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce; e si gettò ai piedi di Gesù con la faccia a terra, ringraziandolo;. (…)Gesù, rispondendo, disse: (…) «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato». Amen

Ulrike Jourdan