Sermone: Il padre con i due figli

La settimana scorsa abbiamo parlato di che cosa sia la chiesa e una delle immagini che proponeva Paolo era quella della famiglia. Una famiglia nella quale si vive insieme come fratelli e sorelle, maggiori, minori e tutti intorno a quel Dio che per loro è come madre e padre.
Però lo sappiamo bene che non è sempre facile convivere in famiglia e anche nelle famiglie migliori si litiga talvolta o ci sono delle incomprensioni. Di una famiglia del genere voglio raccontarvi oggi. Una famiglia che forse può dire qualcosa anche a noi come chiesa. Leggo dal vangelo di Luca nel 15 capitolo a partire dal versetto 11
11 (Gesù disse): «Un uomo aveva due figli. Quest’uomo può essere visto come Dio. Egli è un padre che ha però tante caratteristiche che forse definiremmo più femminili. Non penso che qualcuno si stupirebbe del suo comportamento se questo padre fosse una madre. È un padre che non deve far vedere chi comanda in casa. È un padre che non pretende che gli vengano tributati degli onori particolari. È un padre che non si lascia supplicare ma è veloce a perdonare. – Penso che non sia giusto “incastrare” Dio nei nostri schemi di maschile e femminile. E diciamocela tutto: questi schemi non funzionano più, neanche con le madri e i padri di oggi. Non so se hanno mai funzionato veramente, con Dio sicuramente non funzionano.
Questo padre ha due figli. E già di nuovo ci fermiamo perché se il padre è Dio, chi sono i figli? Siamo noi. Per noi cristiani Dio non è uno che ha fatto una volta il mondo ed ora sta in cielo a guardarsi il tutto con distacco. Il nostro Dio non è una delle tante divinità greche che stanno ferme ad osservare il mondo mentre questo tribola. Il nostro Dio si mette in gioco. È come un genitore che vive tutte le gioie e preoccupazioni che costituiscono la vita delle madri e dei padri. Dio vuole questo contatto con noi, vuole che noi ci possiamo rispecchiare in lui, vuole vivere la gioia e il dolore che i figli portano con sé.
Questi figli – e di nuovo devo dirlo: nella parabola sono maschi ma potrebbero benissimo essere anche delle femmine – questi figli sono come capita spesso, molto diversi. Hanno gli stessi genitori ma crescono in maniera completamente diversa. Dovrebbero in teoria fare esperienze simili nella vita ma le interpretano in modo differente. Mio fratello ed io siamo così. Stessi genitori, figli totalmente diversi.
Adesso entriamo nel primo conflitto educativo. Il più giovane di loro disse al padre: “Padre, dammi la parte dei beni che mi spetta”. Accidenti che coraggio! Se fosse mio figlio gli direi: Signorino, prima voglio sentire un bel ‘per piacere’. Secondo, non ti spetta niente. Terzo, così non si parla con la mamma, e adesso sparisci e rifletti sul tuo comportamento.
Dio reagisce diversamente. Egli divise fra loro i beni. Non ha nessun obbligo di fare questo. Chi ha diritto di pretendere l’eredità quando vivono ancora i genitori? Solo il pensiero dovrebbe farlo vergognare. Sono i figli che dovrebbero prendersi cura dei genitori anziani, non viceversa. Questo figlio non ha nessun diritto a chiedere la sua parte dei beni. Comunque, prova come provano tanti bambini e quel padre gli permette di agire secondo la propria testa. Divide i beni tra i suoi figli. Devono tutti e due ricevere lo stesso.
Di lì a poco, il figlio più giovane, messa insieme ogni cosa, partì per un paese lontano, e vi sperperò i suoi beni, vivendo dissolutamente. Non lo sapeva il padre che cosa avrebbe fatto suo figlio? Io dico che lo sapeva. Noi genitori conosciamo bene i nostri figli. Sappiamo come sono fatti, conosciamo i loro limiti e i loro pregi; i loro punti di forza e i loro problemi. Quel padre decide di lasciare suo figlio libero. Decide di fargli fare le sue esperienze, anche se si potrebbe fare male in questo. La pedagogia di Dio è molto moderna e libertaria. Non è facile vivere quest’amore che libera. Non è facile lasciar fare ai propri figli, al bene più prezioso che abbiamo, dei possibili errori. Questo padre si sforza di lasciare suo figlio in libertà e succede proprio quello che si poteva prevedere: l’errore viene commesso. Non sarebbe stato possibile risparmiargli quest’esperienza? No, proprio no.
Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una gran carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Per quel figlio era necessario finire nel bisogno. Esistono delle persone che per incontrare Dio devono finire nel bisogno. Questo non ci dice che Dio vuole che stiamo male, no. Ma esistono tante persone che vivono la loro vita proprio come questo ragazzo. Vogliono fare le loro esperienze ed è giusto che le facciano perché solo nel momento del bisogno si può cambiare qualcosa per loro.
Allora si mise con uno degli abitanti di quel paese, il quale lo mandò nei suoi campi a pascolare i maiali. Gesù racconta questa storia a dei genitori ebrei. Che cosa potrebbe essere peggio per loro di sapere il proprio figlio in compagnia di pagani, addirittura lavorando per loro e contaminandosi nel contatto con degli animali impuri? Diciamo che in questa descrizione vengono messi insieme i peggiori incubi dei genitori dell’epoca. E vi ricordo: Dio permette che facciamo le nostre esperienze. Dio usa addirittura quell’allevatore di maiali pagano (il peggio del peggio) per fare sì che il figlio perduto non debba morire di fame.
Ed egli avrebbe voluto sfamarsi con i baccelli che i maiali mangiavano, ma nessuno gliene dava. Così grande è la fame. Talvolta serve che la fame diventi grande prima che siamo disposti ad accettare ciò che ci fa bene. Non ve lo dico come minaccia. È un semplice fatto. Talvolta affrontiamo questi momenti nella vita nei quali dobbiamo fare certe esperienze. Nessuno ce lo può togliere, dobbiamo attraversarle.
Allora, rientrato in sé, disse: “Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! A quel punto il ragazzo si ricorda di suo padre. Sono sicura che tutti quanti portiamo in noi un ricordo di Dio. Tutti quanti abbiamo un’idea di questo Dio che ci vuole bene e presso il quale c’è abbondanza. Talvolta è un ricordo molto lontano, talvolta è più una speranza ma questa speranza porta alla decisione:
Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi”.
È la decisione di alzarsi dal proprio porcile, di mettersi in cammino verso Dio e di chiedere perdono. Ho peccato. Mi sono distaccato di te. Sapevo bene che non avrei dovuto, e l’ho fatto comunque. Non sono più degno, non ho nessun diritto davanti a te. Chiedo perdono.
Questo è il passo che ogni cristiano deve fare. Non solo quei figli perduti che hanno bisogno di finire nel porcile, ognuno deve riconoscere di non essere degno davanti a Dio e di non avere nessun merito da portare. Anche il bravo figlio che è rimasto alla casa del padre deve riconoscere questo fatto e per lui potrà essere addirittura più difficile che non per il fratello. Il Catechismo di Heidelberg, che utilizziamo ancora nelle nostre chiese chiede ad un certo punto: Siamo dunque corrotti a tal punto da essere del tutto incapaci di alcun bene, e inclini a ogni male? E la risposta è: Sì – a meno che nasciamo di nuovo mediante lo Spirito Santo. Noi non abbiamo niente di cui vantarci davanti a Dio. Né come figli ribelli, né come figli perfetti. Dipende tutto da Dio.
Ma guardiamo che cosa succede, perché finora c’è stato solo il pensiero di quel figlio di voler fare un passo verso il padre.
Egli dunque si alzò e tornò da suo padre; ma mentre egli era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione: corse, gli si gettò al collo, lo baciò e ribaciò.
Il figlio si era fatto tanti pensieri ma prima di poter aprire bocca agisce il padre. Lo vede, corre, gli si getta al collo, lo bacia e ribacia. Potete immaginarvi per quanto tempo questo padre avesse già cercato con gli occhi suo figlio? Nessun genitore lascia andare i figli senza preoccuparsi e lui sapeva delle difficoltà che suo figlio avrebbe avuto. Adesso c’è questa esplosione d’amore nella quale non servono neanche più le parole. Puro amore, questo è Dio.
E il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. È giusto che questa confessione venga espressa anche se il padre non la richiede. È giusto confessare i nostri peccati davanti a Dio e chiedergli perdono. Non serve a lui, serve a noi, per metterci il nostro peccato davanti agli occhi. Serve a noi per esprimere ciò che non va.
Ma il padre disse ai suoi servi: “Presto, portate qui la veste più bella, e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; 23 portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto, ed è stato ritrovato”. E si misero a fare gran festa.
Dio non risponde neanche alla confessione di peccato. Ha già risposto con il suo sguardo, con la sua corsa, con l’abbraccio e i baci. Adesso vuole festeggiare, non solo un pochino, ma una festa in grande perché il figlio era morto ed è tornato in vita.
Chi non è in comunione con Dio vive una vita da morto. Quante persone vivono così, distaccate dalla fonte di ogni vita. Invece Dio fa festa per ognuno che vuole vivere con lui.
Il testo prosegue e ci racconta del secondo figlio che è sempre stato vicino al padre ma non ha tanta misericordia con il fratello tornato.
25 Or il figlio maggiore si trovava nei campi, e mentre tornava, come fu vicino a casa, udì la musica e le danze. 26 Chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa succedesse. 27 Quello gli disse: “È tornato tuo fratello e tuo padre ha ammazzato il vitello ingrassato, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28 Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare. 29 Ma egli rispose al padre: “Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici; 30 ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato”. 31 Il padre gli disse: “Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”».
Dobbiamo chiederci quanta misericordia abbiamo noi con i nostri fratelli e con le nostre sorelle che sono stati nel porcile? Di solito ci è facile individuare i porcili di questa terra. Di solito non abbiamo problemi ad identificare le persone che si sono contaminate con idee e pratiche pagane, eretiche, comunque non degne di un figlio di Dio. Ci è di solito più difficile abbracciare e baciare quanti tra loro tornano. Noi vogliamo sentire le scuse e spesso neanche quelle ci bastano. È così?
Il padre che ci presenta Gesù ha un cuore per i figli ribelli. Lascia loro la loro libertà. Lascia loro fare le esperienze necessarie e poi li accoglie con tutto l’amore che un genitore può provare per la propria carne e il proprio sangue.
Dio ha misericordia con tutti i suoi figli. Di questa misericordia viviamo – tutti quanti. Mostriamoci anche noi a nostra volta misericordiosi con coloro che cercano il Padre tornando dai porcili.
Amen
Ulrike Jourdan