Sermone: Gesù Cristo adempie le promesse

Il racconto del Natale secondo Luca inizia con le parole: In quel tempo uscì un decreto da parte di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l’impero. (Lc2,1) In realtà quella storia inizia molto tempo prima. Inizia con la brama umana di pace e giustizia. Inizia con la brama di qualcuno che metta fine alla violenza nel mondo. Inizia con la speranza di chi porterà luce nelle tenebre.

I testi biblici parlano spesso di questo contrasto tra luce e tenebre. E ultimamente pensavo quanto forte si facciano sentire le tenebre in questo mondo. Da un lato mi riferisco a tutti i luoghi di guerra, ma anche ai luoghi dimenticati dove regna la povertà, dove i bambini crescono senza una speranza per il futuro e dove le persone cercano solamente di sopravvivere senza poter vivere veramente. Possiamo vedere talmente tanti luoghi segnati dalla catastrofe in questo mondo, che talvolta vorremmo solo chiudere gli occhi e non percepire più niente. Crescono le tenebre, cresce la paura e l’odio.

Vedo anche le tenebre personali. Perché anche se noi qui viviamo in un paese che in confronto ad altri sta bene, anzi molto bene, comunque, ci sono persone avvolte nelle proprie tenebre: famiglie devastate, depressioni e malattie, povertà personale. E quelle tenebre sono altrettanto dure da affrontare.

Tenebre nel nostro mondo. In questa settimana c’è stato l’attentato a Berlino e il più grande giornale popolare tedesco, la ‘Bild’ ha scelto come titolo la parola ‘paura’. Tante persone sentono la paura, tante persone sentono crescere le tenebre. – Mi ha fatto piacere che un altro giornale di Berlino abbia scelto invece come titolo un versetto biblico: ‘Non temere’. – Proprio su questo legame vorrei riflettere oggi con voi.

Il testo per il sermone di oggi è tratto dal libro del profeta Isaia. Egli descrive la speranza con la quale gli uomini aspettano il Salvatore. Isaia descrive la speranza della luce nelle tenebre di questo mondo.

Leggo Isaia 9, 1-6

Il popolo che camminava nelle tenebre, vede una gran luce; su quelli che abitavano il paese dell’ombra della morte, la luce risplende.  3 Tu moltiplichi il popolo, tu gli largisci una gran gioia; esso si rallegra in tua presenza come uno si rallegra al tempo della mietitura, come uno esulta quando spartisce il bottino.  4  Infatti il giogo che gravava su di lui, il bastone che gli percoteva il dorso, la verga di chi l’opprimeva tu li spezzi, come nel giorno di Madian.  5 Difatti ogni calzatura portata dal guerriero nella mischia, ogni mantello sporco di sangue, saranno dati alle fiamme, saranno divorati dal fuoco.  6 Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace,  7 per dare incremento all’impero e una pace senza fine al trono di Davide e al suo regno, per stabilirlo fermamente e sostenerlo mediante il diritto e la giustizia, da ora e per sempre: questo farà lo zelo del SIGNORE degli eserciti.

Isaia ci dice che la luce viene nel mondo tramite quel bambino. E il profeta descrive quella luce con parole meravigliose. Parole che dicono qualcosa di misterioso in sé e brillano come se venissero da un altro mondo. Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace. Questi sono i nomi di quel bambino, della luce che viene, i nomi del salvatore. Questi nomi collegano la sfera divina con il mondo umano. Collegano ciò che solo uno nella storia ha potuto collegare. E quell’Uno è Gesù Cristo. Colui che già nel suo nome collega l’uomo Gesù con il salvatore divino, il Cristo.

Egli è chiamato Consigliere ammirabile. Si potrebbe anche tradurre Consigliere di miracoli. Egli non dà solo un consiglio umano. A dare consigli siamo tutti bravi, quando si tratti di consigliare gli altri. Però non è facile mettere questi buoni consigli in atto. Il salvatore atteso è però chiamato consigliere ammirabile, consigliere di miracoli. Lui fa quel miracolo che noi non possiamo fare.

Quando guardo il nostro mondo, penso che ci serva veramente un miracolo. I buoni consigli umani sono falliti. Non sappiamo più come proseguire. La violenza che abbiamo tollerato per troppo tempo si rivolge ora contro di noi. Non sappiamo più come si potrebbe controllare il mostro delle tenebre al quale abbiamo dato spazio per diventare grande e forte.

Noi cristiani conosciamo però il dono della preghiera e forse è venuto il momento di usarlo nuovamente di più, nella consapevolezza che Dio può veramente cambiare persone e situazioni. E questa è per me non solo un’affermazione pia, credo profondamente che Dio possa intromettersi anche negli affari politici. Quando in Germania è crollato il muro, non è successo dopo una guerra, ma quando la gente ha iniziato a pregare. Forse il regime comunista avrebbe saputo come combatterei dei ribelli, ma non avevano nessun’arma contro le preghiere e le manifestazioni pacifiche. Quel muro è crollato senza che si dovesse versare sangue. Nessuno aveva creduto che potesse succedere questo. Io sono convinta che Dio faccia miracoli, egli è il consigliere di miracoli, il consigliere ammirabile.

A Natale festeggiamo il miracolo che supera le speranze e le immaginazioni umane. Dio stesso diventa umano. Noi percepiamo così il miracolo dell’amore di Dio. Il suo consiglio è l’amore. L’amore che cambia il mondo, l’amore che salva, l’amore che combatte le tenebre dell’odio e della violenza.

Il secondo nome dell’atteso salvatore è Dio potente. In un mondo nel quale vediamo sempre più che anche quelli che dovrebbero avere il potere in mano, alla fine non ce l’hanno per davvero, in un mondo del genere, diventa sempre più chiaro, che l’unico con vera potenza è Dio. E a Natale la sua potenza si fa vedere in quel bambino nella mangiatoia. Dio usa un’altra potenza rispetto alla nostra. Nella massima impotenza del neonato si fa vedere la potenza divina. Dio diventa simile a noi fin nel profondo della nostra esistenza. Diventa uno di noi. Con la potenza del suo amore supera l’abisso tra Dio e uomo. Proviamo a far crescere l’amore, contro tutta la paura, contro le tenebre che vogliono accecare. Dio mostra la sua potenza nell’amore.

Il terzo titolo del bambino è Padre eterno. Come potrebbe essere un bambino eterno e padre? – Solo nel modo in cui lo interpreta il vangelo di Giovanni dove Gesù dice: Chi ha visto me, ha visto il Padre (Gv 14,9) Chi vede l’uomo Gesù, vede anche Dio in lui, il Cristo.

Il quarto e l’ultimo nome utilizzato è Principe della pace. Anche questo titolo porta delle contradizioni in sé. Chi crede ancora che i principi o i re o i politici possano fare pace? Quando vi sarà finalmente la pace? Questo se lo domandano tante persone. Appena sembra che in una zona le cose si calmino, scoppiano le bombe nel Paese accanto. Un dittatore è esautorato e già sorge il prossimo. Quando sarà finito tutto questo? Quando vi sarà finalmente pace?

La pace c’è dove l’amore di Dio incontra gli uomini. Questo è il controprogetto a tutti i tentativi mondani di costruire il dominio con la violenza. Gesù Cristo è il principe della pace. Gesù è colui che fa vedere la potenza di Dio nell’amore. Gesù è colui che può fare miracoli perché ci ama. Gesù ci fa vedere il volto del padre eterno che ama questo mondo.

Nel corso dei secoli sono cresciute sempre di più le attese e le speranze degli uomini. Un Dio potente, un principe doveva liberare le persone dall’oppressione. Però ci si dimenticava che cos’altro aveva detto Isaia di quel salvatore del mondo, che sarebbe stato un bambino.

Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle.

Le promesse di Isaia si adempiono diversamente da come se le aspettava la gente. Noi cristiani crediamo che le promesse di Isaia si adempiano nella persona di Gesù Cristo, nel bambino che nasce nelle tenebre di questo mondo e porta l’amore di Dio verso gli uomini.

E per questo vi leggo ora il racconto di Natale dal vangelo di Luca 2,1-14

In quel tempo uscì un decreto da parte di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l’impero.  2 Questo fu il primo censimento fatto quando Quirinio era governatore della Siria.  3 Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno alla sua città.  4 Dalla Galilea, dalla città di Nazaret, anche Giuseppe salì in Giudea, alla città di Davide chiamata Betlemme, perché era della casa e famiglia di Davide,  5 per farsi registrare con Maria, sua sposa, che era incinta.  6 Mentre erano là, si compì per lei il tempo del parto;  7 ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito, lo fasciò, e lo coricò in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.  8 In quella stessa regione c’erano dei pastori che stavano nei campi e di notte facevano la guardia al loro gregge.  9 E un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e furono presi da gran timore.  10 L’angelo disse loro: «Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà:  11 “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore.  12 E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia”».  13 E a un tratto vi fu con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:  14 «Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini ch’egli gradisce!»

Gesù Cristo è il salvatore che già i profeti hanno annunciato. Lui è il Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace.   Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: Il messaggero di buone notizie

Mercoledì scorso si sono riuniti i leader d’Europa a Bruxelles ed è successo ciò che nessuno aveva previsto per quella seduta. Era venuto a Bruxelles il sindaco di Aleppo, senza speranza di poter entrare nella sala blindata dove s’incontra il potere. Lui aveva previsto di partecipare alla manifestazione davanti all’ingresso dell’edificio, voleva gridare la sua rabbia e disperazione e poi – chiamatelo come volete: il caso, la provvidenza, la mano di Dio – è stato invitato ad entrare per parlare davanti a tutti i presidenti e cancellieri d’Europa. Ha raccontato della sua città, dove sono intrappolati più di 50.000 civili che attendono il massacro. Quel sindaco ha gridato ai nostri politici: “Questi potrebbero essere i vostri parenti, i vostri figli.”

È seguita una lunga discussione che però alla fine ha solo portato alla dichiarazione che non sappiamo che cosa si possa fare a parte qualche aiuto umanitario. Non c’è una vera idea su come si potrebbe intervenire. Anzi non c’è nessuna idea. – Quell’orrore della Siria è molto vicino a noi. Nei tre appartamenti sopra la chiesa vivono 15 persone che sono fuggite da lì. Sono i loro parenti che vivono lo sterminio sulla loro pelle.

Contemporaneamente succede qualcosa di totalmente diverso nel nostro Paese. Ci prepariamo al Natale con regali e panettoni, inviti per le feste e tante luci. – Sembra un contrasto troppo grande con ciò che succede nel nostro mondo. Sembra quasi cinico voler festeggiare mentre il mondo va in pezzi. – Per me non lo è.

Penso che proprio perché il nostro mondo è insicuro e disorientato, ci serve il messaggio natalizio. E questo messaggio non è solo l’arrivo di un bambinetto ma la venuta di Dio stesso in un mondo caotico e distruttivo, la venuta del principe di pace. Di pace abbiamo bisogno. Della pace parla anche il testo previsto per il sermone di oggi.

È il profeta Isaia che parla e che fa una promessa sulle rovine di Gerusalemme. Parla di pace e salvezza e soprattutto della presenza di Dio.

Leggo dal libro del profeta Isaia 52,7-10

7 Quanto sono belli, sui monti, i piedi del messaggero di buone notizie, che annunzia la pace, che è araldo di notizie liete, che annunzia la salvezza, che dice a Sion: «Il tuo Dio regna!»  8 Ascolta le tue sentinelle! Esse alzano la voce, prorompono tutte assieme in grida di gioia; esse infatti vedono con i propri occhi il SIGNORE che ritorna a Sion.  9 Prorompete assieme in grida di gioia, rovine di Gerusalemme! Poiché il SIGNORE consola il suo popolo, salva Gerusalemme.  10 Il SIGNORE ha rivelato il suo braccio santo agli occhi di tutte le nazioni; tutte le estremità della terra vedranno la salvezza del nostro Dio.

Isaia parla alla fine dell’esilio babilonese. Babilonia? Oggi lo chiamiamo Iraq. È sempre la stessa regione. 4.000 anni fa erano i nostri antenati biblici che venivano deportati dalla terra d’Israele in Babilonia dopo la guerra perduta. Oggi le persone fuggono da lì verso l’Europa. È sempre lo stesso.

Le persone all’epoca ebbero la stessa brama che abbiamo anche noi oggi: la pace, la felicità, la salvezza. Si chiesero come avrebbero potuto andare avanti per il loro popolo. Si chiesero dove fosse Dio e che cosa fosse la Sua volontà in tutto ciò. – Mi sembrano domande molto attuali.

Quel gruppo di Israeliti fu deportato in Babilonia dopo la sconfitta di Gerusalemme. La generazione dei nonni ricordava ancora la patria, aveva visto la distruzione del paese e affrontato la lunga marcia di circa 2.000 km attraverso il deserto. La seconda generazione era cresciuta sotto lo shock della deportazione, ma trovò un minimo di sicurezze nella nuova patria. La terza generazione iniziò invece a sentirsi a casa a Babilonia. Loro furono Babilonesi di religione ebraica. – Chi sa quando arriveremo noi finalmente al punto di poter dire con serenità che qui da noi vivono italiani i cui antenati vengono dalla Siria o dal Gambia o dalla Cina?

Torniamo a Babilonia. Quanti appartenevano a questa terza generazione vissero un periodo di gravi difficoltà della nuova patria – anche qui potremmo trovare qualche parallelo – e si domandarono come si potesse andare avanti.

In questa situazione si fa sentire il profeta Isaia e racconta del messaggero di buone notizie che viene a Gerusalemme per annunciare la pace e la liberazione. Descrive l’ingresso trionfale di Dio.

Prima viene il messaggero. È colui che ha corso tutto il tratto di strada da Babilonia a Gerusalemme per portare la buona notizia. E questa buona notizia è che Dio ha vinto, ha vinto la guerra così che il popolo può tornare nella propria patria. Dio porta la pace, questo è il messaggio buono che si deve diffondere.

Quanto sarebbe bello se questo messaggio valesse anche per noi. Pace, finalmente. Pace in Siria, in Afghanistan. Pace tra immigrati e nativi, pace tra ricchi e poveri, pace tra i vari partiti politici, pace tra genitori e figli. Ci servono buone notizie. E la notizia del Natale che Dio viene nel mondo è la migliore notizia che c’è. Dio si fa umano. Si lancia in questo mondo pieno di odio e di guerre, pieno di pregiudizi e incomprensioni, pieno di problemi non risolti. Dio viene nella persona di Gesù Cristo. Questa è la buona notizia che vuol essere diffusa.

I primi che sanno della buona notizia sono le sentinelle di Gerusalemme. Loro vedono il messaggero che si avvicina con la buona notizia. Questo è una dei primi testi nella Bibbia dove si usa la parola ‘buona notizia’ – in greco euangellion – in latino evangelium. Il messaggero che viene da Babilonia porta il vangelo, la buona notizia della vittoria di Dio. I deportati sono liberi, l’esilio è finito, è tempo di pace.

Chi sente la buona notizia? Sono le rovine di Gerusalemme. Non sono solo le mura che si sono rovinate nella guerra, ma anche le persone che portano gravi ferite nel corpo e nell’anima. La guerra ha rovinato le persone, li ha consumati, logorati. E proprio a loro che non si sentono più tanto intatti, viene annunciato la buona novella: Dio ha vinto. Dio ci viene vicino. Dio è la pace e viene da noi. Soprattutto per le persone che vivono solo più nelle rovine della propria vita, vale la promessa: il SIGNORE consola il suo popolo.

Il SIGNORE ha rivelato il suo braccio santo. È Dio stesso il protagonista. Lui viene. È il suo avvento che festeggiamo. Lui viene per portare pace con questo braccio santo che è fatto per consolare.

Isaia pronuncia una forte promessa e lascia noi oggi con una certa perplessità. Mentre lui vedeva la venuta trionfale di Dio verso il suo popolo, noi oggi ci chiediamo nuovamente: ma dov’è Dio? Che cosa vuole da noi, da me? Come possiamo trovare la pace?

In questo periodo dell’anno sono per me soprattutto gli inni che cantiamo che portano qualcosa della promessa. Questi inni che mi dicono che Dio non ci lascia da soli con i nostri problemi irrisolti, ma che vuole venirci vicino, viene per fare parte di questo mondo assurdo. In tanti di questi inni possiamo ancora sentire la voce del profeta. L’abbiamo cantato prima insieme. ‘Dal ceppo secolare’- ‘Es ist ein Ros entsprungen’. Queste sono le parole di Isaia.

Ogni volta che cantiamo questi inni, diamo voce alla promessa di Dio. Cantando la promessa di Dio si avvera, così come si è avverata nella predicazione di Isaia. Cantando aumentiamo la speranza e la gioia e la consapevolezza che Dio ci viene veramente vicino. Cantando queste parole divengono vere anche in noi:

Dio diventa umano, vuole esserci vicino, vuole portare la pace nel nostro mondo.

Questo è la buona notizia. Cantiamola, per noi stessi e per tutte le persone che da tempo aspettano questa buona notizia. Cantiamo con gioia: Dio viene – vieni Signore!

Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: La verticale messianica

L’autore ebreo Manès Sperber racconta di un gioco che faceva da bambino con i suoi compagni di scuola. Lo chiamavano ‘La verticale messianica’. Lo scopo era di rimanere il più a lungo possibile sulle proprie mani con la testa in giù o di camminare più a lungo di tutti in questa posizione. I ragazzini volevano prepararsi per il periodo messianico sapendo che quando il messia avrebbe fatto ritorno, avrebbe messo tutto il mondo sotto-sopra. I piccoli saranno i grandi, i poveri saranno ricchi e quelli che erano sempre oppressi non lo saranno più. I ragazzini si volevano preparare con il loro gioco a quest’evento.

Avvento, penitenza, dare alla vita una nuova meta in direzione messianica – per Sperber è stato un giochino. Per Giovanni, detto il Battista, è stata letteralmente una predicazione nel deserto. Voglio leggervi questa predicazione così come è riportata nel vangelo di Luca al terzo capitolo,1-14:

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, quando Ponzio Pilato era governatore della Giudea, ed Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene,  2 sotto i sommi sacerdoti Anna e Caiafa, la parola di Dio fu diretta a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.  3 Ed egli andò per tutta la regione intorno al Giordano, predicando un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati,  4 come sta scritto nel libro delle parole del profeta Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri.  5 Ogni valle sarà colmata e ogni monte e ogni colle sarà spianato; le vie tortuose saranno fatte diritte e quelle accidentate saranno appianate;  6 e ogni creatura vedrà la salvezza di Dio”».  7 Giovanni dunque diceva alle folle che andavano per essere battezzate da lui: «Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira futura?  8 Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento, e non cominciate a dire in voi stessi: “Noi abbiamo Abraamo per padre!” Perché vi dico che Dio può da queste pietre far sorgere dei figli ad Abraamo.  9 Ormai la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero dunque che non fa buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco».  10 E la folla lo interrogava, dicendo: «Allora, che dobbiamo fare?»  11 Egli rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne faccia parte a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».  12 Vennero anche dei pubblicani per essere battezzati e gli dissero: «Maestro, che dobbiamo fare?»  13 Ed egli rispose loro: «Non riscotete nulla di più di quello che vi è ordinato».  14 Lo interrogarono pure dei soldati, dicendo: «E noi, che dobbiamo fare?» Ed egli a loro: «Non fate estorsioni, non opprimete nessuno con false denunzie, e contentatevi della vostra paga».

Nei primi due capitoli del suo vangelo, Luca racconta la nascita e l’infanzia di Gesù e di Giovanni Battista. Luca intreccia le loro due vite sin dall’inizio. Con il terzo capitolo apre la parte centrale del suo vangelo e di nuovo vediamo nel principio del suo racconto Giovanni Battista e Gesù, adesso come uomini cresciuti.

Luca ci tramanda accuratamente i dati politici della storia per farci capire che quello che viene riportato su Gesù non è successo sull’isola che non c’è, ma in luoghi conosciuti e in un tempo ben determinato. Luca cita l’imperatore Tiberio e i sommi sacerdoti Anna e Caiafa. Grazie a questi dati possiamo sapere che tutto questo è successo negli anni 26-29 dopo Cristo.

A quel tempo, così scrive Luca, la parola di Dio fu diretta a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Luca ci ripete delle parole del profeta Isaia per mettere in chiaro che queste promesse dell’Antico Testamento iniziano ad adempiersi con Giovanni e la sua predicazione.

«Voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni valle sarà colmata e ogni monte e ogni colle sarà spianato; le vie tortuose saranno fatte diritte e quelle accidentate saranno appianate; e ogni creatura vedrà la salvezza di Dio”».

Non lo so se oggi si farebbero ancora così grandi preparativi per l’avvento del messia. Ogni valle sarà colmata, ogni monte e colle sarà spianato per costruire una via trionfale sulla quale può arrivare il salvatore. Oggi sicuramente ci sarebbe qualcuno che ha qualcosa contro. Costa troppo, non è bene per l’ambiente, abbiamo già visto abbastanza persone che sono entrate nelle nostre città trionfando.

L’Antico Testamento non conosce questi problemi. Con questa visione vuole esplicare quanto meraviglioso e rinnovante sarà l’avvento del Salvatore – un’immagine bellissima, spesso usata da musicisti e letterati.

E in questa bella immagine vediamo Giovanni Battista. Egli predica la penitenza, l’esortazione alla conversione, e sigilla tutto ciò con il battesimo nel Giordano. Anche Gesù si farà battezzare da Giovanni.

La predicazione di Giovanni non potrebbe essere più chiara: «Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira futura? Questo lo dice alla gente che viene per sentirlo. Non voglio accondiscendere a tutte le immagini, ma quello che secondo me è importante è la meta di Giovanni: parla per tutta la gente che viene da lui al Giordano. Non predica solo per la gente normale, ma anche per gli emarginati come i pubblicani e i soldati, gente con cui nessuno voleva avere a che fare. Forse potremmo paragonarli oggi con i mafiosi o con i finanzieri che hanno rubato tanti soldi. Proprio anche loro vengono coinvolti da Giovanni, lui predica anche per loro.

Il contenuto della predica non è totalmente nuovo: «Chi ha due tuniche, ne faccia parte a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» Questa è la linea guida del comportamento etico di Giovanni. È un comportamento che dovrebbe interrogare anche noi che di solito non abbiamo due tuniche nell’armadio ma piuttosto cinque o sei. E comunque non è facile per noi dare una di queste cinque via, perché pensiamo che si potrebbe usare ancora una volta. Non dico di più, sappiamo tutti che è follia quello che facciamo.

Giovanni non predica neanche il rigorismo che sosterrà Gesù nella parabola del giovane ricco al quale dice: vendi tutto quello che hai, e distribuiscilo ai poveri, … poi vieni e seguimi. (Lc 18,22) Di fronte a quest’esortazione rimaniamo tutti un po’ basiti visto che un minimo di sicurezza e anche di possesso vogliamo averlo tutti, se no non faremmo la vita che facciamo da piccoli borghesi. Giovanni tenta di incontrare i suoi uditori laddove sono. Egli non pretende che loro facciano una vita di ascesi e di povertà come lui stesso o come in seguito lo faranno tante persone nella storia. Lo scopo di Giovanni è piuttosto di incoraggiare la gente ad aprirsi nel loro quotidiano per i poveri, a non chiudere più gli occhi davanti al prossimo e ad aiutare molto semplicemente dove ce n’è bisogno.

In tutta la sua drasticità questa predicazione di penitenza rimane molto umana. Giovanni dice alla gente come si possa vivere meglio nel quotidiano.

Giovanni non lascia intravedere delle false sicurezze: non l’essere membro di una chiesa è decisivo per Dio, ma piuttosto il fatto che qualcosa dell’amore di Dio si rispecchi nella nostra vita. Giovanni non mette in discussione il fatto che una persona possieda qualcosa, fino a quando questo possesso non impedisce di aprirsi al prossimo. Vuol dire: fina a quando non teniamo il nostro possesso solo per averlo e per farlo crescere, fino a quando noi decidiamo di usare quello che possediamo e non siamo posseduti da queste cose, fino a quel punto va benissimo anche il possesso.

Oggi non possiamo fingere di non conoscere ciò che Gesù stesso ci ha portato e insegnato: la sicurezza che l’amore di Dio vale per tutti gli uomini, indipendentemente da come essi siano. E in base a questa premessa è ancora più ovvio che Dio pretenda da noi che ci apriamo per il nostro prossimo che ha bisogno. – Come risposta dell’amore di Dio per noi.

In quest’apertura Giovanni include anche i pubblicani e i soldati. Anche loro vanno al Giordano per farsi battezzare. La sua risposta alla domanda «Maestro, che dobbiamo fare?» non mette in discussione il loro mestiere e non pretende che essi mettano da parte il loro lavoro. Giovanni voleva che la gente cambiasse il proprio comportamento con il prossimo. Questo poteva succedere facendo ogni mestiere. Ai pubblicani dice: «Non riscotete nulla di più di quello che vi è ordinato» e ai soldati: «Non fate estorsioni, non opprimete nessuno con false denunzie, e contentatevi della vostra paga». Avendo le nostre sfide di oggi in mente potremmo quasi dire che Giovanni da una risposta non rivoluzionaria.

All’epoca sicuramente non lo era. Gli uditori avranno seguito il dialogo con i pubblicani e con i soldati molto criticamente. Con loro non si parlava neanche, (per un buon ebreo) erano esclusi dalla vita quotidiana e dalla comunione.

Oggi, avendo molte più possibilità, che cosa ci direbbe Giovanni alla domanda: Che cosa dobbiamo fare noi da uomini responsabili per vivere la nostra fede?

Il principio fondamentale che sostiene Giovanni è: Ogni persona è responsabile per le sue azioni e per il suo prossimo, indipendentemente da come vive o lavora. Quest’opinione può anche essere una chiamata per noi oggi.

Un tale atteggiamento e da imparare, forse come nel gioco che citavo all’inizio nel quale i ragazzi camminavano con la testa in giù. Non è facile, non funziona da oggi a domani, ma vogliamo farci incoraggiare da Dio a vivere la nostra vita in maniera responsabile davanti a lui, così che la vita possa vincere in questo mondo. Questo è lo scopo, duemila anni fa al Giordano e oggi qui a Padova. Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: Ritornerà

Il testo della predicazione di quest’oggi ci mostra chiaramente che il tempo dell‘Avvento è un tempo di penitenza. E questo, si potrebbe dire, non centra granché con l’euforia prenatalizia. È un testo incisivo, che parla di lutto e angoscia e della bramosia di redenzione. In questo testo si sente ben poco della gioia dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, di cui abbiamo ancora parlato l’altra domenica quando abbiamo detto che Gesù è il re dei re che viene, anche verso di noi. Ora le urla di osanna si sono calmate. Il tema di questa domenica è l’attesa del ritorno di Gesù. Il nostro testo si trova nel discorso sulla fine dei tempi in Matteo nel capitolo 24,1-14

Mentre Gesù usciva dal tempio e se ne andava, i suoi discepoli gli si avvicinarono per fargli osservare gli edifici del tempio.  2 Ma egli rispose loro: «Vedete tutte queste cose? Io vi dico in verità: Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sia diroccata».  3 Mentre egli era seduto sul monte degli Ulivi, i discepoli gli si avvicinarono in disparte, dicendo: «Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell’età presente?»  4 Gesù rispose loro: «Guardate che nessuno vi seduca.  5 Poiché molti verranno nel mio nome, dicendo: “Io sono il Cristo”. E ne sedurranno molti.  6 Voi udrete parlare di guerre e di rumori di guerre; guardate di non turbarvi, infatti bisogna che questo avvenga, ma non sarà ancora la fine.  7 Perché insorgerà nazione contro nazione e regno contro regno; ci saranno carestie e terremoti in vari luoghi;  8 ma tutto questo non sarà che principio di dolori.  9 Allora vi abbandoneranno all’oppressione e vi uccideranno e sarete odiati da tutte le genti a motivo del mio nome.  10 Allora molti si svieranno, si tradiranno e si odieranno a vicenda.  11 Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti.  12 Poiché l’iniquità aumenterà, l’amore dei più si raffredderà.  13 Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato.  14 E questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine.

Gesù esce dal tempio e scende nella valle di Chidron e poi sale di nuovo in alto sul Monte degli ulivi verso Betania. Il sole risplende ancora nel tramonto e le pietre di marmo del tempio e il suo tetto d’oro riflettono l’ultima luce del giorno. “Non si può vedere edificio più bello del tempio di Erode! Di che cosa l’ha fatto fare? Di marmo nero, giallo e bianco, una fila in avanti, una fila indietro così che la calce si attacchi. Erode lo voleva addirittura coprire tutto d’oro ma il nostro maestro gli diceva: No, lascia stare, così è ancora più bello; sembra la schiuma delle onde nel mare”. E lo storico ebreo Giuseppe Flavio scrive: “L’aspetto del tempio era tale da renderlo oggetto di adorazione per l’occhio e lo spirito. C’erano dappertutto dei blocchi d’oro e all’alba risplendeva con lo splendore del fuoco, che dava luce agli spettatori. Da lontano sembrava una montagna di neve perché dove non era coperto d’oro era totalmente bianco.” È questo tempio di una bellezza straordinaria, che Gesù sta guardando quando Matteo scrive questo episodio, perché sa già che questo edificio meraviglioso verrà distrutto. Ma per i discepoli quest’affermazione è improvvisa e inaspettata. Gesù dice: «Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sia diroccata». E la profezia di Gesù si compie parola per parola. Quello che vediamo ancora oggi del tempio di Gerusalemme sono solamente le vecchie mura. – M’immagino come i discepoli e Gesù abbiano fatto una pausa durante il cammino verso Betania. Stanno seduti a mezza altezza sul Monte degli ulivi, si godono lo splendore del tempio e sentono un brusco contrasto in queste parole così dure. E visto che sono da soli con Gesù colgono l’occasione per domandare: «Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell’età presente?» Esattamente come i discepoli anche tante altre persone nel corso della storia hanno posto questa domanda. Quando sarà? Tanti hanno fatto delle ipotesi, addirittura il nostro John Wesley, si è lasciato trascinare da questa mania e ha ripreso la data che Bengel – un teologo pietista tedesco – aveva proposto per la fine del mondo. Avrebbe dovuto essere più o meno 150 anni fa!

Personalmente devo dire che anch’io trovo angosciante lo scenario che descrive Gesù: mi sembra spaventosamente attuale. Ma è proprio questa l’intenzione del testo. I lettori devono potersi ritrovare in questo testo. Loro devono e anche noi dobbiamo trovarci in questo tempo dei ‘guai’. Solo tra parentesi, in tedesco la traduzione dice “il tempo delle doglie”: forse chi ha passato le doglie può capire di quale guai parla Gesù! Ma quello che mi sembra fondamentale capire è questo: non si tratta di trovare proprio un punto determinato nella storia, ma piuttosto di identificarsi con questo tempo dei guai. Per questo è scritto qualche versetto dopo la nostra pericope: Ma quanto a quel giorno e a quell’ora nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma il Padre solo. (Mt 24,36) Per questo non voglio fare oggi con voi delle speculazioni su come si svilupperà la storia, ma piuttosto sentire quello che Gesù dice ai suoi discepoli per il tempo prima della fine, per questo tempo dei guai.

Secondo me l’immagine tedesca per descrivere questo periodo rende bene. Come una donna incinta guarda con attenzione tutto quello che potrebbe nuocere a se stessa o al bambino, così anche la comunità guarda e attende la fine della gravidanza, la fine delle doglie, attende l’arrivo del bambino, l’arrivo di Gesù che ritorna.

Gesù da delle indicazioni piuttosto povere per questo tempo dei guai. Una prima esortazione è: Guardate che nessuno vi seduca. La seduzione è per una comunità qualcosa di più pericoloso della persecuzione. La persecuzione unisce la comunità, la seduzione la spacca. La persecuzione fa vedere quanta verità c’è nella fede, la seduzione quanta ipocrisia. E Gesù ha un’idea ben precisa di come sarà quella seduzione. Egli dice: Poiché molti verranno nel mio nome, dicendo: “Io sono il Cristo” E Gesù aveva ragione. Già nel libro degli Atti, Luca scrive di Teuda e dell’Egiziano che ha portato 4.000 uomini nel deserto. Se un predicatore 2.000 anni fa aveva il potere di disorientare 4.000 persone, quanti potrebbero esser oggi, visto che tramite i mass-media e l’interconnessione globale siamo diventati ancora più raggiungibili? Gesù dà il consiglio di rimanere sobri e dice: State attenti…

Il secondo avvertimento di Gesù riguarda il timore: Voi udrete parlare di guerre e di rumori di guerre; guardate di non turbarvi. Io mi turbo spesso guardando le notizie, vedendo che già di nuovo si è aperto un luogo di crisi, un conflitto. Gesù non promette alla comunità, e neanche a noi di rimanere fuori da queste guerre; ma non il timore, bensì la speranza, la speranza della redenzione deve guidare l’agire della comunità.

Un terzo avvertimento riguarda l’attesa precipitosa. Noi cristiani viviamo nell’attesa della fine ma non sappiamo quando sarà. Questo rappresenta una grande tensione in cui non è facile vivere. A me personalmente piace molto in rapporto a ciò la frase attribuita a Martin Lutero: “Anche se domani venisse la fine del mondo… io andrei ancora oggi a piantare un albero di mela” In questo mondo ci sono abbastanza alberi che devono ancora essere piantati – Ci sono abbastanza cose da fare. Gesù ci vuole dare una speranza viva, ma anche sobria e resistente.

In questi versetti si è parlato finora di eventi catastrofici: guerre, fame, terremoti. Adesso si parla degli eventi che toccano direttamente la comunità, cioè persecuzione, seduzione, falsa profezia, mancanza di disciplina. Gesù parla della decadenza della chiesa. Quando sento parlare di questa decadenza, non penso in primo luogo a dottrine esterne alla fede cristiana, ma piuttosto a dottrine cristiane strane. Penso a quelle persone si considerano cristiani, anche molto pii, ma non ritengono necessario leggere la bibbia perché questo è compito del pastore. È pagato per questo o non è così? Ci dirà quello che è giusto credere o no? E Gesù dice: verificate quello che sentite. Verificate quello che vi viene detto confrontandolo con la Sacra Scrittura, con la vostra tradizione, con le vostre esperienze, con la ragione. Per noi è normale esaminare tutto. Vi faccio un esempio banale: vorrei prendere dei regali di Natale per i miei figli che non siano solo belli, ma soprattutto utili. Mi sono informata su che cosa sarebbe la cosa migliore, ho parlato con diversi genitori, ho letto in internet e adesso cerco. Sono andata in un negozio grandissimo, ho esaminato i loro prodotti ma non erano proprio così come li volevo e sono ritornata senza regali. Penserete che io sia un po’ matta, ma io vi dico: in un modo o nell’altro facciamo tutti, ogni giorno, questo tipo di analisi. Quando qualcosa ci sembra importante, approfondiamo per bene fino a quando siamo convinti. – D’altro canto, devo dire che rimango spesso perplessa di fronte alla facilità con cui tante persone “bevono” le verità della fede senza approfondire nulla. Gesù ci dice: State attenti e verificate quello che sentite.

Un’ulteriore caratteristica della chiesa decadente è la diffusione della mancanza della disciplina. Si slega l’evangelo dalla legge, ma così l’evangelo diventa una grazia a buon mercato. E si ritiene che la legge ci leghi soltanto e che non possa essere anche un cammino di libertà. Senza la legge la vita di una comunità di individui non sarebbe possibile. Senza la legge si distrugge la fiducia e l’affidabilità. Senza la legge si distrugge l’amore ed è proprio quello che intende Gesù dicendo: l’amore dei più si raffredderà. L’amore si raffredda quando le leggi di Dio non sono più considerate come necessarie. È un tema caldo quello di cui parliamo, perché ho l’impressione che proprio nel nome dell’amore e della tolleranza tacciamo spesso e non diciamo quello che leggiamo nella parola di Dio. Ma proprio con questo tipo di tolleranza mal intesa muore l’amore. La legge di Dio ci libera. Più io dipendo da Dio, più divento libero.

Alla fine del suo discorso Gesù parla della parte della comunità che tiene fino alla fine. Quelli saranno salvati. Esiste una parte che non cede, che non molla, ma che vive nella testimonianza di Gesù Cristo. Quella parte della comunità terrà fino alla fine. E a questo punto Gesù dice quando sarà quella fine. Dice: questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine.

La missione mondiale è la fine della storia. In tutto il mondo, per tutti i popoli verrà predicato il vangelo.

Proviamo un attimo a riassumere questo testo difficile. Tutto inizia con la domanda dei discepoli: quale sarà il segno della tua venuta? E Gesù da una risposta totalmente contraria al trend di oggi. Non dice che tutto sarà meglio e ancora meglio, ma l’esatto contrario. Gesù parla della decadenza del mondo e della chiesa. Ma parla anche di speranza. Speranza nel suo ritorno. Speranza nella fine dei guai, nella fine delle doglie. Speranza in un nuovo mondo. Con questa speranza possiamo anche noi come comunità vivere e andare oltre con il nostro lavoro. Amen

Ulrike Jourdan

In ascolto: Avere fede anche nel buio della notte

Io mi sono coricato e ho dormito, poi mi sono risvegliato, perché il Signore mi sostiene

Salmo 3, 5

Pace a voi tutti che siete in Cristo
I Pietro 5, 14

Mercoledì abbiamo riflettuto sui periodi di lotta nella vita. Tempi duri, di angoscia, di notte. Tempi che lasciano delle ferite.

Il Salmo 3 che ci è proposto oggi, è stato composto da Davide quand’era costretto a fuggire davanti ad Absalom, suo figlio. Così sta scritto nel titolo del Salmo. Il re Davide viveva un periodo duro e di lotta, addirittura di scontro con il proprio figlio. E Davide si lamenta davanti a Dio di tutti i numerosi nemici che osano affermare che non ci sarebbe più salvezza per lui presso Dio.

Davide porta tutta la sua rabbia e il suo lamento davanti a Dio. Canta della sua tristezza e sconsolazione. Dà voce ai suoi sentimenti più profondi. E così facendo, prega. Comunica con Dio. Porta i suoi pensieri e i suoi limiti a quel Dio che egli riconosce come scudo.

Però poi si mette a dormire. Non combatte come Giacobbe fino al mattino, si abbandona semplicemente alla notte, al sonno, perché, pur avendo miriadi di genti contro di sé, sa che Dio è il suo scudo.

Anche questa è fede. Saper accettare la notte, nella fiducia di essere circondati da uno scudo protettivo.

Davide aveva pregato. Aveva cantato e detto tutto quello che aveva da dire. Infine accetta anche di non poter più fare niente e si fida del suo Signore che lo sostiene. Si fida a tal punto da poter dormire.

È questa la fiducia che vorrei imparare da Davide nelle notti nelle quali mi rigiro nel letto pensando di dover trovare tutte le soluzioni ai problemi di questo mondo. Davide invece dorme pieno di fiducia.

Penso che sia questa fiducia che porta alla pace che ci augura Pietro: Pace a voi tutti che siete in Cristo.

Ulrike Jourdan

Sermone: Gli insegnamenti della fede

Afferra saldamente l’istruzione, non lasciarla andare; conservala, perché essa è la tua vita

Proverbi 4, 13

Lo scopo di questo incarico è l’amore che viene da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera
I Timoteo 1, 5

Già lunedì abbiamo riflettuto sulla figura di Timoteo e sull’educazione alla fede. I due versetti di oggi parlano a degli adulti che devono ricordarsi della loro istruzione. Nei Proverbi è la Sapienza che parla, che ha istruito personalmente il figlio che ora deve afferrare e conservare l’insegnamento ricevuto. Mi chiedo che cosa ho imparato io da Dio che non devo dimenticare.

È, al tempo stesso, il pregio e il dramma di una buona educazione che il soggetto non si renda conto di aver ricevuto proprio quell’insegnamento. Il tema è talmente interiorizzato che non può più essere visto come qualcosa di ricevuto, ma sembra far parte dell’essere.

So quanto è diversa una vita che è basata sull’amore incondizionato da una vita che non conosce l’amore. So che posso fare delle scelte diverse conoscendo e avendo interiorizzato la libertà. So che le mie decisioni prese seguendo i comandamenti di Dio possono essere differenti e talvolta poco comprensibili per persone che non hanno come base della loro vita quest’insegnamento.

I Proverbi ci ricordano di afferrare saldamente l’istruzione della fede perché essa è la vita. Preciserei: una vita vera come Dio se la immagina.

Anche Timoteo deve ricordarsi e può fare affidamento sull’insegnamento che ha ricevuto, perché egli ha un compito da svolgere e lo scopo di questo incarico è l’amore. Solo chi ha ricevuto e sperimentato l’amore può dare amore. Chi invece ha dovuto crescere senza sentirsi amato farà per tutta la sua vita grandissima fatica ad accettare l’amore e ad amare altri. Questa non è una minaccia ma la dura e pura verità dei fatti.

Come Timoteo siamo esortati a ricordarci dei buoni insegnamenti della fede che abbiamo ricevuto e a metterli in pratica per trovare così la vita che Dio s’immagina per noi.

Ulrike Jourdan