Sermone: LA PREDESTINAZIONE

“Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui, avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia, che egli ha riversata abbondantemente su di noi dandoci ogni sorta di sapienza e d’intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti. Esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra. In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà, per essere a lode della sua gloria; noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. In lui voi pure, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza, e avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione di quelli che Dio si è acquistati a lode della sua gloria.” (Efesini 1,3-14)

Cari fratelli e sorelle, il testo che questa domenica “Un giorno una parola”, il nostro testo di letture bibliche quotidiane, ci propone quale riflessione, come sempre strettamente connesso con le altre due letture bibliche che abbiamo ascoltato in precedenza, riporta per due volte un termine ben noto nel mondo della Riforma: predestinati.

La predestinazione. Questo è quindi quello su cui la Scrittura ci spinge oggi a meditare. Voglio rassicurarvi anzitutto che non intendo spingermi a fare un excursus storico sulla questione né tantomeno gettarmi sul versante delle dispute teologiche che il tema della predestinazione, come ben sapete, ha acceso nel mondo protestante nel corso dei secoli.

Non vi parlerò quindi di Giovanni Calvino, nonostante mi sia particolarmente caro, dato che le sue concezioni mi abbiano spinto verso il mondo protestante. Non vi parlerò neppure dell’idea, cara al calvinismo ortodosso successivo a Calvino, per cui i predestinati si possono riconoscere dal grado di benessere economico raggiunto. E, apro un inciso, come i libri scolastici di storia, sia delle medie che delle superiori, si ostinino invece a dire che questa idea è la base della dottrina calvinista, riducendo la figura di Calvino ad una sorta di procacciatore d’affari che spingeva il popolo cristiano al guadagno per meritarsi il regno dei cieli.

E nemmeno vi parlerò delle dolorose lotte tra Calvinisti e Arminiani in Olanda proprio su questo tema. Anche perché, più che un sermone, cari fratelli e sorelle, ne verrebbe fuori un trattato di teologia o una lezione di storia e non mi sembra decisamente il caso non volendo vedere una fuga in massa di persone che abbandonano questo luogo.

Vorrei invece attenermi esclusivamente al testo biblico. E allora, iniziamo! “In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo”. Cosa significa? Eletti, scelti, nominati. Ci ha scelto in lui cioè ci ha chiamati ad essere parte di lui, non semplici seguaci ma un tutt’uno con lui.

E questo fin dall’inizio dei tempi, prima ancora che le cose create esistessero. Quando, per dirla con l’evangelista Giovanni, la Parola, il Verbo, era. Era con Dio ed era Dio. Insomma, Lui ci ha scelto, ci ha chiamato per nome ancor prima che nascessimo, anzi, ancor prima che a qualcuno venisse in mente che potevamo essere concepiti un giorno.

Potenza costruttrice della Parola. E questo perché? Perché l’ha fatto? “Perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui” dice la Scrittura. Insomma, per salvarci. Per renderci persone purificate da ogni peccato. Ma come ha fatto? “Per mezzo di Gesù Cristo … secondo il disegno benevolo della sua volontà” prosegue la Scrittura. La sua volontà, si badi bene, non la nostra. “A lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio”. Per grazia, quella grazia infinita che abbiamo cantato prima, dopo l’annuncio della grazia, del perdono. Concessione della grazia, salvezza, predestinazione. Tutto si collega, tutto si intreccia mirabilmente in Gesù Cristo.

Ma la grazia, fratelli e sorelle, si riceve nella fede. Quindi, anche la fede incontra la predestinazione. Quando? Come? Perché? “E avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo”. Eccolo qui il punto nodale, fondamentale: “avendo creduto in lui”. Io ti salvo, dice il buon Dio, ma tu devi credere in me. Devi aver fede. E cos’è la fede?

Fede = Fiducia. Una fiducia totale, cieca. Ci prendi per la mano, dice un nostro inno. Ecco, fratelli e sorelle, diamo la mano incondizionatamente a Dio. Di lui possiamo sicuramente fidarci. E come possiamo, metaforicamente, dare la mano a Dio? “Bisogna che nasciate di nuovo”. Lo abbiamo appena sentito dall’Evangelo di Giovanni. La nuova nascita. Il Battesimo nello Spirito. “Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito”. Accettiamo Gesù non come complemento, come semplice parte della nostra vita. Dio non ci chiede di fargli spazio, di concedergli un po’ del nostro tempo di persone del XXI secolo sempre di corsa. Dio non deve diventare un appunto nella nostra agenda. Ma orientiamo la nostra vita in Lui. Lui detta la nostra agenda. Costruiamo la nostra vita dentro Dio. L’ho detto infatti all’inizio di questo sermone: “Ci ha scelto in lui cioè ci ha chiamato ad essere parte di lui, non semplici seguaci ma un tutt’uno con lui”.

Ma, tornando nello specifico al tema della predestinazione, qualcuno, come nei tempi andati, potrebbe chiedersi “Ma come faccio a sapere se sarò predestinato alla salvezza o meno? C’è la possibilità di riconoscerlo ora, adesso? Ci salveremo tutti, credenti fiduciosi nel Signore, o solo alcuni?”. La Scrittura, cari fratelli e sorelle, ci viene ancora una volta in aiuto: “In lui abbiamo … il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia … dandoci ogni sorta di sapienza e d’intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno … che aveva prestabilito dentro di sé, per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti”. In poche parole, non preoccupiamoci, non angustiamoci. Non tormentiamoci.

Del resto, come dice l’Epistola ai Romani che abbiamo precedentemente ascoltato “quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie!”. “Chi ha conosciuto il pensiero del Signore?” e aggiungo io, chi ha l’ardire di pretendere di farlo? Non spetta a noi cercare di capire il suo pensiero ma soltanto accettare e seguire la Sua parola “perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose”. E quindi, non dobbiamo fare assolutamente alcuna opera meritoria ma credere, fidarsi come ho già detto prima. Quando i tempi saranno compiuti le promesse di Dio si manterranno e chi lo avrà veramente seguito allora capirà. E cos’è quindi, in conclusione, la predestinazione? È il sigillo dello Spirito Santo di cui parla la Scrittura nelle ultime righe del testo della predicazione odierna: “e avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso”. “Pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione”.

Possiamo quindi concludere, cari fratelli e sorelle, questa breve riflessione biblica, tornando alle ultime parole del passo tratto dall’Evangelo di Giovanni ascoltato in precedenza: “Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito».

Non preoccupiamoci, l’ho detto prima e lo ripeto ora. Lo Spirito di Dio è su di noi, affidiamoci totalmente a lui e sicuramente riceveremo anche noi il sigillo dello Spirito.

Amen

Daniele Rampazzo

Sermone: LO SPIRITO CREA DIVERSITA’

“Circa i doni spirituali, fratelli, non voglio che siate nell’ignoranza. Voi sapete che quando eravate pagani eravate trascinati dietro agli idoli muti secondo come vi si conduceva. Perciò vi faccio sapere che nessuno, parlando per lo Spirito di Dio, dice: «Gesù è anatema!» e nessuno può dire: «Gesù è il Signore!» se non per lo Spirito Santo. Ora vi è diversità di doni, ma vi è un medesimo Spirito. Vi è diversità di ministeri, ma non v’è che un medesimo Signore. Vi è varietà di operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio, il quale opera tutte le cose in tutti. Ora a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune. Infatti, a uno è data, mediante lo Spirito, parola di sapienza; a un altro parola di conoscenza, secondo il medesimo Spirito; a un altro, fede, mediante il medesimo Spirito; a un altro, doni di guarigione, per mezzo del medesimo Spirito; a un altro, potenza di operare miracoli; a un altro, profezia; a un altro, il discernimento degli spiriti; a un altro, diversità di lingue e a un altro, l’interpretazione delle lingue; ma tutte queste cose le opera quell’unico e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole.” (1 Corinzi 12,1-11)

Dal passo che abbiamo letto emerge che lo Spirito Santo è l’unica fonte di diversi doni, mediante i quali i credenti danno la loro testimonianza per il “bene comune”.  Senza lo Spirito nessuno può dire “Gesù è il Signore” e quindi nessuno può arrivare alla fede, a comprendere il lieto annuncio dell’amore di Dio che distribuisce gratuitamente i doni come vuole.

A pensarci bene, dobbiamo riconoscere che già qui c’è qualcosa che cozza contro la nostra indole umana. La gratuità insita nel dono ci può mettere in difficoltà, abituati come siamo a ragionare in termini di ricompensa o di scambio di favori e di doni.

Certo, siamo abituati a dire e sentirci dire che la grazia sovrabbondante di Dio ci viene donata per suo puro amore, ma credo che talvolta possa risultarci difficile capire la portata di questo concetto, abituati come siamo a ragionare in termini di “Do ut des”.  Ed è così difficile che in altre confessioni, così come nel dire comune, troviamo il termine di “azioni meritorie”, quasi che non si riuscisse a concepire una grazia così sovrabbondante dispensata gratuitamente.

E, ripeto, anche se da credenti protestanti siamo convinti che le azioni, per buone che siano, non sono certo meritorie, cioè non concorrono alla salvezza che ci deriva solo da Dio, dobbiamo riconoscere che tutta questa gratuità è difficile da capire, anche perché non c’è nulla da capire, ma dobbiamo solo accettarla per fede nel Signore e nel suo grande amore.

Un amore così grande che non si può esprimere, perché completamente anacronistico, secondo le categorie mentali umane.  Ecco allora che, se riusciamo a riconoscere i doni che abbiamo ricevuto (e questo possiamo farlo) e se non imputiamo questi doni alla “sorte”, possiamo accettare che essi sono la manifestazione dello Spirito, che si sparge sui credenti come vuole, in modi assai diversi, ma sempre in modo totalmente gratuito, sconvolgendo le nostre categorie mentali, le nostre idee, le nostre abitudini, perché è qualcosa che va oltre noi, oltre il nostro pensiero, oltre i nostri limiti.

Evidentemente questo non è un problema solo nostro, di uomini e donne dei tempi moderni, perché Paolo scrive alla chiesa di Corinto e cerca di spiegare che la diversità di doni ha però origine da un unico Spirito e se così scrive, significa che le medesime difficoltà di pensiero e accettazione che possiamo avere noi oggi, le avevano anche i Corinzi.

Orbene, questa difficoltà di comprensione può trarre origine dal fatto che i differenti doni in realtà creano diversità fra gli uomini: qualcuno ha la conoscenza, qualcun altro la sapienza, altri ancora la profezia, per non parlare della diversità di lingue e della capacità di saperle interpretare. In questo senso credo che la diversità di lingue stia a significare la diversità di cultura dell’etnia cui si appartiene, di abitudini sociali, di convenzioni e credenze proprie del popolo di cui si è parte.

Certo sarebbe tutto più semplice se uno stesso Spirito creasse omogeneità.

Invece NO! Accade esattamente il contrario, perché la diversità non è una minaccia, bensì una opportunità che ci viene proposta per costringerci ad andare oltre il nostro limitato orizzonte, allargando la nostra visione della vita, imparando ad accettare il diverso da noi.

Non è facile. No, proprio non è facile.

Come chiesa sappiamo che non è facile accettare chi ha teologie ed ecclesiologie differenti dalle nostre. E come individui constatiamo spesso quanto sia difficile esercitare la pazienza e l’accettazione con coloro che hanno un diverso approccio alla vita rispetto a noi, ai nostri convincimenti, alle nostre aspettative.

Risulta, ad esempio, difficile condividere ciò che siamo con coloro che mettono in atto comportamenti che ci turbano o che ci fanno soffrire; e non mi riferisco a persone cattive e malvage (che pure esistono), ma a coloro che sono vicini a noi, oppure che incrociano la loro vita con la nostra, ma hanno il loro carattere oppure vengono da esperienze differenti, talvolta totalmente opposte alla nostra.

Ad esempio, a me risulta molto difficile esercitare la pazienza e la comprensione con mio figlio o con il mio Amico del cuore, perché sono due persone reattive e impazienti e devo fare un grande sforzo per non litigare. In quei momenti mi risulta difficile comprendere che un carattere differente dal mio è una ricchezza anche per me, un dono che mi viene messo a disposizione.

Oppure posso capire come alcune persone possano sentirci a disagio se il figlio dichiara di essere gay, oppure ancora se incappiamo in una persona che ci si attacca come una cozza, perorando le sue necessità con insistenza. Possiamo essere così delusi o indispettiti da non vedere i doni che costoro hanno.

Ma ci potrebbero essere molti altri esempi che ci inducono a riflettere su quanto sia complicato riconoscere negli altri lo Spirito, accettare le loro diversità rispetto a noi, riconoscere che la diversità non è un limite, bensì una ricchezza.

Paolo infatti dice: «Vi sono doni diversi… vi sono diversi modi di servire… vi sono diversi tipi di attività… ma uno solo è lo Spirito, uno è il Signore. Lo Spirito si manifesta in modo diverso».

Ma qual è il fine della diversità, se riteniamo che essa sia un dono del Signore?

Paolo è chiarissimo in questo: il bene comune. Dunque possiamo dire che lo Spirito crea diversità affinché le caratteristiche di ognuno siano impiegate per il bene comune.

Questo ci dice l’apostolo; lo dice a noi oggi, a noi che preferiremmo l’uniformità perché i pensieri diversi di ognuno, i diversi comportamenti e usi sociali, i diversi approcci etici, così come le diverse teologie e le diverse spiritualità, possono metterci a disagio e facciamo fatica ad accettarle, facciamo fatica a considerarle “dono dello Spirito”, perché siamo più portati a pensare che la nostra concezione etica sia quella “giusta” e ci dimentichiamo invece che la centralità del messaggio di Gesù Cristo non coincide certo con le forme ecclesiologiche che ci siamo dati, o con la nostra teologia, o con una certa etica, o con le convenzioni sociali che noi preferiamo.

NO, il messaggio del Vangelo risiede nel Signore crocifisso e risorto per noi, per il nostro bene, per la nostra salvezza (quella di tutti), per il nostro perdono e perché potessimo orientare la nostra esistenza nella dimensione di un amore che non ci lascia mai e che ci invita invece a far sì che la diversità non diventi divisione, perché le divisioni danno come frutto solo conflitti, mancata accettazione, guerre, violenze e morte. Tutti aspetti e accadimenti ben lontani dal “bene comune”.

Dunque, per Paolo, lo Spirito agisce in modi diversi per il bene comune: come dire che quando noi agiamo solo per il bene particolare di qualcuno, di un gruppo, di un clan, di una sola comunità, ed escludiamo gli altri, quell’agire non è opera dello Spirito Santo, ma opera nostra, opera umana destinata a fallire.

Il bene comune è invece la prospettiva dello Spirito, lo scopo a cui mira l’opera dello Spirito.

E allora, che cosa significa per noi tutto questo?

Significa imparare a riconoscere l’azione dello Spirito che agisce per il bene di tutti, perché tutti possiamo beneficiare ciascuno gli uni degli altri, nella reciprocità, nella condivisione, a partire dalle nostre diversità e dai nostri doni.

Significa non arginare l’opera dello Spirito entro i propri steccati, i propri confini o i propri orizzonti, le proprie idee.

Ciò che è diverso da me, non è contro di me, ma per me. Questo ci vuole insegnare l’apostolo Paolo.

Lo Spirito ci incoraggia a lavorare, agire, lottare per il rispetto della diversità, perché il contrario significherebbe soffocare, spegnere, disprezzare l’opera dello Spirito.

Ci dia dunque Dio, attraverso il soffio del suo Spirito, la capacità di comprendere, anche dentro la nostra storia individuale, le nostre tradizioni, le nostre esperienze di vita, l’opera che lo Spirito compie, qui e ora, come altrove e in modo diverso, per il bene nostro, di coloro che ci sono vicini e dell’umanità intera.

AMEN!

Liviana Maggiore

Sermone: LA VERITÀ VI FARÀ LIBERI – Culto contro l’omofobia

Giovanni 8,31-36

Care sorelle, cari fratelli,

Stefano studiava da alcuni anni a Berlino. Ha fatto “coming out” due anni fa. Sapeva con chiarezza da tanti anni che era gay, da quando gli piacevano di più i modelli maschili nel catalogo dei vestiti della madre delle modelle femminili. Però all’inizio pensava che fosse solo una “fase”, come aveva letto in un giornale, non conosceva nessun gay tra gli amici e i parenti… Solo durante uno studio in Spagna ha preso il coraggio di frequentare una discoteca gay a Barcellona. Rientrato a Berlino non voleva continuare a fingere di essere “normale”, che non aveva ancora trovato la fidanzata “giusta”. Lui raccontava a tutti i suoi amici e particolarmente alle amiche che si interessava di più ai ragazzi.

Era un giorno solenne di primavera. I genitori avevano già pianificato da qualche tempo di venire a visitare il figlio a Berlino, il primo della famiglia che studiava. Stefano sapeva che questo incontro sarebbe stato importante per raccontare tutto ai genitori. Non aveva mai avuto un ottimo rapporto con i suoi. Stefano andava da loro a Pasqua, a Natale e in estate. Però la madre gli telefonava ogni settimana, suo padre lo aiutava sempre a organizzare l’arredamento per la sua stanza. Stefano si sentiva legato alla sua famiglia nonostante la distanza, ma allo stesso tempo era felice di poter vivere la propria vita senza essere sempre osservato. Quando i suoi arrivarono in macchina, Stefano annunciò subito di dover raccontare loro una cosa importante – per non perdere dopo il coraggio di farlo. Stefano aveva preparato un pranzo e dopo mangiato cominciò: “Vorrei raccontarvi qualcosa di personale. Siete importanti nella mia vita e vorrei che rimanesse così. Per questo dovete sapere una cosa: io sono gay”. I suoi ingoiarono la saliva, suo padre cercò nervosamente le sue sigarette, la madre chiese “Ma sei sicuro? Non hai ancora trovato la fidanzata giusta, può succedere ancora. Cosa diranno i vicini?”

Stefano cercò di spiegare che ci sono tanti gay famosi nel mondo: Elton John, Jody Foster, il sindaco di Berlino, Ricky Martin. Questa non era una consolazione per i suoi. Suo padre fuggì in cucina per fumare una sigaretta e sua madre chiese altre due volte: “Sei assolutamente sicuro?” Stefano rispose: “Sì”.  Dopo due giorni i suoi tornarono a casa. Non si parlò più di quel giorno e della sua “confessione”. Però Stefano si sentiva sollevato per aver raccontato tutto, per far partecipare i suoi alla sua vita anche in futuro.

“La verità vi farà liberi”.

Questa frase è al centro del brano biblico per il nostro culto di oggi. La Bibbia è una raccolta di storie di liberazione: l’esodo dall’Egitto, la liberazione dalla prigionia babilonica, la liberazione dal peccato e dalla morte attraverso Gesù Cristo. Questi sono i grandi temi della Bibbia, però questa liberazione capita anche a noi cristiani in un modo individuale.

La Bibbia è un mazzo di testimonianze di come Dio si mostra nelle vite dei fedeli e io spero che anche noi possiamo fare le nostre esperienze di liberazione attraverso la fede e la fiducia. Però nel nostro brano biblico di oggi secondo il vangelo di Giovanni vediamo anche che ci sono dei discorsi su come interpretare la libertà. E gli ebrei-cristiani hanno ragione se non si sentono schiavi e prigionieri.

Secondo me possiamo imparare particolarmente dall’ebraismo: il dialogo, discutere insieme, provare a trovare la verità. Tutte le chiese hanno perso un po´ questo aspetto biblico del dialogo, del condividere la Bibbia, del chiedere, del rispondere, dell’avvicinarsi.

Ricordo che in questa chiesa c’è, ogni due settimane, un gruppo biblico interconfessionale: una bella cosa.  Loro mi invitano una/due volte all’anno per uno studio biblico e vogliono sempre che io faccia una introduzione di almeno 45 minuti di un testo biblico. E io sono sempre un po´ perplesso perché voglio subito condividere il brano. I testi biblici sono scritti per il dialogo. E per questo le chiese sono importanti: Sono un posto dove si discute, si insegna e si impara, un posto di comunione tra di noi e con Cristo, proprio come oggi.

E io sono molto grato che le diverse chiese abbiano imparato e stiano ancora imparando attraverso il dialogo nella società che essere gay o transgender non è una minaccia contro qualcosa, ma è un dono. È una variante della natura, non peggiore e non migliore degli altri. Omofobia, transfobia e intolleranza invece sono un pericolo per la società.

“La verità vi farà liberi”.

Per l’evangelista Giovanni la parola chiave non è il sostantivo “fede”, è il verbo “pistis” (credere). Per Giovanni non si possiede la fede, è un processo “credere”. Fa parte della fede: riconoscere, capire, comprendere. E credere vuol dire – secondo Anselm Grün: vivere nella luce ed essere illuminato. “Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”, dice Gesù.

Ma cosa vuol dire “verità” in questo contesto? Non sono dei dogmi, delle frasi vere, in cui dobbiamo credere. Abbiamo i nostri dubbi e siamo attenti con ragione quando qualcuno dice: io so la verità. La verità vuol dire: seguire Gesù.

È una verità che Gesù era una delle persone – secondo il Nuovo Testamento – del quale non conosciamo pregiudizi: lui si circonda di uomini, di donne, di bambini che non erano molto accettati a quell’epoca. E particolarmente attraverso l’incontro con gli emarginati lui insegna il vangelo, il buon messaggio, che il regno di Dio è vicino e viene in un altro modo da quello che ci aspettavamo: tramite la compassione, la comprensione, la sensibilità.

“La verità vi farà liberi”.

Si parla nel nostro brano biblico anche del peccato. Siamo molto sensibili quando sentiamo questa parola: peccato. Perché si usa sempre in un modo giudicante, quando qualcosa è immorale, è peccato. “I gay vivono nel peccato” (si sente ancora oggi). La verità invece è un’altra: collegare il peccato con le preferenze sessuali è peccato.

Peccato secondo i vangeli è essere separato da Dio, secondo Giovanni attraverso l’odio, l’infedeltà, l’egoismo e la cecità spirituale, la mancanza d’amore.

“La verità vi farà liberi”.

Poca gente sa che Martin Lutero cambia il suo nome dopo la sua scoperta teologica della grazia di Dio. Viene da una famiglia chiamata Luder. Vuole essere un monaco perfetto, serio. Vuole confessarsi ogni giorno perché vede che non riesce mai a essere sufficiente verso Dio. Scopre che non ha bisogno di essere perfetto, basta fidarsi della misericordia di Dio. Martin Luder cambia il suo nome come simbolo. Luther viene dal greco eleutheros, il liberato. La fede lo rende libero.

“La verità vi farà liberi”.

Care sorelle e fratelli, “essere a casa con il figlio”: questo è, secondo il nostro brano biblico, la formula per vivere la verità ed essere liberi. Siamo chiamati anche noi a seguire Gesù in un modo più ampio, con il nostro cuore e con tutta la nostra convinzione.

“Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». (Luca 10,27)

AMEN

pastore BERND PRIGGE

Sermone: LA VITE E I TRALCI

«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo recide; ma ogni tralcio che porta frutto, lo purifica affinché ne porti di più. Voi siete già puri per mezzo della parola che vi ho annunciata. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutti da sé stesso se non rimane nella vite, così nemmeno voi, se non rimanete in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta un frutto abbondante; perché senza di me non potete far nulla. Se uno non rimane in me, viene gettato via come il tralcio e si secca; poi li raccolgono, li gettano nel fuoco e bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre mi ha amato, così io ho amato voi; rimanete nel mio amore». (Giovanni 15,1-9)

Bellissimo questo passo dell’evangelo di Giovanni! Personalmente è uno dei passi della scrittura che più ho amato fin da giovane e sul quale spesso mi sono trovata a riflettere da sola o in compagnia.

Oggi con voi vorrei fare alcune considerazioni in merito alla narrazione sulla vigna ed ancora sul fatto che in questi 9 versetti compare ben 7 volte il verbo “rimanere” che, nella traduzione della BIR ha sostituito il verbo “dimorare” della Riveduta, però con il medesimo significato.

LA VIGNA – Nella Bibbia si parla spesso di questa pianta, tanto che, come abbiamo sentito nelle letture precedenti, Israele viene paragonata alla vigna del Signore. Credo che l’importanza data a questa pianta derivi dal fatto che il frutto della vigna, di una buona vigna, è l’uva e dall’uva si ricava il vino, una bevanda che era ed è utilizzata per festeggiare, per gioire, per condividere il piacere con gli altri, quindi una bevanda importante nel costume sociale di tutti i tempi. Ma non sempre il vino nella scrittura è simbolo di gioia, infatti viene anche presentato come una “bevanda traditrice” perché inebria e per questo da bere senza eccesso, oppure come simbolo del sangue di Cristo. Tuttavia sono molti i passi della Bibbia dove il vino è visto con approccio positivo, così come sono moltissimi i passi in cui si parla della pianta che dà l’uva.

Anche se non sono un’esperta di coltivazioni viti-vinicole, so bene, come lo saprete anche voi, che la vite ha un fusto robusto, dai cui rami scendono i tralci che porteranno l’uva.

Ebbene, in questo passo di Giovanni, Gesù dice che noi siamo i tralci, cioè siamo quella parte della pianta che sta fra il fusto e il frutto. Ma per dare buoni frutti i tralci devono essere ben saldi sulla pianta dalla quale devono trarre la linfa, la forza, per dare e sostenere buoni grappoli.

Nel racconto che abbiamo letto Gesù si paragona alla pianta ed afferma che il Padre è il vignaiolo.  Noi quindi, coloro che credono in Cristo, dovremmo essere consapevoli che non siamo tutta la pianta e che, se non diamo il frutto sperato, se ci secchiamo, il vignaiolo provvede a recidere.

RIMANERE – “Rimanete in me”. È questa l’esortazione principale di Gesù in questo passo. Già, rimanere in lui, così che Egli rimanga in noi.  È così importante questo concetto di rimanere, di dimorare, in Cristo da essere continuamente ripetuto. Rimanere saldamente in lui così come i tralci devono essere saldamente attaccati alla vigna. Rimanere in lui per non seccarci, per godere della linfa vitale che non si ferma al tralcio, ma nutre anche il frutto.

Mi viene una considerazione in proposito: se rimaniamo saldamente ancorati agli insegnamenti di Gesù siamo tralci produttivi, però dobbiamo avere la consapevolezza che siamo sempre e solo tralci, non siamo la pianta che affonda le radici nel terreno e non certo il frutto dal quale poi si trarrà il vino. Il tralcio sta nel mezzo, non è l’inizio e non è la fine del fluire della linfa. Il tralcio succhia la linfa dalla pianta, come noi possiamo trarre insegnamento e forza dalla parola del Signore, però cede parte della sua forza al frutto, affinché cresca buono e succulento. E una pianta può avere moltissimi tralci, alcuni dei quali verranno recisi perché non porterebbero frutto.

Ecco, così è la nostra missione: nella consapevolezza di essere solo dei mezzi per passare la linfa vitale, degli annunciatori della Parola, dei discepoli del maestro, noi dobbiamo condurci nei rapporti con gli altri sapendo che abbiamo l’incarico di produrre frutto, ma dobbiamo anche sapere che il frutto non resterà attaccato a noi, il frutto non apparterrà mai al tralcio. Io credo che, se noi riflettessimo su questo nostro ruolo di discepoli, consapevoli di essere solo dei mezzi, molti dei nostri sensi di onnipotenza verrebbero ridimensionati, perché spesso, nella nostra vita, non riusciamo ad accettare che il frutto, cioè coloro che ricevono da noi l’annuncio della parola (e lo ricevono con il nostro dire, ma soprattutto con il nostro agire), è completamente indipendente e libero da noi.

Ma che cos’è la linfa che passa dal tralcio, qual è la forza vitale che Gesù dice di darci quando afferma sia così potente da concederci di avere dal Padre tutto ciò che chiederemo?

Qual è il grande alimento che riceviamo dagli insegnamenti di Gesù, tanto grande da fargli dire che Egli resterà sempre in noi, mettendoci quindi in una relazione indissolubile col Padre?

L’ultimo versetto che abbiamo letto recita: “Come il Padre mi ha amato, così io ho amato voi; rimanete nel mio amore”. Eccolo l’alimento!  Ecco ciò che abbiamo gratuitamente ricevuto e gratuitamente dobbiamo porgere agli altri come discepoli di Gesù: l’amore, linfa vitale per ciascun essere umano e per l’umanità tutta.

Ma cosa intendiamo per “amore”? Certo è facile parlare d’amore con le persone a cui vogliamo bene, con coloro che sono cari al nostro cuore, ma, volando un po’ più in alto delle nostre ridotte vite di relazione, diventa più difficile definire l’amore e magari rischiamo di interpretarlo come un vago sentimento buonista che ci consente di metterci in contatto con gli altri solo per lusingare il nostro ego.

Per sapere invece cos’è l’amore nella dimensione di credenti dobbiamo rifarci ancora una volta al nostro maestro, a colui che ha condiviso con noi tutto ciò che sapeva, tutto ciò che aveva, compresa la sua stessa esistenza terrena, morendo in croce per noi, perché, come abbiamo letto nel passo di Giovanni per l’annunzio del perdono, “nessuno ha amore più grande di questo: donare la sua vita per i suoi amici”.

Ora, comprendo bene che la maggioranza di noi non è votata al martirio e comprendo bene che, nella nostra situazione sociale, non ci viene fortunatamente richiesto di dare la nostra vita, di immolarci fino alla morte per gli altri (tanti credenti però l’hanno fatto e continuano a farlo), però è altrettanto vero che, come discepoli del Signore, ci viene chiesto di spargere amore, cioè di condividere con il nostro prossimo ciò che abbiamo e ciò che siamo. Condividere non solo il surplus che ci avanza, ma condividere l’unico mantello che abbiamo con chi è ignudo. Mettere a disposizione il nostro tempo, i nostri averi, le nostre conoscenze, il nostro essere non solo quando ne abbiamo voglia, ma soprattutto quando alla nostra porta bussa qualcuno che non conosciamo, che non aspettavamo e che magari non vedremo più.

Il tralcio non giudica quanta linfa debba passare al frutto. Ne tiene una parte come proprio alimento e poi la cede tutta. Così dovremmo fare anche noi, per amore, con tutti i doni che abbiamo ricevuto, materiali e immateriali.

AMEN

Liviana Maggiore