Sermone: La forza della Fede

In un giornale ho letto una classifica dei mestieri più odiati. Avete un’idea di chi sia in cima alla classifica?

Sono le assistente mediche. Non mi sarei mai immaginata che fossero loro, ma pensandoci bene mi viene in mente l’una o l’altra signorina che mi ha già fatto parecchio arrabbiare. Sono certa che conoscete la situazione: sono malato, mi sento malissimo e con l’ultima forza che ho mi trascino dal medico. Ma invece di trovare compassione c’è questo drago davanti alla porta dello studio che dice sorridendo: “Il dottore ha molto da fare. Le posso fissare un appuntamento per la prossima settimana”. – Non mi serve un appuntamento per la prossima settimana. Voglio vedere adesso il mio medico. Lui mi capirebbe, lo so; solo che in mezzo c’è questa donnaccia che non mi fa passare.

Vi leggo una storia molto simile di una donna che ha dovuto combattere contro una squadra completa di assistenti medici. Ce l’avrà fatta? Aspettate e vedrete.
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Sermone: Il miracolo della vera vita

Quasi quasi direi che tante persone oggi hanno sviluppato una specie di allergia quando si parla di miracoli. I miracoli non stanno bene, non entrano nella nostra concezione del mondo. Non possono o non devono esserci. Abbiamo visto troppe truffe. Abbiamo avuto a che fare con troppe persone che volevano portarci a credere qualcosa prendendo come base un miracolo poco credibile. E così, quando sentiamo delle storie che hanno un retrogusto da miracolo, o addirittura un vero, grande, inspiegabile miracolo, iniziamo ad avere un prurito intellettuale e a grattarci la mente, tante che non possiamo quasi più stare a sentire la storia. Per questo vi chiedo, almeno all’inizio, di mettere il miracolo presentato nel nostro racconto biblico da parte, così da poterlo ascoltare senza prurito mentale e riuscendo così a trovare una dimensione più profonda in ciò che vuol dire il testo. Leggo dal vangelo di Giovanni nell’undicesimo capitolo il racconto della risurrezione di Lazzaro. Leggo i versetti da 1-4 . 17.27 . 39.45

C’era un ammalato, un certo Lazzaro di Betania, del villaggio di Maria e di Marta sua sorella. 2Maria era quella che unse il Signore di olio profumato e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; Lazzaro, suo fratello, era malato. 3 Le sorelle dunque mandarono a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».

17 Gesù dunque, arrivato, trovò che Lazzaro era già da quattro giorni nel sepolcro. 18 Or Betania distava da Gerusalemme circa quindici stadi, 19 e molti Giudei erano andati da Marta e Maria per consolarle del loro fratello. 20 Come Marta ebbe udito che Gesù veniva, gli andò incontro; ma Maria stava seduta in casa. 21 Marta dunque disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto; 22 e anche adesso so che tutto quello che chiederai a Dio, Dio te lo darà». 23 Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». 24 Marta gli disse: «Lo so che risusciterà, nella risurrezione, nell’ultimo giorno». 25 Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26 e chiunque vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?» 27 Ella gli disse: «Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che doveva venire nel mondo».

39 Gesù disse: «Togliete la pietra!» Marta, la sorella del morto, gli disse: «Signore, egli puzza già, perché siamo al quarto giorno». 40 Gesù le disse: «Non ti ho detto che se credi, vedrai la gloria di Dio?» 41 Tolsero dunque la pietra. Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, ti ringrazio perché mi hai esaudito. 42 Io sapevo bene che tu mi esaudisci sempre; ma ho detto questo a motivo della folla che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato». 43 Detto questo, gridò ad alta voce: «Lazzaro, vieni fuori!» 44 Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti da fasce, e il viso coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare». 45 Perciò molti Giudei, che erano venuti da Maria e avevano visto le cose fatte da Gesù, credettero in lui.

Che cosa succede con Lazzaro dopo che Gesù l’ha ri-chiamato in vita? Non lo sappiamo. In tutta la Bibbia non troviamo una parola personale su Lazzaro. Ci viene raccontato tanto di Marta e Maria, anche in altri racconti biblici. E forse avete notato che anche nel nostro brano il dialogo tra Marta e Gesù è molto più lungo e dettagliato e viene dato un grande valore al credo che esprime Marta: io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che doveva venire nel mondo. Al contrario il racconto della risurrezione di Lazzaro è piuttosto breve. Gesù prega, poi grida«Lazzaro, vieni fuori!» e quando esce gli dice: «Scioglietelo e lasciatelo andare». Basta – tutto fatto. Per l’evangelista è molto più interessante e importante, che le persone che sono venute per assistere Maria dopo la morte del fratello credano adesso in Gesù.

Non ci vengono raccontati dei dettagli speciali. È l’esatto contrario rispetto ad un show magico. Non è neanche la risurrezione di Lazzaro il centro del racconto. Per questo possiamo mettere da parte tutte le nostre resistenze moderne contro il miracolo in sé. Non ha importanza che Lazzaro viva di nuovo. Altrimenti si racconterebbe qualcosa di questa nuova vita. Dovrebbe avere un senso questa vita: il fatto che possa iniziare di nuovo o che debba portare qualcosa a compimento o occuparsi delle sue sorelle. No, di questo non viene raccontato niente. Non c’è un incarico preciso per Lazzaro. Per questo non discutiamo adesso se esistono dei miracoli o meno e proviamo ad entrare un po’ più in profondità nella storia.

Di Lazzaro sappiamo solamente che è morto dopo una malattia. È già stato messo nella tomba, puzza già, cioè è veramente morto. È diventato intoccabile, non è più persona. E dopo l’ordine di Gesù torna dalla tomba. Completamente avvolto con delle bende e con il volto coperto. E Gesù dice: Scioglietelo e lasciatelo andare.

Nei musei si vede talvolta come in passato le persone venissero avvolte nelle tombe. Mi ha sempre impressionato che il metodo di mettere un lenzuolo attorno ad un morto è molto simile a come si fascia un bambino. E così come i neonati stanno tranquilli nella fascia che gli ricorda la pancia della mamma calda e compatta, così stanno tranquilli anche i morti. – O forse stiamo più tranquilli noi, perché la morte alla fine può essere molto spaventosa. Per questo la gente veniva fasciata e avvolta completamente, perché c’era la paura che potesse di nuovo muoversi. Per questo la bara viene chiusa con i chiodi e messo una pietra davanti o sulla tomba.

La persona amata assume qualcosa di spaventoso nella morte. Sembra essere qualcos’altro quando rimane solo il corpo. L’incomprensibile della morte può diventare facilmente inquietante. Può cambiare una persona in un essere non-personale che non risponde più, che non mostra alcuna reazione, che non ha compassione per il nostro dolore. Qualcuno che rimane nel senso letterale e figurativo ‘freddo’ – e comunque si ha ancora l’impressione che possa muoversi ogni momento. L’incomprensibile della morte può diventare facilmente orrore. Per questo si fasciavano i morti, anche Lazzaro. Per arginare l’orrore.

E Gesù? Non gli importano queste cose. Anche per lui la morte è incomprensibile. Ma lui piange invece di sentire orrore. Per lui Lazzaro è rimasto una persona, un essere umano amato. È rimasto, non è diventato nuovamente. Per questo sarebbe meglio parlare non della risurrezione di Lazzaro ma piuttosto del suo rimanere umano. Mettiamo un attimo in disparte il grande miracolo della risurrezione. Gesù agisce in questo racconto come anche noi possiamo farlo. Lui lascia che Lazzaro viva, che possa essere veramente umano, che agisca come una persona umana. La morte non ha quel potere che sembra avere.

Talvolta succede che un’opinione dei nostri genitori o amici o educatori pesi su di noi come un antico oracolo. A me avevano detto talmente spesso da bambina: ‘Ulrike non è sportiva’ che lo credevo davvero. E dopo la scuola non facevo più sport – perché non sono sportiva. È stata una grande scoperta comprendere che mi piace fare sport. Forse non quello che dovevamo fare a scuola e in un modo non proprio da gara, ma mi piace correre e nuotare. Non sarò mai una campionessa in queste cose, ma sì, Ulrike è sportiva…a modo suo. Sono molto contenta che abbia potuto abbattere quest’antico oracolo. – Talvolta portiamo però con noi delle cose che ci sono quasi tatuate sulla fronte, che non riusciamo a toglierci di dosso. Talvolta questo può avere effetti positivi – esistono anche oracoli buoni-, talvolta può essere però negativo, molto negativo. Nella Bibbia viene ricordato l’antico detto: “I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati” Geremia 31,29. Vuol dire che i figli si portano dietro gli errori dei padri. Questo non è una minaccia ma una semplice verità che possiamo vedere e verificare ogni giorno.

Chi siamo noi? In un certo senso siamo davvero quell’essere che gli altri vedono in noi, amici come nemici. E vice versa. Anche noi vediamo e giudichiamo gli altri, anche noi siamo responsabili per il volto che loro ci fanno vedere. Siamo noi che abbiamo deciso che un amico sia freddo, irrigidito, pietrificato. E con questa nostra opinione aggiungiamo un altro anello nella catena che lo lega e lo strozza lentamente. – Lazzaro nel rigor mortis.

Gesù dice: Scioglietelo e lasciatelo andare. E l’ultimo versetto ci conferma: Perciò molti (…) credettero in lui. – Questo è un miracolo: quando si ha la possibilità di cambiare, di togliersi di dosso l’oracolo della morte e vivere veramente. Succede spesso che vorremmo che qualcuno cambi. O auguriamo addirittura a dei popoli interi che cambino, ma non siamo ancora disposti a cambiare il nostro sguardo, la nostra opinione, l’oracolo che diciamo noi su di loro. Noi stessi siamo gli ultimi che disposti a cambiare.

Che miracolo, se in una situazione in cui non si muove più niente c’è uno che dice: Scioglietelo e lasciatelo andare. E gli altri attorno, lo seguono. Questo è un vero miracolo e Gesù lo può e lo vuole fare. Vuole sciogliere ciò che ci lega, vuole che noi nel suo nome lasciamo vivere altre persone.

Lazaro può sciogliere tutti gli antichi oracoli e rigidità della sua vita e può andare in una nuova vita. Può andare anche nella vita di Maria e Marta, nella vita della folla attorno a lui. Lazaro può diventare nuovamente ciò che è sempre stato: un figlio amato di Dio. Inafferrabile invece di inquietante. Lazaro può andare e la morte può essere nuovamente ciò che è inafferrabile ma non più inquietante né orribile.

Lazaro può andare. Vi auguro che anche noi possiamo andare in una nuova vita – ogni giorno.

Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: Non temere – vivi!

In Germania ha avuto grande successo un libro dal titolo: “Non temere – vivi!”. Viene dagli Stati Uniti e stranamente non è neanche tradotto in italiano forse perché coglie bene la cosiddetta ‘German-Angst’, la paura tedesca. Comunque questo libro è stato più di mille settimane al top delle classifiche di vendita e ha venduto più di 3 milioni di copie solo in Germania. Non temere – vivi!

Mi viene da pensare che, effettivamente, l’autore non deve più temere, almeno in senso finanziario: con questo titolo ha fatto la sua fortuna, non succede a molti scrittori.

Ma poi mi viene da pensare a quante preoccupazioni la gente deve avere per comprarsi o regalare un libro contro le apprensioni. Queste ansie sono reali e presenti, opprimono l’esistenza. Non aiuta quasi per nulla ricordarsi che qui in Europa stiamo bene, che tante persone devono convivere con dei problemi molto più gravi dei nostri e affrontare delle situazioni molto più drammatiche. L’ansia rimane. Chi ha tanto, può soltanto avere paura di perdere tanto. Un milionario che teme di perdere la sua ricchezza non deve ancora preoccuparsi di non avere niente da mangiare domani; probabilmente diventerebbe solo come noi, scenderebbe semplicemente al nostro livello, ma la paura c’è ed è reale.

Il testo della nostra predicazione di oggi parla delle ansie e le prende sul serio. Leggo da Matteo 6, queste parole che si trovano nel cosiddetto “sermone sul monte”. Matteo 6, 25-34

25 «Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? 27 E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita? 28 E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; 29 eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. 30 Ora se Dio veste in questa maniera l’erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? 31 Non siate dunque in ansia, dicendo: “Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?” 32 Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. 33 Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. 34 Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.

Mi ricordo che abbiamo parlato di questo testo durante uno studio biblico nel Sud della Germania, dove ho studiato teologia. Erano presenti delle persone pie e con una buona posizione, radicate nel territorio, insieme con degli studenti come me. Tra gli studenti c’era anche una ragazza un po’ particolare, forse, diremmo, con la testa un po’ tra le nuvole, una figlia dei fiori, in ogni caso l’esatto opposto dei membri di quella chiesa.

La cosa interessante è che questa ragazza, nella discussione, accettava senza pensarci due volte l’invito del testo a non temere e preoccuparsi e a vivere ogni giorno che viene senza ansie, mentre le persone pie della chiesa locale non sapevano più come spiegarle che così non si vive, che si devono fare dei piani, che bisogna preoccuparsi di un lavoro e di una casa. Lei non voleva saperne, voleva vivere con leggerezza. Non ho idea di come sia andato oltre con questa ragazza, ma era davvero interessante vedere le persone di questa chiesa di formazione pietista che combattevano tra l’amore per la parola di Dio e le loro esperienze con le ansie di ogni giorno.

Ecco, le ansie: certi filosofi sostengono che l’ansia distingua l’uomo dall’animale. Cioè, ciò che farebbe un essere umano, veramente umano, è la possibilità di preoccuparsi per se stesso e di cogliere la conseguenza di certi fatti per la propria vita. “Che cosa succede se faccio o non faccio questo? Come starò se succede questo o quello?” Direi che conoscete bene questi pensieri. So che le nostre vite sono segnate da tante ansie. Pensieri per il posto di lavoro o per la buona reputazione; pensieri a proposito delle malattie, soprattutto per quelle che possono colpire i nostri cari; pensieri per il denaro quando uno ne ha troppo e non sa dove portarlo, e per quando diventa di meno o addirittura per quando non ce ne fosse più. Potremmo fare una lista che non finisce mai con le preoccupazioni di ogni giorno.

Gesù conosce le nostre ansie. Le ha vissute anche lui. E siccome curava e dava speranza da lui venivano proprio tutte le persone che portavano con sé delle ansie per la malattia e la morte e per tanti altri problemi della vita. E comunque anche il suo impegno non è stato nulla di più che una goccia d’acqua su una pietra calda. Tanti non hanno trovato delle cure, tanti sono morti, tanti non hanno incontrato Gesù, non potevano cambiare la loro sorte, sono rimasti nella loro miseria. Anche Gesù era consapevole del breve tempo che aveva per predicare e guarire altri prima che egli stesso dovesse morire.

E così ci dice nel Sermone sul monte queste parole che abbiamo sentito prima. Parole che non vogliono impedire di temere – perché le ansie fanno parte della natura umana. Queste domande Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?, le conosce Gesù e le conosciamo noi. Ma Gesù ci dice: il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Gesù sa che cosa serve per una vita serena, conosce bene i bisogni umani e comunque cerca di indirizzare il nostro sguardo sull’essenziale su ciò che ha davvero importanza nella vita. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio.

Ciò che ci distingue come cristiani può e deve andare oltre le ansie quotidiane. La ricerca del regno di Dio e della sua giustizia deve muoverci. Una speranza, un desiderio di vedere qualcosa come l’ambasciata di Dio qui su questa terra, questo dovremmo cercare per prima cosa. Come un fuoco interiore che non si lascia fermare finché vediamo qualcosa di questo regno divino. Questa speranza, questo fuoco lo portiamo dentro di noi da quando abbiamo ricevuto lo Spirito Santo. Talvolta lo sentiamo più forte, ci brucia – talvolta c’è solo più la brace che arde senza fiamma, ma ogni cristiano porta in se questo spirito divino e così anche il grande desiderio di vedere crescere il regno di Dio qui da noi, già adesso. In questo consiste la differenza tra cristiani e pagani. Un cristiano spera e brama e si fida più profondamente rispetto a qualcuno che vede solo se stesso o il potere umano.

Cercate prima il regno e la giustizia di Dio. La giustizia di Dio era la grande scoperta e liberazione di Martin Lutero. Una giustizia che fa diventare giusto e che libera. Se Dio fosse un giudice che deve decidere secondo ciò che sta scritto sulla lista delle nostre colpe – nessuno di noi avrebbe una chance di essere considerato innocente. Anche questo fa parte dell’essere umano: la debolezza. Chi di noi potrebbe dire di se stesso di non avere delle colpe, di aver camminato sempre su una strada dritta, di non aver mai fatto degli errori, di non aver mai deluso o tradito o ferito qualcuno? Rimane la debolezza degli esseri umani di essere così pieni di colpe. E le ideologie e utopie di una vita umana più pura, più alta, migliore si sono perlopiù rivelate come un’illusione brutale e crudele.

Se Dio fosse solo un giudice affronteremmo tutti quanti la nostra condanna. Ma ci fa diventare giusti, ci dichiara giusti. La giustizia di Dio ha il suo fondamento nella morte di Gesù sulla croce, al nostro posto, una volta per sempre. Altri olocausti – così ci dice la lettera agli Ebrei – non servono più, mai più.

Dio ci dichiara giusti: vuol anche dire che non abbiamo bisogno di credere che l’uomo sia buono in se stesso, ma che Dio dice cose buone verso l’uomo. Questa consapevolezza rispetto alla giustizia di Dio cambia il nostro sguardo. Il giudice davanti al quale dobbiamo tutti comparire ci vede, non ci ignora. Ogni essere umano sarà confrontato con questa giustizia di Dio e questo cambia qualcosa tra noi uomini. Ma rimane da considerare che Dio si rivolge a me come al mio prossimo. Dio invita nel suo regno, che ha avuto inizio con Cristo, e Dio vuole che questo regno cresca già adesso, qui su questa terra.

Le nostre ansie del quotidiano rimangono, non sono cancellate. E non sarebbe giusto se io vi dicessi: “Non preoccupatevi se avete lavoro o no” oppure “Non temere per la salute, non perdere tempo dai medici”. No, non vi dico questo. Ma vi dico che anche se uno di voi perde il lavoro, anche se uno perde la salute, la famiglia, la reputazione… non deve temere perché sarà sempre un amato figlio di Dio che fa parte del suo regno. Siamo amati e battezzati nel suo nome. Nessun potere del cielo e della terra può dividerci da quest’amore. Non c’è niente da temere. Anche se uno fallisce nel nostro disumano sistema di scuola e lavoro, non è fallito agli occhi di Dio. Davanti a Dio ha sempre ancora la sua dignità.

Lutero conosceva bene le ansie quotidiane e suggeriva di rifugiarsi ogni giorno nel battesimo. Cioè di rendersi conto che l’amore di Dio e la sua giustizia valgono per ME. Sono amato, sono battezzato, ho ricevuto lo Spirito Santo e quello orienta il mio desiderio verso Dio.

Lo so: le malattie e la miseria non scompariranno automaticamente, ma possono perdere qualcosa del loro aspetto spaventoso. Possono perdere qualcosa del loro potere che hanno su di noi.

Abbiamo detto all’inizio che si potrebbero scrivere lunghe liste con ciò che ci mette in ansia. Forse varrebbe la pena di fare viceversa e di scrivere un diario con le cose belle e buone per le quali siamo grati: una parola buona, un gesto amorevole. Il miracolo della creazione che vediamo ogni giorno e spesso non cogliamo neanche. L’amore che sperimentiamo grazie ai nostri prossimi. Sentire la benedizione di Dio, ascoltare parole salutari, pregare con parole famigliari, cantare inni che toccano il cuore.

Questo ci porta a tenere vivo in noi il desiderio per il regno di Dio e per la sua giustizia.

Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: La gratitudine

Quando penso ai miei figli vorrei sempre che si comportassero con buona educazione. Direi che a tutti noi piace incontrare delle persone educate e anche noi cerchiamo di comportarci in un modo che risulti gradito agli altri. Ai bambini si insegna la buona educazione, perchè per loro non è sempre così ovvio che cosa sia giusto fare e che cosa non lo sia.

Quando siamo stati quest’estate in Germania i bambini volevano essere molto gentili con la bisnonna e le hanno dato dei grandi bacioni, che avrebbero fatto sciogliere ogni nonna italiana; il problema è che mia nonna è tedesca e non è abituata ai baci, per questo commentava con un po’ di fastidio: “Non è molto igienico!” Comunque dai bis-nipoti si accetta anche un bacio poco igienico!

Ciò che è vero, è che i bambini non hanno sempre voglia di mostrare il loro lato educato. Mi ricordo bene di quando ero bambina e incontravo una lontana zia che aveva portato un regalo per me, ma diceva di volermelo dare solo a patto che le dessi la bella manina. Non mi sono fatta corrompere. Lei non si è presa la bella manina, io non mi sono preso il regalo e mia mamma si è vergognata da morire di sua figlia maleducata e poco grata. – La zia non la sopporto ancora oggi.

Non è facile mostrare gratitudine. Sento spesso le lamentele di quanti ritengono che non venga loro espressa sufficiente gratitudine. Ci sono i figli, anche i figli adulti, che hanno ricevuto tutto e adesso non si fanno più vedere. I vicini che venivano aiutati e adesso non salutano neanche più. Gli amici che non hanno mostrato adeguatamente la loro gratitudine. La richiesta di gratitudine arriva piuttosto velocemente.

Anche il testo della nostra predicazione di quest’oggi parla di gratitudine. Dieci persone chiedono qualcosa, ma solo una mostra gratitudine quando la riceve.

Leggo dal vangelo di Luca nel 17 capitolo a partire dal versetto 11

11 Nel recarsi a Gerusalemme, Gesù passava sui confini della Samaria e della Galilea. 12 Come entrava in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, i quali si fermarono lontano da lui, 13 e alzarono la voce, dicendo: «Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!» 14 Vedutili, egli disse loro: «Andate a mostrarvi ai sacerdoti». E, mentre andavano, furono purificati. 15 Uno di loro vedendo che era purificato, tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce; 16 e si gettò ai piedi di Gesù con la faccia a terra, ringraziandolo; ed era un samaritano. 17 Gesù, rispondendo, disse: «I dieci non sono stati tutti purificati? Dove sono gli altri nove? 18 Non si è trovato nessuno che sia tornato per dar gloria a Dio tranne questo straniero?» 19 E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato».

I dieci lebbrosi di cui parla Luca hanno ricevuto un regalo molto grande. La lebbra era una malattia non curabile per la quale le persone morivano lentamente o, più tristemente, si scioglievano pezzo per pezzo. Ai tempi di Gesù, essere lebbroso voleva dire dover vivere fuori dalla città e dover urlare ad ogni essere umano che si avvicinava ‘Attenzione lebbra’. Erano persone emarginate dalla scuola e da qualsiasi professione, messi da parte dalla società e lasciati soli nella disperazione della loro situazione.

In quella zona, tra la Samaria e la Galilea, dove Gesù passava andando verso Gerusalemme si era messo insieme un gruppo di dieci malati. Potevano così almeno aiutarsi tra di loro. Nella loro condizione non importava neanche se uno era samaritano o ebreo. Per queste storiche inimicizie tra i popoli non c’era più spazio nella miseria.

Questi uomini chiamano Gesù e chiedono aiuto. L’avranno fatto con ogni predicatore itinerante che passava sulla loro strada. Solo questa volta succede il miracolo. Loro guariscono. Succede in modo assolutamente non spettacolare, senza che Gesù li tocchi o che vi sia un qualsiasi avvicinamento. In questo Gesù segue le leggi anticotestamentarie. Manda i dieci uomini semplicemente dai sacerdoti che avevano il compito di testimoniare ufficialmente la guarigione. Da un momento all’altro tutte le barriere sociali sono scomparse per questi ex-malati. Possono girare liberamente, possono nuovamente lavorare, hanno di nuovo pienamente parte alla vita. Dieci uomini sono guariti, ma uno solo torna da Gesù per ringraziare.

È subito riemerge il nostro senso per una buona educazione. Non hanno imparato a ringraziare come si deve? Nessuno gli ha insegnato le buone maniere? Proviamo un attimo a comprendere gli altri nove. Anche loro avranno portato gli olocausti al tempio, come si doveva. Avranno fatto i lavaggi rituali e espresso la loro gratitudine ufficialmente ai sacerdoti. Non è stata colpa loro il fatto che si ammalassero, perché dovrebbero fare mille inchini per ringraziare. Forse hanno pensato di aver fatto abbastanza e sono partiti al più presto verso la loro nuova vita, verso le loro famiglie.

Uno, però, ritorna – e questo è un samaritano. Un uomo che teoricamente dovrebbe vivere con gli ebrei una reale inimicizia. Uno che non dovrebbe neanche riconoscere i sacerdoti dai quali Gesù l’aveva mandato. Uno che percepisce che Gesù non ha solo da offrire un corpo sano. Con Gesù non funziona la logica del dare e avere sulla quale abbiamo basato la nostra società. Io ti do, tu prendi e ringrazi dandomi in retro qualcosa di simile valore. Una società che lavora secondo questi criteri può funzionare, lo vediamo – ma sarà sempre una società fredda perché non riconosce la gratitudine alla quale Gesù ci vorrebbe educare.

Questa gratitudine si sviluppa solo dove si riceve qualcosa senza meritarlo e senza poter dare qualcosa in cambio. Questo è quello che vediamo in quel samaritano, in quello straniero indesiderato, forse addirittura odiato. Egli ha percepito con più chiarezza rispetto ai suoi compagni che non poteva vantare nessun diritto nei confronti di questa guarigione, che Gesù aveva fatto qualcosa per lui, che non si poteva ricompensare con qualche rituale o olocausto. Quest’uomo ha sperimentato che la grazia di Dio ha agito in lui senza che lui si potesse meritare questa grazia.

“Immeritato” è la parola magica. Dire “immeritato” implica la fine del metter in conto. “Immeritato” significa non poter più dire: questo mi spetta. Immeritato vuol dire ammettere il proprio peccato. Vuol dire ammettere di fare degli errori o almeno di poter fare errori. Vuol dire fare un passo in retro per diminuire le proprie pretese.

Oggi ci sono tante persone che sanno perfettamente che cosa possono pretendere. Possono essere i finanziamenti che si aspettano dallo Stato, o certi aiuti che la chiesa dovrebbe dare, e già i bambini ci dicono: questo ce l’hanno tutti, e anche a me spetta.

Solo per intenderci: è giusto ed è bene saper formulare e avere delle attese. La Bibbia non vuole educarci ad accettare tutto ciò che accade con una umiltà mal compresa, con uno spirito inutilmente remissivo. Ma nove uomini in questo racconto, hanno fondato la loro relazione con Gesù sulle pretese e questo non funziona. Il decimo torna perché ha ricevuto qualcosa di immeritato. Una grazia immeritata alla quale non può rispondere con nessun’opera.

E poi sentiamo la strana parola interpretativa di Gesù. Non dice: sì, ti sei comportato bene, hai riconosciuto, hai compreso col tuo intelletto che non ti spettava e per questo ringrazi con tanto entusiasmo. Gesù gli dice invece: la tua fede ti ha salvato. – La fede fa la differenza. La sua fede gli apre la porta per vedere che vive senza averlo meritato e per poter ricevere senza contraccambio. La sua fede cambia la sua visione sulle cose, la sua visione sul mondo.

Tutti ci ammaliamo. Talvolta è solo un’influenza, talvolta è una malattia con la quale combattiamo a lungo, qualcuno muore dopo una malattia e di questo ci lamentiamo. Certe persone si disperano addirittura perché non capiscono come Dio possa ammettere che succedano certe cose e perché la malattia debba colpire proprio loro e i loro cari. Talvolta viviamo anche una guarigione e ringraziamo, ma in tutto ciò siamo ancora sullo stesso livello con i nove uomini.

Diventiamo come il decimo solo quando possiamo vedere ciò che Dio ci dona nella nostra normalissima vita e nella nostra quotidianità – qualcosa di immeritato – quando possiamo vedere che ogni nuovo giorno è un dono di Dio. Ogni giorno, anche i giorni cattivi, anche i giorni che non comprendiamo e vorremmo poter dimenticare subito, tutti i giorni sono un dono di Dio.

È il segreto di quel decimo uomo, di quello straniero, quel non ebreo che torna, che ci insegna con il suo comportamento come noi figli di Dio dovremmo vivere. Ci mostra una fede che è in grado di ricevere con gratitudine dolori e gioie sapendo che è tutto grazia divina. E poi sta scritto che tornava glorificando Dio ad alta voce. Lui che fino a poco tempo prima doveva nascondersi, torna adesso con la testa alzata verso Gesù lodando Dio così che tutti lo possano sentire. Questa è grazia. Questo è ciò che Dio si augura per noi. Una vita del genere vuole donarcela. Dio vuole aiutarci a camminare con una postura eretta e niente più della lode di Dio è capace di farci assumere questa posizione.

Gesù gli dice: Àlzati e va’. Non è il passo dell’orgoglio. È il passo del Fedele che può camminare diritto perché è stato liberato e perché sa che la forza che lo porta supera il proprio fare e agire. Così quel samaritano diventa un esempio di fede per noi. Un uomo che si fida della parole di Gesù, le segue e poi torna con gratitudine e lode.

Ripeto ancora una volta le frasi decisive:

Uno di loro (…) tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce; e si gettò ai piedi di Gesù con la faccia a terra, ringraziandolo;. (…)Gesù, rispondendo, disse: (…) «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato». Amen

Ulrike Jourdan