Sermone: La pazzia della croce

L’estate con il solito caldo in chiesa è decisamente arrivata. L’estate è la stagione per i viaggi e di un viaggio vorrei parlarvi oggi. Un lungo viaggio non solo di qualche settimana ma di vari mesi e anni che ha intrapreso l’apostolo Paolo. Lui ha fatto tanti viaggi missionari in tutto il Mediterraneo e nel corso del suo secondo viaggio ha incontrato la giovane comunità di Corinto. Ci troviamo in Grecia; Corinto è una città di mare o meglio è situata sul canale che collega il golfo di Corinto con il golfo Saronico. All’epoca Paolo alloggiava dai coniugi Prisca e Aquila e lavorava come fabbricante di tende mentre predicava a Corinto. Il piccolo gruppo di cristiani diventava pian pianino una comunità più stabile nell’anno e mezzo in cui Paolo stava a Corinto. – Ve lo immaginate di ospitare per un anno e mezzo un predicatore straniero a casa vostra? Se qualcuno esita: ricordatevi sempre che potrebbe capitarvi come ospite anche uno come Paolo. – Comunque Paolo viveva lì a Corinto in quella bella città di mare e predicava. La chiese locale cresceva nonostante problemi e resistenze. Paolo battezzava delle persone, soprattutto delle classi sociale più basse e portava tante persone verso la fede. Però l’apostolo non voleva fermarsi in una singola città. Per questo affidava la guida della chiesa di Corinto ad Apollo e proseguiva sulla sua strada.

Dopo un po’ di tempo scrive la sua prima lettera alla chiesa che l’aveva ospitato per tanto tempo e non è una lettera di ringraziamento. Dopo le prime gentilezze arriva subito al ‘dunque’. Scrive che la forte crescita della chiesa ha dato loro alla testa e che hanno dimenticato l’essenziale. Iniziano a litigare, si formavano vari gruppi all’interno della chiesa che si appellano alla persona che li ha battezzati. C’era il gruppo di Apollo e quello di Paolo, il gruppo di Cefa e addirittura il gruppo di Cristo. Questo era troppo per Paolo e quindi scrive quella lettera nella quale richiama tutta la chiesa al vero centro dell’annuncio.

Scrive nella prima lettera ai Corinzi 1,18-25

18 Poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio; 19 infatti sta scritto: «Io farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l’intelligenza degli intelligenti».  20 Dov’è il sapiente? Dov’è lo scriba? Dov’è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo mondo?  21 Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione.  22 I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza,  23 ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia;  24 ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio;  25 poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Paolo parla qui del centro della nostra fede. Solo lì si possono superare le separazioni: sotto la croce di Gesù. La predicazione della croce è il messaggio di Gesù Cristo, il figlio di Dio che è andato liberamente in croce per noi; per pagare il salario del peccato che è la morte. Non è stata una morte eroica. La croce era il simbolo della maledizione e fino ad oggi è questa l’accusa che in molti rivolgono: la morte di Cristo in croce è il suo fallimento.

Paolo non sviluppa nella sua lettera alla chiesa di Corinto una teologia che si spiega da sola, come un sistema logico. Il messaggio di Paolo non è logico, però è il messaggio che Gesù stesso ha voluto che Paolo portasse in tutto il mondo. Paolo racconta di quella croce. La sua teologia consiste nell’annuncio che Gesù Cristo è reale e che questa morte reale non era uno sbaglio ma la liberazione dell’umanità. Questo non è un messaggio che si possa cogliere col pensiero. Paolo stesso afferma che la sua teologia è pazzia davanti alla saggezza umana. Vuol dire che noi oggi non riusciamo a spiegare con parole “scientifiche” che cosa sia successo sulla croce del Golgota. È un messaggio folle che Dio Padre faccia morire il suo unico e amato figlio di una simile morte e che tutto ciò alla fine sia la vittoria e il simbolo per la nostra salvezza. La predicazione della croce è stata sempre e rimane una predicazione folle che non si riesce a cogliere con la propria saggezza.

E proprio questo incontriamo sempre di nuovo quando cerchiamo di parlare con qualcun altro del fondamento della nostra fede. La croce divide. Fino alla croce ci sono tante persone che ci seguono volentieri. Vedono Gesù come un grande maestro, un uomo buono ed ispirato. Ci vedono come una chiesa moderna e sensata e ci danno volentieri l’8×100 perché siamo visti come gente onesta. Diciamo che non è male come punto d’inizio ma quando si arriva alla croce ognuno deve prendere una decisione. Posso credere che Gesù sia morto per me? Posso credere che solo attraverso la sua morte si sia aperta per me la via verso il Padre? Sono io pronta a dare la mia vita per lui? Sono pronta a fare morire la mia saggezza e affidarmi solo a lui?

Mi rendo benissimo conto che anche noi, anch’io, ci fermiamo un attimo davanti a queste domande; ed è giusto che sia così. Sono dure, radicali, ma è proprio questo il messaggio della croce che per tante persone è troppo forte, quasi fondamentalista, Paolo direbbe pazzo.

La predicazione della croce dev’essere radicale perché parliamo di vita e di morte. Non discutiamo di una buona vita in generale. Non discutiamo di vari modi di intendere e vivere la nostra vita. Paolo ci dice: chi si accosta sotto la croce di Gesù si troverà quel Gesù al suo fianco quando sarà una volta davanti dal giudizio di Dio. Chi riconosce oggi Gesù come il suo salvatore, chi accetta quel sacrificio della croce, anche se non lo può cogliere con la saggezza umana, sarà salvato. Paolo scrive: per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio.

La croce è per i credenti la potenza di Dio. Dynamis sta scritto nel testo greco. Lo sentiamo anche in italiano che c’è dinamica in questa parola e anche dinamite. La potenza di Dio cambia il mondo. Lì dove secondo la saggezza umana è tutto finito, cioè nella morte, proprio lì si fa vedere la potenza divina. Dio ci lascia la croce, il segno della morte come simbolo della vita eterna.

E Paolo lo sa benissimo: non si riesce a capire e spiegare questo concetto con parole umane. Ogni persona deve fallire nel tentativo di cogliere il messaggio della croce con le proprie capacità, prima di riconoscere veramente la potenza di Dio sulla croce.

Paolo fa rifermento all’Antico Testamento e al profeta Isaia quando scrive: Io farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l’intelligenza degli intelligenti. Questo è un giudizio verso Israele e verso una fede morta e legalista. E Paolo prosegue scrivendo: Dov’è il sapiente? Dov’è lo scriba? Dov’è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo mondo?

Ricordiamoci di tutte le persone pie e sagge con le quali Gesù ha discusso della fede e che hanno in continuazione cercato di metterlo in trappola. C’erano quelli che gli hanno chiesto come devono rapportarsi alle tasse e Gesù gli ha risposto: Date a Dio quello che è di Dio. Mt 22,12b

E poi venivano i sadducei che lo interrogavano sulla risurrezione dei morti. Gesù gli rispondeva: Voi errate, perché non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio. Mt 22,29

E venivano quelli che chiedevano quale sia il comandamento più grande e anche a loro Gesù rispondevo solo con ciò che sta già scritto nelle Sacre Scritture, e che gli ebrei pregano ogni mattina, cioè: Tu amerai dunque il SIGNORE, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze. Dtn 6,5

Tante persone credenti, intelligenti chiedono qualcosa a Gesù e sembra quasi che si stupiscano di una risposta che dovrebbero in teoria conoscere però la risposta va contro la sapienza umana. Proprio i Greci nella chiesa di Corinto, che erano fieri della loro educazione e filosofia, avevano i maggiori problemi con questa predicazione della croce che scardina ogni sapienza umana.

E Paolo continua a scrivere: Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. Solo per capirci: la sapienza del mondo non è di per sé male. Proprio Paolo è un teologo molto fine. Non ha nessun’interesse a farci smettere di pensare e di ripetere poi solo versetti biblici senza senso. Sicuramente no! Ma Paolo sottolinea che la saggezza del mondo arriverà prima o poi in un vicolo cieco dove si ferma. Però Dio apre la via della fede e fiducia; senza segni che chiedono gli ebrei, senza saggezza che chiedono i greci, pura fede.

E Paolo scrive: Noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.

La pazzia di Dio è Gesù Cristo in croce. Sulla croce succede ciò che un essere umano non può fare. Lì accade redenzione, salvezza. – Dio diventa debole sulla croce. La potenza umana fallisce perché non riesce ad avvicinarsi a Dio. Per questo Dio costruisce nella sua debolezza un ponte – Un ponte di salvezza verso la vita eterna.

Paolo richiama la chiesa di Corinto verso l’essenziale. Dice loro: smettete di litigare per delle sciocchezze e tornate verso il centro. E il centro è Gesù Cristo e il miracolo che è successo in croce. Predicate la croce anche se gli altri vi sorridono, anche se vi considerano pazzi. Non si tratta qui dei vostri pensieri e della vostra saggezza ma della salvezza eterna.

Poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio.

Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: Il giudizio degli altri

Romani 14:10-13
Ma tu, perché giudichi tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi tuo
fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio; infatti
sta scritto:
«Come è vero che vivo», dice il Signore, «ogni ginocchio si
piegherà davanti a me, e ogni lingua darà gloria a Dio».
Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio.
Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi piuttosto a
non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per lui
un’occasione di caduta.

Cari fratelli e sorelle, quante volte ci è capitato, ci capita e ci
capiterà ancora, di esprimere giudizi spesso non particolarmente
lusinghieri sugli altri? Sia su chi è lontano da noi ma anche, molto
spesso, purtroppo, proprio su chi ci è particolarmente vicino? Credo
faccia parte un po’ dell’animo umano, che sia insita in noi la critica,
il voler sempre intervenire; “Io lo avrei fatto in un altro modo”; “lui/lei
non capisce proprio”; “guarda quello/quella lì come si veste o come
si comporta”; ecc. Mi viene in mente, tanto per fare un esempio di
attualità, in questi tempi di Campionati Europei di calcio che,
quando gioca la nostra nazionale, diventiamo tutti improvvisamente
dei “Commissari Tecnici” espertissimi anche se il nostro movimento
fisico è spesso unicamente dalla poltrona al divano. Ma perché
scatta questo meccanismo? Gli psicologi, a qualsiasi “scuola”
appartengano, ci vengono incontro parlando di “meccanismo di
proiezione”: in pratica si tratta di quel meccanismo di difesa
attraverso cui buttiamo fuori da noi stessi e localizziamo quindi
nell’altro, sentimenti, desideri o qualità che sono nostri propri ma
che noi non riconosciamo o rifiutiamo sia consciamente che
inconsciamente. Una sorta, quindi, di meccanismo di difesa che
serve a fare una sorta di “economia mentale”, di “pulizia della
mente”, dal momento in cui ci libera di sensazioni, emozioni,
sentimenti, caratteristiche che percepiamo come sgradevoli e che
non vogliamo tenere per noi. Ecco allora che dobbiamo stare ben
attenti ogni qualvolta ci troviamo a formulare giudizi rigidi e lapidari
nei confronti degli altri. Se guardassimo bene e attentamente dentro
di noi ci accorgeremmo che quelle persone che noi critichiamo sono
portatrici di caratteristiche che noi stessi non riconosciamo o non
vogliamo riconoscere di avere.
Si tratta di quelle parti che noi non vogliamo accettare di avere: vuoi
per motivi religiosi, etici, morali, educativi o familiari. Si tratta di
caratteristiche che se ammettessimo di avere, manderebbero in
crisi tutto quel sistema personale di valori sul quale per anni ci
siamo costruiti come persona, sul quale abbiamo basato la nostra
immagine, sia pubblica che privata. Ci facciamo forti dell’essere
persone moralmente rette, ma dentro una parte di noi vorrebbe
essere smaliziata e priva di inibizioni; ci facciamo forti di essere abili
risparmiatori come ci ha insegnato il papà, ma di fatto dentro di noi
c’è una parte più spendacciona che vorrebbe emergere e trovare
spazio; ci consideriamo fieramente riservati e attenti al buon
comportarsi quando in realtà c’è la parte di noi più “casinista” e
sfacciata che vorrebbe essere ascoltata. E così via.
In pratica, molte delle persone che si dedicano a criticare gli altri
cercano semplicemente di distrarre la loro mente dal disagio
esistenziale che stanno vivendo. Criticano gli altri per non essere
costrette a criticare se stesse e non dover prendere delle misure
per risolvere i loro problemi. Quindi, come dice l’Evangelo di Luca
che abbiamo in precedenza ascoltato, si limitano a guardare la
pagliuzza nell’occhio altrui ignorando la trave che c’è nei loro occhi.
«Può un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in
un fosso?”. La Parola di Dio è chiara! Negli altri noi critichiamo e
facciamo notare i nostri stessi difetti!Pertanto, cari fratelli e sorelle,
interroghiamoci quando chiamiamo “poco di buono” una donna solo
perché ha un fare molto espansivo con gli uomini; interroghiamoci
quando critichiamo il vicino che compra sempre un cellulare nuovo
ogni mese; interroghiamoci quando critichiamo l’amico un po’
buffone che si diverte a fare “l’idiota del villaggio”. Non vorremmo
forse essere in fondo anche noi un po’ smaliziati come quella che
chiamiamo “poco di buono”? Non vorremmo forse spendere più
soldi come il vicino di casa ma non possiamo permettercelo? Non
vorremmo forse essere più espansivi come l’amico buffone? Se
pensiamo che qualcuno stia con noi solo per raggiungere degli
scopi, per interesse, allora quegli obiettivi sono anche i nostri. Se
pensiamo sempre che il nostro partner ci tradisca è perché noi
stessi siamo dei potenziali traditori nelle medesime situazioni in cui
lo immaginiamo tradirci.Che fare quindi? La Scrittura è chiara
anche in questo caso: “ciascuno di noi renderà conto di sé stesso a
Dio”. Quando verrà il giorno del Giudizio finale, “ogni ginocchio si
piegherà davanti a me, e ogni lingua darà gloria a Dio”. Tutti
dovremmo rispondere del nostro e ripeto, solo e solamente del
nostro agire. E non a nome o per conto degli altri. Quindi,
smettiamola una buona volta di giudicare e di disprezzare l’altro,
impariamo a riconoscere quando e cosa stiamo proiettando di noi
stessi sull’altro; impariamo ad accettare che quello che stiamo
proiettando è un qualcosa che risiede dentro di noi da qualche
parte del nostro essere. “Perché guardi la pagliuzza che è
nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è
nell’occhio tuo?”. Credo che mai come in questo caso la Parola di
Dio e la parola dell’uomo, psicanalista, psicologo, sociologo o
comunque esperto della mente e delle relazioni umane siano
perfettamente in linea. L’apostolo Paolo giunge a proporci una
soluzione nel testo della Lettera ai Romani che abbiamo ascoltato
poco fa: “Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi
piuttosto a non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per
lui un’occasione di caduta”. Siamo quindi, cerchiamo, con le nostre
deboli forze umane, sale della terra per chiunque abbiamo la
fortuna di incontrare. Diamoci da fare per gli altri perché negli altri è
sempre presente un qualcosa di noi. Magari proprio quella parte
che rifiutiamo o che vorremmo tanto essere ma non siamo mai
riusciti a raggiungere. “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Direi
che questa è proprio la frase congeniale, ad hoc, per porci in linea
con la volontà di Dio espressa nell’Evangelo e nel testo della
predicazione di oggi. Questo per chi critica e disprezza. Ma
poniamoci ora dall’altra parte, dalla parte di chi subisce le critiche,
di chi soffre e non riesce a vivere bene a causa di tutti queste
maldicenze e giudizi spesso gratuiti. Che fare? Vorrei a questo
proposito, se me lo permettete, fornire una possibile risposta, non
con un’altra citazione biblica, ma con una più prosaica riflessione, o
consiglio, vedetela come volete, del grande attore e regista Charlie
Chaplin: “Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà
difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere così come
sei! Quindi vivi, fai quello che ti dice il cuore, la vita è come
un’opera di teatro, ma non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi
intensamente ogni giorno della tua vita prima che l’opera finisca
priva di applausi”. Spendiamo un sacco di soldi, di energie, di salute
fisica e mentale per cercare un equilibrio. Seguiamo corsi di
meditazione, di tecniche di rilassamento, di sedute psicanalitiche,
seminari di auto-realizzazione o di tecniche di persuasione. Niente
in contrario, per carità. Qualcosa di buono c’è sempre. Ma
dimentichiamo spesso quella che dovrebbe essere la nostra Guida
con la G maiuscola: Dio. E quando ci parla Dio? Con la Sua Parola!
Leggiamola quindi la Parola di Dio, leggiamola e meditiamola la
Bibbia. Scopriremo che tante parole umane sono già state scritte.
Amen.

Daniele Rampazzo

Sermone: Il padre con i due figli

La settimana scorsa abbiamo parlato di che cosa sia la chiesa e una delle immagini che proponeva Paolo era quella della famiglia. Una famiglia nella quale si vive insieme come fratelli e sorelle, maggiori, minori e tutti intorno a quel Dio che per loro è come madre e padre.
Però lo sappiamo bene che non è sempre facile convivere in famiglia e anche nelle famiglie migliori si litiga talvolta o ci sono delle incomprensioni. Di una famiglia del genere voglio raccontarvi oggi. Una famiglia che forse può dire qualcosa anche a noi come chiesa. Leggo dal vangelo di Luca nel 15 capitolo a partire dal versetto 11
11 (Gesù disse): «Un uomo aveva due figli. Quest’uomo può essere visto come Dio. Egli è un padre che ha però tante caratteristiche che forse definiremmo più femminili. Non penso che qualcuno si stupirebbe del suo comportamento se questo padre fosse una madre. È un padre che non deve far vedere chi comanda in casa. È un padre che non pretende che gli vengano tributati degli onori particolari. È un padre che non si lascia supplicare ma è veloce a perdonare. – Penso che non sia giusto “incastrare” Dio nei nostri schemi di maschile e femminile. E diciamocela tutto: questi schemi non funzionano più, neanche con le madri e i padri di oggi. Non so se hanno mai funzionato veramente, con Dio sicuramente non funzionano.
Questo padre ha due figli. E già di nuovo ci fermiamo perché se il padre è Dio, chi sono i figli? Siamo noi. Per noi cristiani Dio non è uno che ha fatto una volta il mondo ed ora sta in cielo a guardarsi il tutto con distacco. Il nostro Dio non è una delle tante divinità greche che stanno ferme ad osservare il mondo mentre questo tribola. Il nostro Dio si mette in gioco. È come un genitore che vive tutte le gioie e preoccupazioni che costituiscono la vita delle madri e dei padri. Dio vuole questo contatto con noi, vuole che noi ci possiamo rispecchiare in lui, vuole vivere la gioia e il dolore che i figli portano con sé.
Questi figli – e di nuovo devo dirlo: nella parabola sono maschi ma potrebbero benissimo essere anche delle femmine – questi figli sono come capita spesso, molto diversi. Hanno gli stessi genitori ma crescono in maniera completamente diversa. Dovrebbero in teoria fare esperienze simili nella vita ma le interpretano in modo differente. Mio fratello ed io siamo così. Stessi genitori, figli totalmente diversi.
Adesso entriamo nel primo conflitto educativo. Il più giovane di loro disse al padre: “Padre, dammi la parte dei beni che mi spetta”. Accidenti che coraggio! Se fosse mio figlio gli direi: Signorino, prima voglio sentire un bel ‘per piacere’. Secondo, non ti spetta niente. Terzo, così non si parla con la mamma, e adesso sparisci e rifletti sul tuo comportamento.
Dio reagisce diversamente. Egli divise fra loro i beni. Non ha nessun obbligo di fare questo. Chi ha diritto di pretendere l’eredità quando vivono ancora i genitori? Solo il pensiero dovrebbe farlo vergognare. Sono i figli che dovrebbero prendersi cura dei genitori anziani, non viceversa. Questo figlio non ha nessun diritto a chiedere la sua parte dei beni. Comunque, prova come provano tanti bambini e quel padre gli permette di agire secondo la propria testa. Divide i beni tra i suoi figli. Devono tutti e due ricevere lo stesso.
Di lì a poco, il figlio più giovane, messa insieme ogni cosa, partì per un paese lontano, e vi sperperò i suoi beni, vivendo dissolutamente. Non lo sapeva il padre che cosa avrebbe fatto suo figlio? Io dico che lo sapeva. Noi genitori conosciamo bene i nostri figli. Sappiamo come sono fatti, conosciamo i loro limiti e i loro pregi; i loro punti di forza e i loro problemi. Quel padre decide di lasciare suo figlio libero. Decide di fargli fare le sue esperienze, anche se si potrebbe fare male in questo. La pedagogia di Dio è molto moderna e libertaria. Non è facile vivere quest’amore che libera. Non è facile lasciar fare ai propri figli, al bene più prezioso che abbiamo, dei possibili errori. Questo padre si sforza di lasciare suo figlio in libertà e succede proprio quello che si poteva prevedere: l’errore viene commesso. Non sarebbe stato possibile risparmiargli quest’esperienza? No, proprio no.
Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una gran carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Per quel figlio era necessario finire nel bisogno. Esistono delle persone che per incontrare Dio devono finire nel bisogno. Questo non ci dice che Dio vuole che stiamo male, no. Ma esistono tante persone che vivono la loro vita proprio come questo ragazzo. Vogliono fare le loro esperienze ed è giusto che le facciano perché solo nel momento del bisogno si può cambiare qualcosa per loro.
Allora si mise con uno degli abitanti di quel paese, il quale lo mandò nei suoi campi a pascolare i maiali. Gesù racconta questa storia a dei genitori ebrei. Che cosa potrebbe essere peggio per loro di sapere il proprio figlio in compagnia di pagani, addirittura lavorando per loro e contaminandosi nel contatto con degli animali impuri? Diciamo che in questa descrizione vengono messi insieme i peggiori incubi dei genitori dell’epoca. E vi ricordo: Dio permette che facciamo le nostre esperienze. Dio usa addirittura quell’allevatore di maiali pagano (il peggio del peggio) per fare sì che il figlio perduto non debba morire di fame.
Ed egli avrebbe voluto sfamarsi con i baccelli che i maiali mangiavano, ma nessuno gliene dava. Così grande è la fame. Talvolta serve che la fame diventi grande prima che siamo disposti ad accettare ciò che ci fa bene. Non ve lo dico come minaccia. È un semplice fatto. Talvolta affrontiamo questi momenti nella vita nei quali dobbiamo fare certe esperienze. Nessuno ce lo può togliere, dobbiamo attraversarle.
Allora, rientrato in sé, disse: “Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! A quel punto il ragazzo si ricorda di suo padre. Sono sicura che tutti quanti portiamo in noi un ricordo di Dio. Tutti quanti abbiamo un’idea di questo Dio che ci vuole bene e presso il quale c’è abbondanza. Talvolta è un ricordo molto lontano, talvolta è più una speranza ma questa speranza porta alla decisione:
Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi”.
È la decisione di alzarsi dal proprio porcile, di mettersi in cammino verso Dio e di chiedere perdono. Ho peccato. Mi sono distaccato di te. Sapevo bene che non avrei dovuto, e l’ho fatto comunque. Non sono più degno, non ho nessun diritto davanti a te. Chiedo perdono.
Questo è il passo che ogni cristiano deve fare. Non solo quei figli perduti che hanno bisogno di finire nel porcile, ognuno deve riconoscere di non essere degno davanti a Dio e di non avere nessun merito da portare. Anche il bravo figlio che è rimasto alla casa del padre deve riconoscere questo fatto e per lui potrà essere addirittura più difficile che non per il fratello. Il Catechismo di Heidelberg, che utilizziamo ancora nelle nostre chiese chiede ad un certo punto: Siamo dunque corrotti a tal punto da essere del tutto incapaci di alcun bene, e inclini a ogni male? E la risposta è: Sì – a meno che nasciamo di nuovo mediante lo Spirito Santo. Noi non abbiamo niente di cui vantarci davanti a Dio. Né come figli ribelli, né come figli perfetti. Dipende tutto da Dio.
Ma guardiamo che cosa succede, perché finora c’è stato solo il pensiero di quel figlio di voler fare un passo verso il padre.
Egli dunque si alzò e tornò da suo padre; ma mentre egli era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione: corse, gli si gettò al collo, lo baciò e ribaciò.
Il figlio si era fatto tanti pensieri ma prima di poter aprire bocca agisce il padre. Lo vede, corre, gli si getta al collo, lo bacia e ribacia. Potete immaginarvi per quanto tempo questo padre avesse già cercato con gli occhi suo figlio? Nessun genitore lascia andare i figli senza preoccuparsi e lui sapeva delle difficoltà che suo figlio avrebbe avuto. Adesso c’è questa esplosione d’amore nella quale non servono neanche più le parole. Puro amore, questo è Dio.
E il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. È giusto che questa confessione venga espressa anche se il padre non la richiede. È giusto confessare i nostri peccati davanti a Dio e chiedergli perdono. Non serve a lui, serve a noi, per metterci il nostro peccato davanti agli occhi. Serve a noi per esprimere ciò che non va.
Ma il padre disse ai suoi servi: “Presto, portate qui la veste più bella, e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; 23 portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto, ed è stato ritrovato”. E si misero a fare gran festa.
Dio non risponde neanche alla confessione di peccato. Ha già risposto con il suo sguardo, con la sua corsa, con l’abbraccio e i baci. Adesso vuole festeggiare, non solo un pochino, ma una festa in grande perché il figlio era morto ed è tornato in vita.
Chi non è in comunione con Dio vive una vita da morto. Quante persone vivono così, distaccate dalla fonte di ogni vita. Invece Dio fa festa per ognuno che vuole vivere con lui.
Il testo prosegue e ci racconta del secondo figlio che è sempre stato vicino al padre ma non ha tanta misericordia con il fratello tornato.
25 Or il figlio maggiore si trovava nei campi, e mentre tornava, come fu vicino a casa, udì la musica e le danze. 26 Chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa succedesse. 27 Quello gli disse: “È tornato tuo fratello e tuo padre ha ammazzato il vitello ingrassato, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28 Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare. 29 Ma egli rispose al padre: “Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici; 30 ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato”. 31 Il padre gli disse: “Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”».
Dobbiamo chiederci quanta misericordia abbiamo noi con i nostri fratelli e con le nostre sorelle che sono stati nel porcile? Di solito ci è facile individuare i porcili di questa terra. Di solito non abbiamo problemi ad identificare le persone che si sono contaminate con idee e pratiche pagane, eretiche, comunque non degne di un figlio di Dio. Ci è di solito più difficile abbracciare e baciare quanti tra loro tornano. Noi vogliamo sentire le scuse e spesso neanche quelle ci bastano. È così?
Il padre che ci presenta Gesù ha un cuore per i figli ribelli. Lascia loro la loro libertà. Lascia loro fare le esperienze necessarie e poi li accoglie con tutto l’amore che un genitore può provare per la propria carne e il proprio sangue.
Dio ha misericordia con tutti i suoi figli. Di questa misericordia viviamo – tutti quanti. Mostriamoci anche noi a nostra volta misericordiosi con coloro che cercano il Padre tornando dai porcili.
Amen
Ulrike Jourdan

Sermone: Che cos’è la chiesa?

Il testo biblico proposto per oggi si trova nella lettera di Paolo agli Efesini. Questa lettera è molto importante perché tratta un tema importante, cioè la chiesa di Gesù Cristo e la convivenza al suo interno, nella casa di Dio. A Efeso la prima chiesa cristiana era ancora in costruzione: non intendo lo stabile, ma penso alla costruzione umana di una chiesa, che non è mai facile. Sulla casa di Dio vogliamo oggi riflettere

Ascoltiamo che cosa scrive Paolo nel secondo capitolo della lettera agli Efesini vv 17-22.

17 Con la sua venuta (Gesù Cristo) ha annunziato la pace a voi che eravate lontani e la pace a quelli che erano vicini; 18 perché per mezzo di lui gli uni e gli altri abbiamo accesso al Padre in un medesimo Spirito.  19 Così dunque non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio.  20 Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare, 21 sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore.  22 In lui voi pure entrate a far parte dell’edificio che ha da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito.

Non so quale pensiero evochi il testo in voi. Io l’ho letto appena tornata dalla Consultazione metodista la settimana scorsa e ho identificato automaticamente i lontani e i vicini nelle persone che ho visto lì. La nostra chiesa sta facendo grandi cambiamenti. Persone che 20 o 30 anni fa sono arrivati da lontano si sono oggi mischiati con quelli che storicamente sono vicini. Altri che 20 anni fa erano nel bel mezzo di tutto, fanno oggi un passo indietro per dare spazio. Questo rimescolamento di persone, idee e modi diversi di vivere la fede non è mai stato facile. Talvolta è così difficile che uno dei “vicini” ha deciso addirittura di allontanarsi. Proprio in relazione a tutte queste difficoltà Paolo deve scrivere la lettera alla chiesa di Efeso e in qualche modo scrive la sua lettera anche a noi oggi e ci dice:

Pace! Pace ai lontani, pace ai vicini, pace a tutta la chiesa di Gesù Cristo. Tutti quanti, ebrei e gentili, vicini e lontani, italiani, ghanesi, filippini e coreani – tutti quanti hanno ora accesso al Padre in un medesimo Spirito. Quest’unità nello Spirito è la corda che stringe insieme ebrei e pagani come membri della comunità. Quest’unità è anche la prova che Cristo produce veramente la pace tra i vicini e lontani e questo vale fino ad oggi: dove lo spirito di Dio apre i cuori delle persone tutto ciò che potrebbe dividere passa in secondo piano.

E così Paolo descrive in quattro immagini il carattere di una chiesa.

1             Per primo paragona la chiesa con una comunità, una nazione divina. Inizia dicendo: Così dunque non siete più né stranieri né ospiti. Non siete più come quelli che vivono come clandestini senza diritti civili in un paese straniero. Quante persone vivono e lavorano anche nella nostra città senza avere ancora il diritto di chiamare questo Paese la loro patria. Quante persone si sentono in mezzo a noi come cittadini di seconda categoria. – Non dev’essere così nella chiesa di Gesù Cristo! I gentili che una volta non avevano contatto con il Dio d’Israele sono ora, da quando credono in Gesù Cristo, concittadini. Hanno tutti i diritti e doveri che ha ogni membro del popolo di Dio. Hanno parte a tutti i beni e a tutto il bene nel regno di Dio.

La chiesa come una nazione. Una comunità di fedeli che hanno fatto tutti in qualche modo delle esperienze con Gesù Cristo. Confessano tutti insieme: ero come morto e sono diventato vivo in Cristo. Sono stato lontano e sono ora vicino a Cristo. Ho sperimentato che Cristo mi ama e voglio essere con lui. – Questa è la base di questa comunità. È una nazione che non è fondata su leggi o costituzioni, sul fare o lasciare certe cose. La chiesa come comunità di Dio si definisce nella appartenenza a Cristo.

Si potrebbe fare l’errore e pensare di far parte di questa comunità perché si viene con regolarità agli incontri, perché si sostiene finanziariamente il gruppo, anche se manca il contatto principale, quello con Cristo. Nella nazione di Dio non valgono le regole del nostro mondo. Si fa parte di questa nazione solo nell’unione con Cristo.

2             Però non si rimane solo a quel livello. Nel momento in cui si avvicinano quelli che sono vicini e quelli che sono lontani, si accostano anche a Dio. Questo è ancora di più di una semplice nazione perché parliamo di una relazione orizzontale tra i membri e verticale con Dio. Paolo scrive: siete membri della famiglia di Dio. La chiesa non è solo una comunità, ma è una grande famiglia. Sarebbe una famiglia nella quale Dio ha il ruolo di madre e padre e tutti i fedeli sono figli di varie età. Tutti quelli che fanno parte della famiglia vivono insieme nella casa di Dio e hanno il diritto di abitazione, diritto famigliare, diritto ereditario.

Mi piace quest’immagine perché se si vive insieme in questa casa di Dio, i figli hanno tanto contatto con i genitori e anche con gli altri figli più grandi o più piccoli. Questa convivenza mi sembra fondamentale in una chiesa. Conoscersi, ascoltarsi, aiutarsi, queste sono espressioni di una famiglia che funziona. È in quest’immagine è impressionante ricordarsi che Gesù Cristo non ha dato come esempio ai suoi discepoli un adulto o un bambino grande, ma un bambino piccolo. Potrebbe dirci che la crescita dentro una chiesa non si mostra nell’autonomia delle persone ma proprio nel suo contrario, in una sempre maggiore dipendenza dal Padre. I più deboli sono i forti perché non sono in grado di fare niente con le loro forze e il Padre celeste può raggiungere il massimo effetto con loro.

3             Però Paolo non si ferma neanche all’immagine della famiglia. Va oltre nel pensiero e arriva dopo aver parlato di quelli che abitano nella casa, alla costruzione della casa. Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare, sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore.

Edificio – edificare qualcosa – edificare qualcuno. Queste parole fanno parte della stessa famiglia. È edificante per noi se ci facciamo edificare dentro a quel grande edificio della chiesa di Dio. Gesù Cristo stesso è il fondamento di questa casa. La parola che la Nuova Riveduta traduce con pietra angolare potrebbe essere tradotta anche come prima pietra o l’ultima pietra, la chiave di volta. Cristo è tutto ciò. Egli è il fondamento della nostra fede, la prima pietra che viene posata bene in terra che darà a tutto l’edifico la stabilità necessaria.

Però Cristo è anche la pietra angolare che dà una direzione alla casa. Se quella pietra angolare non viene messa bene, ci saranno sempre crepe in tutto l’edifico. Quella pietra dà la direzione alla quale si orientano le mura. E così come i muratori si orientano a quella prima pietra quando costruiscono le mura dell’edificio, così anche noi possiamo e dobbiamo orientarci a Cristo quando costruiamo l’edificio della nostra vita e della nostra chiesa. Gesù è la pietra angolare che dà orientamento nella fede.

E infine Cristo è anche l’ultima pietra, la chiave di volta. Potete immaginarvi una di quelle finestre ad arco che troviamo in tante chiese. Se la volete distruggere dovete togliere solo una pietra, l’ultima che tiene tutto insieme. Senza quella pietra crolla l’arco. Servono tante altre pietre per costruire un arco ma solo una lo tiene insieme.

La Bibbia ci dice che Gesù Cristo è l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine di tutto l’edificio della chiesa. Tutto si posa su di lui la prima pietra fondamentale, tutto si orienta a lui la pietra angolare, tutto cresce verso di lui la pietra ultima.

4             È così Paolo introduce l’ultima immagine per la chiesa. L’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore. Quell’edificio cresce. Con il passare del tempo, vengono sempre inserite nuove pietre in questo edificio. È una scelta che oggi sempre meno persone vogliono fare: lasciarsi incorporare, perdere l’autonomia di guardare un po’ qua e un po’ là senza dover sentire il peso dell’edificio sulle spalle. Però il tempio cresce solo se le pietre si lasciano posizionare.

La chiesa non è un qualsiasi edificio. È la casa di Dio, il tempio santo del Signore. Vuol dire che Dio stesso vive in questa casa, vive insieme a noi. La chiesa è la casa di Dio, forse è la cosa più bella che si può dire della chiesa. Uno si sente a casa dove sta bene, dove trova compagnia gradita, dove si può riposare, dove trova gioia e amore. Per tante persone la propria casa è il luogo più bello che esiste. Una casa del genere, dove si sta bene e dove uno vuole vivere, risposare e festeggiare. Una casa così vuol essere la chiesa per Dio. La chiesa di Gesù Cristo è un tempio che cresce, dimora per Dio.

Ora Paolo ha utilizzato tante immagini per spiegare sempre lo stesso: che cos’è la chiesa. La chiesa è una nazione santa, una comunità della quale i membri ne fanno parte per appartenenza a Cristo.

La chiesa è una famiglia con fratelli e sorelle, giovani e anziani nella fede ma soprattutto con Dio che ci è come madre e padre.

La chiesa è un edificio stabile; fondato su Gesù Cristo, orientato a Gesù Cristo, completato in Gesù Cristo.

La chiesa non è un edificio qualsiasi, è il tempio di Dio che vive in esso.

Tante immagini – una chiesa. Cerchiamo di viverla!

Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: La differenza fondamentale

1 Pietro 4, 7-11

La fine di tutte le cose è vicina; siate dunque moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera.

Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre una gran quantità di peccati.

Siate ospitali gli uni verso gli altri senza mormorare.

Come buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno, secondo il carisma che ha ricevuto, lo metta a servizio degli altri.

Se uno parla, lo faccia come si annunziano gli oracoli di Dio;

se uno compie un servizio, lo faccia come si compie un servizio mediante la forza che Dio fornisce,

affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli.

 

Poco tempo fa ho incontrato una signora con la quale giocavo quand’eravamo bambine.

Ci trovavamo spesso sulla piazza del mio “paesello”, presso la casa comunale, perché mia madre e suo padre lavoravano là.

Io ero la figlia dell’ostetrica condotta e lei era la figlia del sindaco, un uomo austero, di condotta irreprensibile, che interpretava il suo ruolo di servizio alla comunità in ligio stile comunista, in anni in cui nel Veneto bianco, un’amministrazione di sinistra era una rarità.

L’uguaglianza della dignità delle persone era un punto fermo dell’ideologia di questa persona che, negli anni, ha ben meritato il soprannome di “leggendario”.

Costui, che aveva umili origini, nel corso della sua lunga permanenza alla guida del comune, non si è arricchito, non ha cambiato il suo stile di vita, ma ha continuato ad essere ciò che era.

Quand’è morto, da autentico ateo qual era, ha avuto il funerale civile presso la Casa del Lavoratore, sede delle attività dell’allora partito comunista.

I vecchi del nostro paese lo ricordano ancora e non ho mai sentito alcuno parlar male del suo operato.

Io ricordo iniziative per la sanità pubblica all’avanguardia per quel tempo, in cui non esisteva il servizio sanitario nazionale per tutti e non c’erano i consultori.

Insomma, una persona che si è condotta nella vita con solidarietà ed uguaglianza.

Qualcuno potrebbe dire “come un buon cristiano”, ma non è così.

Il passo della lettera di Pietro che abbiamo letto certamente incita al comportamento “fraterno” (abbiate amore intenso gli uni per gli altri ….. siate ospitali senza mormorare ….. mettete il carisma che ognuno ha ricevuto al servizio degli altri ….), ma la parte che giudico fondamentale non è COME FARE, bensì PERCHÉ FARE; in altre parole qual è il motore ed il fine del nostro operato.

Noi siamo cristiani, crediamo in un Signore disconosciuto dagli atei.

E questo è, o almeno dovrebbe essere, un dato fondamentale nella nostra vita, qualcosa che ci distingue da coloro che, pur operando bene, si conducono nella vita con solidarietà, uguaglianza fra gli uomini, senso della giustizia.

Ma allora qual è la differenza?

NESSUNA, nel comportamento, però da credenti dobbiamo tener conto che la nostra visuale, quella che i tedeschi chiamano Weltanschaung, non è e non può essere solo orizzontale.

L’inizio del passo che abbiamo letto incita il credente ad essere moderato e sobrio per dedicarsi alla PREGHIERA, per trarre da Dio la forza per comportarsi fraternamente.

Noi crediamo che i doni che abbiamo ricevuto vengono da Dio, non sono una nostra caratteristica personale.

Noi cristiani sappiamo che quando apriamo bocca lo dobbiamo fare per annunciare le opere di Dio, per glorificare il Suo nome e quello del Suo figlio Gesù Xto.

Insomma ciò che diciamo e ciò che facciamo deve essere detto e fatto a lode del santo nome di Dio.

E qui viene il bello.

Io credo che in una società così laicizzata come la nostra e così debolmente Xtiana nei contenuti, anche noi rischiamo di diventare “timidi” nel dichiarare la nostra fede.

E questo non può essere, perché allora rischieremmo, nella migliore delle ipotesi, di ridurre tutto ad una dimensione orizzontale, nella quale non trovano il posto che meritano la preghiera, la lode, la richiesta di aiuto e forza da parte del nostro Signore.

Per un Xtiano questo posto deve essere trovato, perché, come non inizio la giornata senza lavarmi il viso, così non posso passare la giornata senza trovare spazio per la preghiera, sia essa di lode o di supplica.

In una società come la nostra, in cui il dichiararsi apertamente credenti rischia di farci intendere come “bigotti”, noi, evangelici convinti, dobbiamo vincere le nostre timidezza e proclamare a gran voce che l’inizio e la fine non appartengono all’uomo, ma solo a Dio, quel Dio che noi preghiamo, quel Dio che ci consola e perdona, quel Dio che ci ha riscattato dal peccato per mezzo del suo Figlio Gesù Xto.

Ecco la differenza.

Una differenza fondamentale, che non cambia magari l’effetto delle opere di solidarietà, ma che tiene conto che tutto ciò che diciamo e facciamo, deve essere detto e fatto a lode del Suo Nome.

Credo che dobbiamo fare qualche riflessione in proposito, e valutare qual è realmente la nostra propensione alla preghiera e la nostra forza per annunciare al mondo che siamo seguaci di Xto, non solo tiepidi Xtiani di tradizione, solo perché siamo nati nel mondo occidentale.

AMEN

Liviana Maggiore