Sermone: L’acqua viva di Gesù

Giovanni 7,37-39

“Nell’ultimo giorno, il giorno più solenne della festa, Gesù stando in piedi esclamò: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno». Disse questo dello Spirito che dovevano ricevere quelli che avrebbero creduto in lui; lo Spirito, infatti, non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora glorificato”.

Cari fratelli e sorelle, la festa di cui si parla nell’Evangelo di Giovanni che abbiamo appena ascoltato, è quella ebraica di Sukkoth, ovvero delle Capanne. Una festa che ricorda l’esodo del popolo d’Israele dalla schiavitù in Egitto fino alla libertà nella Terra Promessa. Un tempo questo che ci viene ricordato dalla prima lettura, quella del profeta Geremia. Il tempo in cui Dio fece un patto con Israele, sancito dalla consegna a Mosè delle Tavole della Legge. Un patto che, come ci ricorda Geremia, Israele violò (vedi l’episodio del vitello d’oro). Ma ecco, cari fratelli e sorelle, quel patto, è Dio stesso che lo dice per bocca del suo profeta, deve essere rinnovato: “io farò un nuovo patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda”. Un patto dove la Legge non è più qualcosa di esterno, ma di intimo: “io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore”. Nel cuore di tutti, nessuno escluso. Tanto che, ci ricorda sempre il Signore, “nessuno istruirà più il suo compagno o il proprio fratello, dicendo: “Conoscete il SIGNORE!”, poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande». Tutti siamo sullo stesso piano agli occhi di Dio, nessuno escluso. Non c’è quindi bisogno, e qui appare ben evidente e saldo uno dei pilastri della Riforma, di una “casta”, di un “ordine” sacerdotale posto su una sorta di piedistallo che si arroga il diritto/dovere di istruire il resto del popolo di Dio in nome di Dio. “Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande” perché tutti saranno in grado di accedere alla Parola di Dio, ovvero alla lettura della Sacra Scrittura. Ma non solo, e qui dall’Antico Testamento approdiamo al Nuovo Testamento, alla Lettera di Paolo agli Efesini che abbiamo appena ascoltato: un altro esempio di come la lettura dell’Antico Testamento vada sempre fatta alla luce del Nuovo. “… affinché egli … faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori”. La fede, la sola fede. Fede uguale fiducia, uguale affidarsi a Dio. Senza se e senza ma. E qui arriviamo all’Evangelo di Giovanni, al passo che ho letto poco fa: “Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. Quindi, non solo “Se qualcuno ha sete, venga a me e beva” ma, dopo aver bevuto, sono anch’io, siamo tutti noi, in grado di “dar da bere agli assetati”. E come fare per “andare” a Lui e bere? Lo dice Cristo stesso: “Chi crede in me, come ha detto la Scrittura”. Cari fratelli e sorelle, il passo evangelico, come sempre, ponendo un po’ di attenzione è sempre chiaro e ci riporta ad un nostro dovere fondamentale di cristiani: la lettura biblica. Non possiamo dirci cristiani se non dedichiamo un po’ del nostro tempo alla lettura e alla meditazione sul testo biblico. Non aspettiamo quindi solo la domenica mattina per ascoltare la Parola di Dio e il suo commento: “ognuno è sacerdote di sé stesso” ci ricorda Lutero. Concentriamoci ora sull’ultima parte del testo di evangelico di oggi: “Disse questo dello Spirito che dovevano ricevere quelli che avrebbero creduto in lui; lo Spirito, infatti, non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora glorificato”. Infatti, Gesù era ancora in vita, il figlio di Dio era presente in mezzo al suo popolo. Lo Spirito verrà dato dopo la sua morte, dopo la sua glorificazione. E i primi a beneficiarne saranno gli apostoli nel Cenacolo. Ecco quindi i tre passaggi fondamentali: Dio Padre che, nell’Antico Testamento, promette un nuovo patto e di “entrare” nel cuore di tutti; Gesù Cristo, il figlio di Dio Padre che, nel Nuovo Testamento, promette “fiumi di acqua viva” a quanti, assetati, si rivolgeranno a Lui; infine lo Spirito: Gesù ha lasciato questo mondo per tornare alla destra di Dio Padre ma entrambi sono presenti ora in mezzo a noi tramite lo Spirito Santo. Quello Spirito “che dovevano ricevere quelli che avrebbero creduto in lui”. Non abbiamo quindi timore, cari fratelli e sorelle: Dio è sempre in mezzo a noi, in Spirito e Verità. E possiamo sempre rivolgerci a Lui leggendo e ascoltando la Sua Parola e pregando e cantando gli inni in suo onore. Unica cosa da fare? “Chi crede in me” ovvero avere fede, ovvero fidarsi, avere fiducia, affidarsi totalmente a Lui. Egli ha sempre rispettato le sue promesse. Lo abbiamo visto anche in questo caso, nell’Antico come nel Nuovo Testamento. Pregare quindi con convinzione, convinzione che ciò che chiediamo ci viene dato: ma, attenzione, il giusto rapporto che dobbiamo avere con Dio non è considerarlo come il genio della lampada, che è al nostro servizio per esaudire ogni nostro capriccio. Il giusto rapporto significa vivere come Dio vuole, ubbidendo, perdonando e amando gli altri. Il giusto rapporto significa credere che Dio sa benissimo quello che è la cosa migliore da fare. E soprattutto, il giusto rapporto con Dio significa che la nostra volontà o i nostri piaceri, vengono dopo la volontà di Dio, perché Dio è Dio e noi non lo siamo. Quindi la volontà di Dio è sempre migliore della nostra, ed anche se non lo fosse, la volontà di Dio dovrebbe essere fatta semplicemente perché Dio è Dio. Questo, cari fratelli e sorelle, è il Dio sovrano e creatore, il Dio della Bibbia, che noi dobbiamo servire e del quale dobbiamo avere piena fiducia  e al quale affidarci senza paura. Senza timore alcuno perché Dio non ci abbandonerà mai. Fidiamoci. Amen

Daniele Rampazzo

Sermone: Benedite e non maledite!

Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale.  2 Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà.  3 Per la grazia che mi è stata concessa, dico quindi a ciascuno di voi che non abbia di sé un concetto più alto di quello che deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio, secondo la misura di fede che Dio ha assegnata a ciascuno.  4 Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e tutte le membra non hanno una medesima funzione,  5 così noi, che siamo molti, siamo un solo corpo in Cristo, e, individualmente, siamo membra l’uno dell’altro.  6 Avendo pertanto doni differenti secondo la grazia che ci è stata concessa, se abbiamo dono di profezia, profetizziamo conformemente alla fede;  7 se di ministero, attendiamo al ministero; se d’insegnamento, all’insegnare;  8 se di esortazione, all’esortare; chi dà, dia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le faccia con gioia.  9 L’amore sia senza ipocrisia. Aborrite il male e attenetevi fermamente al bene.  10 Quanto all’amore fraterno, siate pieni di affetto gli uni per gli altri. Quanto all’onore, fate a gara nel rendervelo reciprocamente.  11 Quanto allo zelo, non siate pigri; siate ferventi nello spirito, servite il Signore;  12 siate allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera,  13 provvedendo alle necessità dei santi, esercitando con premura l’ospitalità.  14 Benedite quelli che vi perseguitano. Benedite e non maledite.  15 Rallegratevi con quelli che sono allegri; piangete con quelli che piangono.  16 Abbiate tra di voi un medesimo sentimento. Non aspirate alle cose alte, ma lasciatevi attrarre dalle umili. Non vi stimate saggi da voi stessi.  17 Non rendete a nessuno male per male. Impegnatevi a fare il bene davanti a tutti gli uomini.  18 Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini.  19 Non fate le vostre vendette, miei cari, ma cedete il posto all’ira di Dio; poiché sta scritto: «A me la vendetta; io darò la retribuzione», dice il Signore.  20 Anzi, «se il tuo nemico ha fame, dàgli da mangiare; se ha sete, dàgli da bere; poiché, facendo così, tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo».  21 Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene.

Vorrei riflettere insieme a voi sul testo che abbiamo ascoltato nelle letture che contiene anche il versetto che è stato scelto come motto di questa giornata: Benedite quelli che vi perseguitano. Benedite e non maledite.

Non è semplice cogliere il senso profondo di questa frase. Penso che la chiave per entrare nel testo che l’Apostolo Paolo ha scritto alla chiesa di Roma si trovi già nel primo versetto. Lo scopo di tutta questa lunga esortazione di Paolo è di presentare i ( … nostri) corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; Perché? Paolo ci dice: questo è il vostro culto spirituale.

La parola che qui viene tradotta con ‘spirituale’ è nel testo originale ‘logicos’ – logico, ragionevole. Questo è il vostro culto logico

E adesso ci manca ancora una parola chiave che troviamo in questo primo versetto, cioè la misericordia. Alla luce della misericordia di Dio offriamo tutto il nostro essere con corpo e anima a Dio e questo è il nostro ‘culto logico’ perché deriva da una presa di coscienza intelligente, dalla consapevolezza di essere stati amati da Dio.

Questo è il momento in cui cambia tutto, il momento in cui percepisco con tutto il mio essere, con corpo e anima di essere amato così come sono. Questo è stato anche il momento chiave per personaggi come Martin Lutero o John Wesley che hanno riformato le loro chiese. Questo è il momento in cui parla Dio e noi non possiamo fare proprio niente. È la verticale della quale parla il teologo Karl Barth. Praticamente potremmo immaginarci questa parola di Dio come un fulmine che ti colpisce dall’alto. Agisce Dio e solo Dio e tu vieni colpito da questo grandissimo amore senza poter fare niente. Questo è il nostro punto di partenza.

Da lì si sviluppa tutto il resto, questo sacrificio vivente di cui parla Paolo, è un risultato che ha la sua partenza nell’amore di Dio, è la conseguenza logica, che viene automaticamente, senza fatica e senza doveri.

Così guardiamo in che cosa consiste questo sacrificio vivente. Paolo scrive: Non conformatevi a questo mondo … ciascuno di voi (…) non abbia di sé un concetto più alto di quello che deve avere. … Aborrite il male e attenetevi fermamente al bene. … Siate pieni di affetto gli uni per gli altri. … Siate allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, provvedendo alle necessità dei santi, esercitando con premura l’ospitalità.

Quando l’amore di Dio viene percepito nella propria vita, questo ha degli effetti molto concreti. Quest’amore che uno riceve, vuole espandersi e si mostra nell’amore per altre persone e poi accade, come un automatismo, ciò che scrive Paolo ancora come esortazione. Chi sa di essere amato e può amare, si attiene al bene, è pieno di affetto per gli altri, è allegro e ha speranza anche in tempo duri.

Tutto ciò è inteso quando Paolo scrive: Non conformatevi a questo mondo. Chi sa di essere amato così com’è non deve cercare l’approvazione del proprio agire da qualcun altro o da una qualsiasi istituzione. Paolo dice di non conformarci al mondo, potremmo anche dire alla società, forse anche alla chiesa, a niente e nessuno se questo conformismo mi porta solo via da me stesso e dall’amore di Dio che sento nella mia vita.

L’etica del credente scaturisce da un rinnovamento della mente, cioè questo culto logico. È un essere legato alla mente di Cristo e con questo un essere liberato dai pregiudizi di qualsiasi istituzione laica o religiosa.

E adesso arriviamo al versetto centrale che è stato scelto per questo giorno: Benedite quelli che vi perseguitano. Benedite e non maledite. Paolo pensava alla persecuzione della giovane chiesa cristiana, oggi soprattutto in questa domenica pensiamo alla persecuzione di persone a causa della loro identità sessuale. – E Paolo propone un pensiero che va nuovamente contro ciò che ci insegna il mondo. Non invita a combattere e a difendersi con le armi del mondo, ma a benedire. Ci invita a dire bene, ad agire bene, a cercare il bene anche delle persone che fanno tutto il contrario. – Non so se voi siete d’accordo con questo pensiero.

Prima abbiamo detto: solo chi è amato e si sente amato può anche amare e dare spazio a quest’amore. Ora potremmo dire: solo chi è benedetto e sente la benedizione di Dio nella sua vita può anche benedire e dare spazio a questa benedizione.

Per questo iniziamo di nuovo da noi e chiediamoci della nostra relazione con Dio. Ognuno deve rispondere a questa domanda per se stesso: senti l’amore di Dio nella tua vita? Senti che Dio ti ama così come sei, con tutti i tuoi pregi ma anche con tutti i tuoi difetti? Senti la benedizione di Dio, la sua vicinanza, la sua guida nella tua vita? Così è naturale – culto logico – di dare spazio a questa benedizione anche per altri, soprattutto per quelle persone che sono lontane da Dio, cioè coloro che perseguitano tutto il bene che offre Dio. Loro sono i primi che devono sentire l’amore che è l’unica forza che può cambiare veramente qualcosa in questo mondo.

Rimane la domanda cruciale: quanto è sensato questo comportamento? – Non lo è minimamente se non deriva dalla consapevolezza di essere già benedetto oltre misura. Questo è la base che serve. Però se c’è questa base, posso anche liberare le forze che mi servono per difendermi e giustificarmi e posso invece investire queste forze nella benedizione.

Come possiamo benedire coloro che ci perseguitano? Nello stesso modo in cui siamo chiamati ad essere una benedizione per tutto il mondo e nello stesso modo in cui Gesù ci ha fatto vedere il suo agire. – Egli non è stato zitto davanti alle ingiustizie, non è stato sempre mite, non ha evitato conflitti. Però ha detto la verità sempre con lo scopo di raggiungere il suo dirimpettaio e con la volontà di fare arrivare anche a lui l’amore di Dio. Quest’atteggiamento possiamo vederlo in Gesù fino all’ultimo momento, fino alla croce dove parla ancora con il ladro accanto a lui e gli assicura l’amore di Dio.

Solo Dio è sorgente di benedizione. In quanto benedetti da Dio, possiamo a nostra volta benedire Dio che ci ha benedetti e benedire chi ci perseguita. – Ma prima di pronunciare una benedizione su chi ci disprezza, dobbiamo comprendere che chi ci condanna o ci perseguita si trova in una posizione di svantaggio perché condizionato dalla paura che ha non solo degli altri ma in primo luogo di Dio e di sé stesso. Perché ogni forma di violenza verbale e fisica si esprime come tentativo di reprimere la propria paura per non doversi scoprire creatura diversa.

Chi benedice invece vive nella stabilità dell’amore e non ha paura e può uscire dalla casa dell’io per raggiungere e toccare chi si nutre di paura e di odio, per restituire la vista a chi chiude gli occhi alla complessità del della vita reale.

Ma forse l’aspetto più importante delle benedizioni e del benedire è questo: la benedizione procede da Dio. La benedizione di Dio non è possesso di una chiesa, non è legata ad un rappresentante di un gruppo etnico, di genere, di orientamento sessuale. La benedizione è un dono di Dio che riceviamo gratuitamente.

Non ci possiamo meritare né conquistare la benedizione. Possiamo soltanto riceverla! Non ce ne possiamo appropriare, ma soltanto farne l’esperienza e trasmetterla, come luce riflessa. Possiamo soltanto sperimentare che accada nella nostra vita e per mezzo anche nostro, nella vita degli altri.

Non possiamo benedire noi stessi. In quanto soggetti e individui abbiamo bisogno che qualcuno ci benedica, che la benedizione di Dio ci giunga dall’altro, dall’altra.

La maledizione viene tolta quando veniamo benedetti da chi ci disprezzava e diceva male di noi. Ma ci viene chiesto di essere gli iniziatori di questo processo e di benedire i detrattori i persecutori che non trovano in sé alcuna benedizione. Persino loro hanno bisogno di qualcuno che li ami, che li sostenga nel doloroso processo di conversione e di rientro in sé. Così la benedizione donata e ricevuta, ci apre alla verità che la nostra vita, per essere piena e coerente, non può fare a meno di relazioni, ha bisogno dell’altro, dell’altra, persino di chi si oppone a noi.

Questo è il nostro augurio che possiamo trovare anche tra di noi persone che ci fanno sperimentare la benedizione di Dio e che a nostro volta possiamo essere una benedizione per questo mondo.

Amen

Ulrike Jourdan, Jonathan Terrino

Sermone: La dolcezza di Dio

Il nome di questa domenica è ‘Cantate’, però quando ho preparato la predicazione di oggi avevo l’impressione di non trovare in me la forza di cantare. Conoscete forse questo sentimento quando addirittura un canto è troppo pesante e se si cerca di sforzarlo, diventa comunque stonato e poco gioioso. Penso che esistano in ogni vita e anche nella vita di una comunità dei tempi nei quali riusciamo solo con grande fatica ad aprire la bocca per cantare.

E così sono arrivata a un testo biblico che non è previsto per oggi, ma che è riuscito a parlare. È il racconto di qualcuno che ha lavorato tanto, ha faticato e messo tutto il suo essere dentro a questo lavoro e ora si sente in qualche modo fallito, senza forza, senza prospettiva.

Si tratta di un racconto dall’Antico Testamento. Un pezzo della storia del profeta Elia che dopo un grande inizio arriva a un punto nella sua vita nel quale in buona sostanza non vorrebbe più muoversi.

Leggo dal primo libro dei Re, 19,1-13a

Acab raccontò a Izebel tutto quello che Elia aveva fatto, e come aveva ucciso con la spada tutti i profeti.  2 Allora Izebel mandò un messaggero a Elia per dirgli: «Gli dèi mi trattino con tutto il loro rigore, se domani a quest’ora non farò della vita tua quel che tu hai fatto della vita di ognuno di quelli».  3 Elia, vedendo questo, si alzò, e se ne andò per salvarsi la vita; giunse a Beer-Seba, che appartiene a Giuda, e vi lasciò il suo servo;  4 ma egli s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino, andò a mettersi seduto sotto una ginestra, ed espresse il desiderio di morire, dicendo: «Basta! Prendi la mia vita, o SIGNORE, poiché io non valgo più dei miei padri!»  5 Poi si coricò, e si addormentò sotto la ginestra. Allora un angelo lo toccò, e gli disse: «Àlzatie mangia».  6 Egli guardò, e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre calde, e una brocca d’acqua. Egli mangiò e bevve, poi si coricò di nuovo.  7 L’angelo del SIGNORE tornò una seconda volta, lo toccò, e disse: «Àlzatie mangia, perché il cammino è troppo lungo per te».  8 Egli si alzò, mangiò e bevve; e per la forza che quel cibo gli aveva dato, camminò quaranta giorni e quaranta notti fino a Oreb, il monte di Dio.  9 Lassù entrò in una spelonca, e vi passò la notte. E gli fu rivolta la parola del SIGNORE, in questi termini: «Che fai qui, Elia?»  10 Egli rispose: «Io sono stato mosso da una grande gelosia per il SIGNORE, per il Dio degli eserciti, perché i figli d’Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari, e hanno ucciso con la spada i tuoi profeti; sono rimasto io solo, e cercano di togliermi la vita».  11 Dio gli disse: «Va’fuori e fèrmati sul monte, davanti al SIGNORE». E il SIGNORE passò. Un vento forte, impetuoso, schiantava i monti e spezzava le rocce davanti al SIGNORE, ma il SIGNORE non era nel vento. E, dopo il vento, un terremoto; ma il SIGNORE non era nel terremoto.  12 E, dopo il terremoto, un fuoco; ma il SIGNORE non era nel fuoco. E, dopo il fuoco, un suono dolce e sommesso.  13 Quando Elia lo udì, si coprì la faccia con il mantello, andò fuori, e si fermò all’ingresso della spelonca;

Basta ora. Non ne posso più. Ho fallito. Non vedo un futuro. Forse Elia porta pensieri di questo tipo con sé quando si rifugia nel deserto. Non dobbiamo dimenticare che ha comunque un grande passato alle sue spalle. Ha partecipato al grande scontro tra i profeti di Baal e il Dio d’Isarele. Si era preparato un grande olocausto sul quale era stato messo un toro macellato. I sacerdoti di Baal pregavano il loro Dio, cantando e ballando, affinché accendesse il fuoco. Urlavano dalla mattina alla sera in estasi, ma Baal non mandava nessun fuoco. Dopo questa scena Elia fece costruire un altare per Dio fatto da dodici pietre. Metteva sopra della legna e vi faceva mettere il toro macellato. Però aggiungeva anche vari secchi d’acqua per bagnare la legna. E dopo bastava una singola preghiera: SIGNORE, Dio d’Abraamo, d’Isacco e d’Israele, fa’che oggi si conosca che tu sei Dio in Israele (1Re 18,36)

Allora piombò il fuoco del SIGNORE, e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la polvere, e prosciugò l’acqua che era nel fosso. Tutto il popolo, veduto ciò, si gettò con la faccia a terra, e disse: «Il SIGNORE è Dio! Il SIGNORE è Dio!» (1 Re 18,38f)

È un racconto spettacolare. È un segno grandissimo per tutto il popolo d’Israele. È il culmine nella storia di Elia. Ma tutto ciò gli porta solo problemi.

Elia ha dato tutto. Si è buttato nel suo compito con tutto il suo essere. Ha avuto grandissimo successo, ha visto un miracolo più grande di quanto potesse aspettarlo e ora cade in basso. Viene perseguitato a causa del suo successo, deve fuggire e durante questa fuga perde ogni fiducia in Dio.

Si rifugia nel deserto. C’è il deserto fuori e dentro di lui. Non trova più forza, zelo, più niente dentro di sé. E anche attorno a sé non c’è più nessuno che potrebbe aiutarlo.

Conoscete questo sentimento di sentirvi come in un deserto? Avete talvolta l’impressione che la vostra vita si perda nelle vostre mani come la sabbia. Conoscete l’impressione che tutto ciò che è colorato diventa diafano, in pratica del colore della sabbia? Conoscete quei tempi nei quali sembra che si debba combattere ogni giorno di nuovo? Potete ancora ricordarvi che cosa aiuta a sopravvivere nel deserto della vita?

Elia riceve nel bel mezzo del deserto tutto ciò di cui ha bisogno per vivere: contatto, conforto, cibo e acqua. Ed Elia fa ciò che solo apparentemente sembra ovvio, cioè accetta il dono. Elia si fa alimentare e dare forza. Non è così scontato come sembra. Conosco persone che hanno talmente interiorizzato di poter vivere senza l’aiuto di altri, che anche nel momento del bisogno non riescono ad accettare un aiuto. Sembra che cerchino almeno di tenere l’ultimo pezzettino di autostima. – Elia ha messo da parte questo orgoglio malsano. Elia accetta l’aiuto divino.

Solo dopo riceve un mandato. Àlzati e mangia, perché il cammino è troppo lungo per te. Dio ha un piano per Elia e per compiere questo dev’essere abbastanza forte. Elia deve camminare fino al monte del Signore. Sarà un cammino di quaranta giorni e quaranta notti. Quel numero è sicuramente un simbolo. Quaranta è una vita. Il popolo d’Israele è stato per 40 anni nel deserto. Gesù è stato per 40 giorni nel deserto ed è stato soggetto alla tentazione. Elia deve attraversare tutto il deserto della sua vita.

Però con questo mandato si mette di nuovo in movimento. Ha finalmente una meta. Inizia a muoversi. Egli cammina e il movimento cambia. Funziona. Quando qualcuno mi parla di un problema che sembra non avere nessuna via d’uscita propongo spesso di fare due passi. Non ho idea come funzioni, ma quando si muovono le gambe, anche il cervello si muove diversamente e si trovano delle soluzioni che sembravano non esistere finché eravamo seduti. Provatelo!

Da Elia funziona. Con ogni chilometro attraverso il deserto, si muove anche qualcosa nel suo intimo.

Com’è da voi? Che cosa portate con voi, che avrebbe bisogno di essere mosso una volta? Quali pensieri e sentimenti avete che non sono ancora in ordine? Portate delle preoccupazioni e ansie con voi che sono solo peso morto e inutile e dovrebbero essere messe da parte?

Immaginatevi di dover attraversare il deserto della vostra vita, immaginatevi di dover attraversare il deserto di questa chiesa. Che cosa succederebbe?

Elia si fa purificare durante il cammino e arriva al monte di Dio. Lì dorme in una spelonca.

Quella caverna è un luogo di protezione per Elia dopo la sua lunga camminata. Avete anche voi questi luoghi di protezione? Abbiamo noi come comunità un luogo dove ci sentiamo sicuri e protetti? Un luogo che ci permette di aprirci anche alle esperienze spirituali? Avete l’impressione che la nostra chiesa sia un luogo del genere?

Elia incontra Dio nella spelonca. Dio gli chiede che cosa sia successo ed Elia riflette sul suo cammino. Elia riflette sul deserto della sua vita, su tutto ciò che è triste e pesante e che comunque doveva attraversare per arrivare alla presenza di Dio.

Durante questo colloquio Elia riceve la promessa di incontrare Dio di persona. In seguito si manifestano dei fenomeni naturali. C’è una tempesta, un terremoto, s’incendia un fuoco però tutto ciò non è un segno della presenza di Dio. Solamente nel suono dolce e sommesso di un venticello Elia incontra Dio. – Me lo immagino come una leggera brezza al mare, quando hai l’impressione che il vento caldo ti accarezzi la pelle. Dio parla in suoni dolci. Elia non lo sente, però lo percepisce. Elia può farsi accarezzare da Dio dopo quel lungo periodo nel deserto, accetta di lasciarsi viziare e coccolare.

Forse serviva il lungo tempo nel deserto per preparare Elia a quest’incontro. Forse solo durante il suo cammino nel deserto Elia si è disposto a sentire anche i suoni leggeri e fievoli nella vita. Forse serviva a Elia, dopo il suo grandioso passato, e dopo aver visto la forza e potenza di Dio, un tempo di deserto per poter cogliere anche la dolcezza divina.

La domenica di oggi si chiama ‘Cantate’. Se cerchiamo di interpretare la storia di Elia sotto questo punto di vista potremmo dire che egli ha sentito l’orchestra piena di Dio, con organo, trombe e tamburi sul monte Carmelo. Quindi l’orchestra ha fatto una lunga pausa e solo dopo la musica ha ripreso, però con toni ben diversi. Forse con un flauto dolce o un violino.

In ogni partitura musicale servono le pause. – Potremmo anche dire: in ogni vita serve il deserto.

Elia non ha cercato il deserto. Sembra quasi che il deserto abbia cercato Elia, questo sarà anche da noi talvolta così. Anche noi non ci cerchiamo il deserto, ma lo incontriamo. Talvolta dobbiamo attraversarlo, però se lo incontriamo possiamo avere la speranza di incontrare dopo una realtà ben diversa. La musica dolce del nostro Dio. Amen

Ulrike Jourdan

Sermone: Quando è “tra poco”?

I miei figli sono in un periodo in cui non vogliono stare da soli. Forse sentono il grande cambiamento del trasloco che verrà, non lo so, ma in ogni caso lo esprimono piangendo quando io o mio marito ci allontaniamo. L’altra settimana avevo Geneviève in macchina mentre dovevo fare benzina. Dopo si deve pagare, una bimba di quasi sei anni dovrebbe saperlo. Entro nel gabbiotto del benzinaio, 10 metri lontano dalla macchina e ad un certo punto sento un urlo che spacca i vetri. Corro alla macchina e c’è Geneviève che trema e piange e urla: Mamma non andare via! – Era talmente assurdo questo comportamento da parte di una bambina abbastanza grande che non ho avuto molta compassione!

Perché vi racconto questo? Perché nel nostro testo biblico di oggi, i discepoli di Gesù domandano come dei bambini che cosa intenda dire Gesù quando afferma che tornerà “tra poco”.

Vi leggo dal vangelo di Giovanni capitolo 16 i versetti 16-23a. Gesù disse ai suoi discepoli:

16 «Tra poco non mi vedrete più; e tra un altro poco mi vedrete perché vado al Padre».  17 Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra di loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Tra poco non mi vedrete più”; e: “Tra un altro poco mi vedrete”; e: “Perché vado al Padre”?»  18 Dicevano dunque: «Che cos’è questo “tra poco” che egli dice? Noi non sappiamo quello che egli voglia dire».  19 Gesù comprese che volevano interrogarlo, e disse loro: «Voi vi domandate l’un l’altro che cosa significano quelle mie parole: “Tra poco non mi vedrete più”, e: “Tra un altro poco mi vedrete”?  20 In verità, in verità vi dico che voi piangerete e farete cordoglio, e il mondo si rallegrerà. Sarete rattristati, ma la vostra tristezza sarà cambiata in gioia.  21 La donna, quando partorisce, prova dolore, perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’angoscia per la gioia che sia venuta al mondo una creatura umana.  22 Così anche voi siete ora nel dolore; ma io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi toglierà la vostra gioia.  23 In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda.

A prima vista possiamo dire: i discepoli non potevano saperlo, per questo chiedono a Gesù che cosa vuol dire “tra un po’’. Noi oggi sappiamo come la storia è andata avanti. Sappiamo che cos’è successo il venerdì santo, ma anche la domenica di pasqua. I discepoli sono rimasti da soli per tre giorni e poi leggiamo di nuovo che Gesù era con loro.

Ma la storia va avanti. Sappiamo anche che Gesù non rimane per sempre con i suoi discepoli ma nuovamente solo per un po’ e poi c’è l’ascensione che festeggeremmo fra due settimane e mezzo. L’ascensione è una festa che ci ricorda che Cristo lascia già di nuovo i suoi da soli, e questa volta è un addio per un tempo più lungo. Questa volta non è un addio doloroso, non è la risposta a un’azione brutale da parte degli uomini, ma è una libera scelta. È ora per lui di andare. Vale anche adesso la parola del ‘tra poco’?

I primi cristiani erano certi di vedere il ritorno di Gesù ancora durante la loro vita. Addirittura l’apostolo Paolo pensava che non valesse più la pena di sposarsi e fare figli, dal momento che Gesù sarebbe ritornato così presto. E Giovanni che ha scritto il testo che abbiamo letto, viveva in un’epoca nella quale né lui, né la comunità per la quale scriveva, aveva più conosciuto Gesù di persona. Erano nella stessa situazione di noi oggi.

Così pongo di nuovo la domanda: quando è tra poco?

Prima del loro compleanno i bimbi chiedono: quando è il grande giorno, quando c’è la festa? E la risposta standard è: non dura più a lungo. Lo sappiamo benissimo che per un bambino qualche giorno può essere molto lungo. Questa risposta non è soddisfacente per un bambino. I bimbi – e se siamo proprio sinceri anche gli adulti – non hanno tanta pazienza quando vogliono avere qualcosa o quando attendono una data speciale.

Gesù paragona il tempo di attesa con un parto. Mi ricordo abbastanza le ore del primo parto, e non solo io, forse William ancora più di me. Erano 17 ore dure, ore di stanchezza e di dolore che non auguro a nessuno. Ma alla fine l’unica immagine che mi è proprio rimasta, sono gli occhi di questo piccolo ometto che stava sdraiato sulla mia pancia e mi guardava con occhi grandi.

Non vorrei sembrare cinica, ma penso che servano questi periodi di dolore per raggiungere qualcosa di nuovo. Serve l’ansia e l’impegno prima della maturità se voglio avere la gioia di avere il mio diploma in mano. Serve il dolore e la forza di volontà se voglio correre una volta una maratona. O se guardo i bambini: servono tante cadute e ginocchia bollate prima di poter camminare. Serve la voglia di tirarsi di nuovo su, anche dopo l’ennesima caduta.

Ma non voglio cantare qui la lode del dolore e delle ansie. Proprio oggi in tempi nei quali non facciamo più vedere pubblicamente i nostri sentimenti, dobbiamo dire: va anche bene essere triste. Quando una persona amata se ne va, è normale essere infelici. E questo dolore non passa da oggi a domani. Ci vuole tempo, ci vogliono lacrime, ci vuole la tristezza. Questo vale per noi oggi come valeva per i discepoli di Gesù. Serviva il periodo dell’addio.

Questa domenica si chiama nell’anno liturgico ‘Jubilate’. Spesso si sente poco giubilare nelle nostre chiese – devo precisare nelle nostre chiese italiane, perché proprio in quest’aspetto direi che noi europei possiamo imparare qualcosa della gioia che altre culture riescono ad esprimere anche durante un culto. Però anche da loro succede che la gioia finisca dopo il culto e non riesca a vincere la quotidianità.

Direi che abbiamo oggi tante cose che ci fanno gioire: è bello poter celebrare questo culto insieme. Non è un motivo sufficiente per giubilare?

A Pasqua ci siamo detti gli uni agli altri: Il Signore è risorto. È davvero risorto. – Non tutti possono rispondere con gioia. Ci sono persone che cantano ‘Alleluia’ perché si fa così. Portano parole pie in bocca ma le parole non si rispecchiano nella loro vita. E quando qualcuno osa chiedere qualcosa, si risponde che in chiesa non si pongono delle domande. I bambini e i ragazzi hanno da imparare ciò che dicono gli adulti e niente di più. – Io devo dire che mi rallegro di ogni persona che viene qui con delle domande. Sono contenta quando qualcuno mi chiede dopo un culto: ‘ma come intendi questa cosa che hai detto nella predica’ , o anche qualcuno che ammette ‘questo non lo posso credere, perché lo credi tu?’.

Gesù dice In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda. Quando egli ritornerà, le nostre domande troveranno risposta. In quel giorno quando lo vedremo faccia a faccia gli indovinelli si scioglieranno. Questo giorno non c’è ancora, ma le domande talvolta tacciono già oggi.

Questo periodo muto che stiamo vivendo non è un segno di grande pazienza, ma piuttosto un segno d’indifferenza o di una pietà malintesa. Quando non siamo più in grado di porre delle domande alla nostra fede è la cosa peggiore che può succedere alle nostre anime.

Gesù trova nel testo che abbiamo letto delle parole per confortare i tristi, ci dà la speranza di una grandissima gioia e ci chiede di avere pazienza. Tutto questo sono emozioni. Solo chi può essere triste, può anche gioire veramente, solo chi è in grado di porre delle domande profonde può anche riconoscere delle risposte che sono all’altezza.

Se invece neghiamo queste domande, questa tristezza, questo turbamento della fede neghiamo anche la possibilità di vera gioia. L’indifferenza o una pietà malintesa si mettono come il mal bianco sui boccioli in primavera. Sapete che cos`è? È una malattia delle piante che quando colpisce distrugge tutto: una pianta colpita da questa malattia perde prima le foglie, poi qualche rametto e ramo fino a quando muoiono le radici. Niente si può più sviluppare, né tristezza, né gioia, tutto diventa grigio. – Questo succede anche alla nostra fede se non la mettiamo continuamente in questione.

Non dura più a lungo e tutte le vostre domande troveranno risposta, ci dice Gesù. Che cosa vuol dire avere pazienza dopo un periodo di attesa di quasi duemila anni? Quanto lungo sarà questo ‘tra poco’?

Gesù ha anche detto Dimorate in me, e io dimorerò in voi.(Giov 15,4) Questo è decisivo per tenere viva la nostra speranza. È normale avere periodi nella vita nei quali chiediamo ‘Gesù dove sei? Perché non ti sento? Sei proprio verità?’ Talvolta succede a noi com’è successo ai discepoli che siamo tristi e non possiamo credere, ma se cerchiamo di stare vicino a Gesù, ci saranno anche i periodi nei quali possiamo vivere una vera grande gioia, possiamo percepire lo Spirito Santo e sentirci già oggi in paradiso insieme con Gesù.

Ma dobbiamo per forza tenere vive le nostre domande, se no, non sentiremo né tristezza, né gioia. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente (Mt 28,20) queste sono le ultime parole di Gesù prima della sua ascensione. Tutti i giorni – vuol dire ieri, oggi e domani, sono i giorni tristi e i giorni di giubilo. Gesù è con noi e questo ci può fare gioire.

Amen

Ulrike Jourdan