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Culto della IV domenica d’Avvento

SPERANZA

Culto di domenica 13 dicembre 2020 – III domenica d’Avvento

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La luce splende nelle tenebre

Culto della prima domenica d’Avvento

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Dio ha tanto amato il mondo

Culto di domenica 22 novembre – domenica dell’eternità

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Speranza!

Culto – domenica 15 novembre 2020

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Il Regno dei Cieli…

Riflessione biblica su Matteo 13,44-46; Luca 17,20-21

Matteo 13,44-46
Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo,
che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde;
e, per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha, e compra quel campo.
Il regno dei cieli è anche simile a un mercante che va in cerca di belle perle;
e, trovata una perla di gran valore, se n’è andato,
ha venduto tutto quello che aveva, e l’ha comperata.
Luca 17,20-21
Interrogato poi dai farisei sul quando verrebbe il regno di Dio, rispose loro:
«Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi;
né si dirà: “Eccolo qui”, o “eccolo là”;
perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi».

Il Regno dei Cieli… chi non ha mai provato ad immaginarlo?
Regno dei cieli è tutto quello che ora non riusciamo a sperimentare pienamente nel rapporto con Dio, con noi stessi e con il nostro prossimo; è quella serenità che non dura nelle nostre giornate perché presto cancellata dalle preoccupazioni, dalle paure, dalle delusioni; è la gioia che proviene dall’essere soddisfatti della propria vita; è la pace, l’amore, la speranza che a volte sembrano estranei al nostro mondo.
La nostra idea del Regno di Dio è sempre più staccata dalla realtà: qui, sulla terra, siamo soli; qui, sulla terra, non potremo mai sperimentare veramente la solidarietà, la pace, la serenità; qui, sulla terra, siamo solo di passaggio… Aspettiamo, dunque, con fede, che Dio si decida ad instaurare il suo Regno e non illudiamoci di poter cambiare qualcosa di questo mondo: qui avremo solo guai, problemi, sofferenze, preoccupazioni, malattia, morte, insoddisfazione.
Ma siamo proprio sicuri di questo?

Il Regno dei Cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo.
Il padrone, come anche i lavoratori, non immaginano cosa sia nascosto nel campo in cui vedono solo terra, lavoro, fatica e, se tutto va bene, alla fine, un raccolto che permetta loro di sopravvivere. Eppure c’è qualcosa in più, qualcosa che è lì, a portata di mano, e che può cambiare la tua vita, qualcosa che proprio mentre lavori, mentre sudi, mentre cerchi di calcolare il guadagno che otterrai dal raccolto, scopri accanto a te.

Il regno dei cieli è simile ad un mercante di perle che sa, per certo, che esiste una perla magnifica, stupenda, la più bella di tutte, la più preziosa di tutte; e non si accontenta di ciò che ha, ma continua a cercare fino a quando, trovatala, la compra.
Noi sappiamo che il progetto di vita che Dio ha per noi non si limita a quello che viviamo qui, sulla terra: è qualcosa di più.
Ma sappiamo essere tenaci, come questo mercante, sappiamo continuare a cercarlo? No, non lo cerchiamo, troppo spesso ci limitiamo ad aspettare, sperando che, prima o poi, la perla arrivi fino a noi: possediamo altre perle, anche se di minor valore, e quelle ci bastano per sopravvivere.

Eppure, sorelle e fratelli, Gesù ci ricorda che il tesoro nascosto nel campo lo abbiamo già trovato, casualmente, senza neanche cercarlo: Dio ci è accanto, ci ama, ci salva, ci dona speranza, ci offre di vivere con lui e per lui. Certo, il campo in cui si trova questo tesoro non è nostro e per acquistarlo dobbiamo vendere tutto ciò che abbiamo. Dobbiamo rinunciare alle certezze che faticosamente ci costruiamo giorno per giorno; dobbiamo rinunciare alla tentazione di accontentarci della sopravvivenza giornaliera; dobbiamo rinunciare ai nostri rifugi; dobbiamo rinunciare alle nostre scuse; dobbiamo avere il coraggio di volere quel tesoro per usare quel tesoro, disseppellirlo e cambiare la prospettiva della nostra vita.
Sappiamo dell’esistenza della perla, ma dobbiamo avere il coraggio di acquistarla rinunciando alle altre piccole perle che abbiamo trovato e che costituiscono il nostro tesoro.
È una cosa che dobbiamo fare adesso: adesso il tesoro è qui, accanto a noi; adesso possiamo cercare e comprare quella perla.
È qui, nel nostro lavoro, nei rapporti a volte complicati delle nostre famiglie, nella stanchezza quotidiana, nella rabbia che ci coglie nel guardare la nostra società, nella preoccupazione e nella delusione del giorno per giorno, che Dio ci fa trovare i segni della presenza del suo tesoro e ci invita ad appropriarcene. Non rubandolo, non sottraendolo ad altri, ma acquistandolo per esserne padroni a tutti gli effetti, affinché nessuno ce lo possa togliere o reclamare.
Se non lavorassimo nel campo, il tesoro non lo troveremmo. Se ci limitassimo a restare nel nostro negozio in attesa della fortuna, la perla non potremo mai acquistarla.
Dio si fa conoscere e rivela la sua volontà nel pieno della nostra quotidianità e ci invita a riconoscere la sua presenza adesso, qui: “il regno di Dio è in mezzo a voi”.

È difficile crederci ed è difficile riconoscere la presenza del Regno di Dio in un regno sempre più umano, del Regno dei Cieli qui sulla terra. Noi siamo qui, in questo mondo, nel mezzo della pandemia, nel distanziamento sociale che per alcuni diventa isolamento, nell’indifferenza e nell’egoismo, nel timore per un presente a rischio e un futuro incerto… Eppure, ogni volta che riusciamo a vincere la tentazione di costruirci da soli le nostre sicurezze e le nostre certezze, e ci affidiamo a Dio percorrendo con lui il sentiero dell’amore, della cura reciproca, della giustizia, della riconciliazione, della verità, in un clima di fattiva collaborazione e solidarietà, noi viviamo un pezzettino di Regno dei Cieli, realizziamo un po’ di quella speranza nella promessa di Dio che è il principio e il fine della nostra vita.
Affidiamoci oggi al nostro Dio e speriamo; riconosciamo adesso il tesoro che ci invita a possedere e usiamo ora questo tesoro per consolarci e sostenerci vicendevolmente. Amen.

Sorelle e fratelli, rallegriamoci: Dio ama il mondo!
Possa Dio, nostro Creatore, rinfrescare la nostra energia.
Possa Cristo, nostra Luce, illuminare i nostri momenti più bui.
Possa lo Spirito Santo, testimone dell’Amore, rinsaldare la nostra comunione
fino a quando non potremo nuovamente incontrarci per lodare Dio insieme.
Amen.

Past. Daniela Santoro

Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio! (Isaia 43,1)

Infatti tu sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio.
Il Signore, il tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo tesoro particolare fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra. Il Signore si è affezionato a voi e vi ha scelti, non perché foste più numerosi di tutti gli altri popoli, anzi siete meno numerosi di ogni altro popolo, ma perché il Signore vi ama: il Signore vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha liberati dalla casa di schiavitù, dalla mano del faraone, re d’Egitto, perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri.
Riconosci dunque che il Signore, il tuo Dio, è Dio: il Dio fedele, che mantiene il suo patto e la sua bontà fino alla millesima generazione verso quelli che lo amano e osservano i suoi comandamenti, ma a quelli che lo odiano rende immediatamente ciò che si meritano, e li distrugge; non rinvia, ma rende immediatamente a chi lo odia ciò che si merita.
Osserva dunque i comandamenti, le leggi e le prescrizioni che oggi ti do, mettendoli in pratica.
Se darete ascolto a queste prescrizioni, se le osserverete e le metterete in pratica, il Signore, il vostro Dio, manterrà con voi il patto e la bontà che promise con giuramento ai vostri padri.

(Deuteronomio 7,6-12)

Sorelle e fratelli, siamo il tesoro particolare di Dio. Prima il popolo di Israele, e poi noi con loro.
Certo, Dio con il popolo di Israele non ha avuto certo una bella esperienza: tradimenti, trasgressioni, idolatria, egoismo, sfiducia, dubbio… il rapporto tra Dio e il popolo che si è scelto, è stato veramente difficile.
Eppure, nonostante tutto, Dio, fedele al uso patto, non si lascia demoralizzare dalle risposte del popolo: il suo amore è più forte e vince ogni delusione. Per salvare questo popolo spesso ingrato e presuntuoso, manda addirittura suo figlio sulla terra per vivere con lui, perché lo conosca meglio e si fidi… ed è proprio la testimonianza di Gesù che fa riconoscere anche noi parte noi parte del popolo di Dio.
Certo, dopo la prima esperienza avrebbe potuto fare un po’ più di attenzione: poteva darsi un po’ di tempo in più per la scelta, poteva fare un test d’ammissione, una prova di fedeltà… E invece no, sembra che non aver imparato niente in migliaia di anni… almeno dal nostro punto di vista.
Dio viene ad abitare con noi, e si innamora di noi, proprio come si è innamorato di Israele, un vero colpo di fulmine che fa diventare anche noi parte del suo tesoro.

Ma cosa significa essere un tesoro?

Il tesoro è una cosa preziosissima: i pirati lo nascondono, i re costruiscono una stanza apposita per conservarlo, nell’antichità il tesoro di alcuni popoli era protetto da labirinti, trappole, custodi, cosa che, se ci pensate, accade anche oggi, in modi diversi.
Ma perché il tesoro deve essere difeso, protetto, riparato?
Perché appartiene a qualcuno, e qualcun altro non ce l’ha. Se un tesoro fosse alla portata di tutti, in mezzo alla strada, non sarebbe più un tesoro perché tutti potrebbero averlo.

È questa la sua prima caratteristica: appartenere a qualcuno.
Il versetto di questa domenica ce lo ricorda, Dio dice: Non temere, io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome, tu sei mio (Isaia 43,1).
Tu sei mio”. Non ci piace molto questa affermazione, anzi, più che rassicurarci fa paura. Basta pensare alle tante donne, figlie, fidanzate, compagne, mogli che subiscono violenze e soprusi perché considerate proprietà di mariti, fidanzati, padri, a volte dell’intera famiglia. Eppure questa frase, pronunciata da Dio, assume un significato completamente diverso. Sembra che Dio per trovarci reclamando la sua proprietà, abbia veramente seguito le indicazioni di una mappa del tesoro superando ostacoli, labirinti e trappole: Dio ci ha creato, ci ha ascoltato, ci ha liberato, ci ha dato un nome per entrare in relazione con lui… Per questo siamo suoi, non per aggiungere un oggetto alla sua collezione, ma perché come sua proprietà, ora lui può proteggerci, può nasconderci, può difenderci, proprio come si fa con un tesoro, un tesoro che si ama e a cui si tiene.

Noi siamo preziosi, anche se il nostro valore è difficile da quantificare.
Ognuno di noi avrà una scatola dei ricordi, un insieme di fotografie, oggetti, messaggi… che ci ricordano persone, esperienze, piccole conquiste di autonomia, periodi che, belli o brutti, sono stati importanti per la nostra vita e che proprio per questo per noi valgono, sono preziosi. Eppure, se qualcuno vedesse questo nostro “tesoro”, probabilmente lo considererebbe solo un mucchietto di spazzatura.
Forse possiamo spiegare così il nostro valore per Dio: noi siamo il tesoro di Dio perché Dio ama ognuno di noi, non perché siamo più belli, più forti, più intelligenti, più buoni degli altri; ma perché con ognuno di noi Dio condivide un po’ del suo essere.
Ma se noi siamo il tesoro di Dio, perché Dio non ci tiene chiusi in una cassaforte, lontani da ogni minaccia di male?
La risposta la conosciamo: l’amore non costringe; amore non è rinchiudere ma, al contrario, è liberare, dalla paura, dall’in­si­curezza, dall’isolamento, dal male. Se amare è dar vita ad una storia condivisa, Dio non può che rendere stabile la nostra libertà… pur rimanendoci accanto; pur proponendosi come nostro punto di riferimento; pur chiedendoci di riconoscere il suo amore e rispondere con le nostre parole e le nostre scelte al suo giuramento d’amore.
Siamo salvati per grazia e in nessun modo potremo mai ripagare l’amore di Dio, ma questo amore lo possiamo, anzi, lo dobbiamo testimoniare; lo possiamo e dobbiamo condividere, perché Dio non ha scelto un popolo rifiutando tutti gli altri: ha scelto un popolo per avvicinare tutti gli altri, affinché possa essere conosciuto da tutti.

Ed ecco un’altra caratteristica del nostro essere tesoro: siamo un tesoro consacrato a Dio.
Certo, non siamo noi ad aver scelto di esserlo, ci ha scelti Dio, ma con la sua scelta Dio non ci costringe, anzi, ci rende liberi. Ecco perché Mosè invita il popolo a riconoscere nel Dio che lo ha amato, avvicinato, liberato, e che ha condiviso la sua storia, l’unico Dio; ed ecco perché Mosè insiste così tanto sulla fedeltà e su quello che Dio si aspetta dal popolo che si è scelto. Mettere in pratica la legge e i comandamenti è il modo in cui noi condividiamo e facciamo nostro il suo patto, il modo in cui riconosciamo il suo amore e ci riconosciamo preziosi ai suoi occhi, ma è anche un esercizio della libertà che ci viene donata: liberamente testimoniamo la nostra consacrazione. Dio ci ama, ci ha scelto come suo tesoro particolare, ma se ci avesse rinchiuso in una cassaforte avremmo subito il suo amore e non avremmo avuto la possibilità di viverlo, di condividerlo e farlo conoscere agli altri.

Accogliamo il dono di Dio, riconosciamoci suo tesoro, lasciamoci liberare dal suo amore e con gioia consacriamoci insieme come suo popolo.
Amen.

(Past. Daniela Santoro)

…però, secondo la tua parola, getterò le reti

Mentre egli stava in piedi sulla riva del lago di Gennesaret e la folla si stringeva intorno a lui per udire la parola di Dio, Gesù vide due barche ferme a riva: da esse i pescatori erano smontati e lavavano le reti. Montato su una di quelle barche, che era di Simone, lo pregò di scostarsi un poco da terra; poi, sedutosi sulla barca, insegnava alla folla. Com’ebbe terminato di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo, e gettate le reti per pescare».
Simone gli rispose: «Maestro, tutta la notte ci siamo affaticati, e non abbiamo preso nulla; però, secondo la tua parola, getterò le reti». E, fatto così, presero una tal quantità di pesci, che le reti si rompevano. Allora fecero segno ai loro compagni dell’altra barca, di venire ad aiutarli. Quelli vennero e riempirono tutt’e due le barche, tanto che affondavano. Simon Pietro, veduto ciò, si gettò ai piedi di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Perché spavento aveva colto lui, e tutti quelli che erano con lui, per la quantità di pesci che avevano presi, e così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Allora Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Ed essi, tratte le barche a terra, lasciarono ogni cosa e lo seguirono.

(Luca 5,1-11)

Un bel racconto con il lieto fine. Ci piace ricordare la folla che ascolta gli insegnamenti di Gesù, la richiesta di Gesù di salire sulla barca per poter parlare ed essere ascoltato meglio, ammiriamo la decisione dei pescatori di seguire le indicazioni di Gesù, prendere il largo e pescare e, dopo il miracolo, il coraggio di lasciare tutto e seguire Gesù.
In effetti gli insegnamenti di Gesù non sono solo delle belle o interessanti storie. Gesù è ascoltato perché ricorda a chi è disorientato, preoccupato, in ricerca, che esiste un punto di riferimento stabile,  Dio, che fa conoscere agli esseri umani la sua volontà in modo che essi possano valutarla e scegliere. Gesù, infatti, parla, ma, alla fine dei suoi discorsi, esige sempre una risposta, bisogna fare una scelta.
E sappiamo che scegliere non è mai facile. Gran parte delle nostre paure è determinata dal dover scegliere senza avere sicurezze sulle conseguenze delle nostre scelte. Ogni nostra decisione ha delle conseguenze, e alcune delle nostre scelte determineranno non solo la nostra vita e i nostri rapporti, ma anche i rapporti e la vita di altre persone.
La Parola di Dio può in qualche modo esserci accanto, sostenerci nelle nostre scelte, ricordandoci il fine verso cui tendere. Certo, non sempre questa Parola ci invita a fare cose che noi approviamo. Anzi, alcune volte le indicazioni che riceviamo ci sembrano completamente sbagliate, e preferiremmo cercare altre soluzioni… e in questo nei pescatori ritroviamo noi stessi.
I pescatori sono sulla riva, con la folla, e mentre riparano e puliscono le reti, ascoltano quella Parola che potrebbe confortarli, incoraggiarli, dopo una nottata di lavoro infruttuosa. E la Parola per Simone e i suoi compagni è: Prendi il largo e gettate le reti per pescare.
Alla fine di un insegnamento, di una predicazione, ci saremmo aspettati un appello alla conversione, una richiesta di impegno, un invito a fare la volontà di Dio… E invece Gesù dice ai pescatori di prendere il largo e a pescare, li invita a tornare al loro lavoro quotidiano.
È una richiesta che non ha niente a che vedere con l’annuncio del­l’a­mo­re di Dio, del suo Regno; ed è un invito che sicuramente Simone e gli altri rifiuterebbero senza esitazioni se a parlare fosse stata qualsiasi altra persona. Anche noi sappiamo che il tempo migliore per la pesca è la notte; intuiamo anche noi che, non avendo pescato niente durante la notte, è assurdo sperare di pescare qualcosa di giorno. E al posto di Simone, avremmo protestato con fermezza: perché rimettere in acqua la barca? Sarebbe una perdita di tempo. Perché Gesù non si limita a fare il maestro senza avere la presunzione di insegnare ai pescatori come pescare?
Maestro, tutta la notte ci siamo affaticati e non abbiamo preso nulla”. A che serve allontanarci nuovamente, ributtare le reti dopo che le abbiamo già pulite? Ciò che otterremo sarà dolo la derisione della gente che ci ha visti tornare dopo una nottata senza pesce e ora ci vede uscire nuovamente, di giorno. È da quando siamo piccoli che peschiamo, la pesca è il nostro lavoro… sappiamo come si fa, quando bisogna uscire, quando bisogna riposarsi, quando bisogna buttare le reti.

Noi difficilmente saremmo andati al largo e avremmo gettato le reti. Quante volte ci siamo demoralizzati, scoraggiati, e abbiamo pensato che insistere non sarebbe servito a niente; quante volte ci ritiriamo, perché razionalmente, non c’è più niente da fare; quante volte ci convinciamo che Dio ha sbagliato, non ci ha indicato la strada giusta, non ha considerato bene la situazione? Quante volte abbiamo pensato che la nostra sapienza valeva più della pazzia di Dio?
Ma Simone prende una decisione importante: rinuncia, o meglio, mette da parte le sue conoscenze, le certezze che si era costruito durante anni e anni di lavoro sul mare, e getta le reti. “Maestro, tutta la notte ci siamo affaticati, e non abbiamo preso nulla; però, secondo la tua parola, getterò le reti”.

E contrariamente alle sue regole, quelle seguite e accettate da tutti come vere, le reti si riempiono di pesci, anzi, ci sono così tanti pesci che c’è bisogno dell’aiuto di altre barche per portarli a riva, e le barche quasi affondano per il peso.
Certo Gesù lo aveva annunciato, ma è difficile credere contro l’evi­denza della razionalità, è difficile sperare contro speranza. È difficile ed è anche umano.
Ma è proprio in questi opposti che si inserisce la fede, perché avere fede significa credere non basandosi sulle proprie forze, sulla propria esperienza, sulla propria razionalità; fede è riconoscere la distanza che esiste tra gli esseri umani e Dio, tra i nostri bisogni di sicurezze, di protezione, di conoscenza e il modo di fare di Dio, che dona, offre, si rende presente quando meno ce lo aspettiamo, quando pensiamo che tutto sia finito, quando avremmo solo voglia di sederci e riposare.

Quando Simone riconosce questa distanza, la gioia e lo stupore per la grande pesca, si trasformano in timore e in vergogna, perché pur avendo ascoltato, non ha avuto fede.
Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”. Cosa altro avrebbe potuto dire Simone? Anzi, Simon Pietro? Si, perché da questo momento Simone sarà chiamato con il nome di Pietro, un cambiamento che rispecchia il cambiamento della sua vita, l’i­ni­zio di un rapporto nuovo fra lui, Dio, e gli altri. Simone diventa Pietro nel momento in cui riconosce i suoi limiti, le sue aspettative, le sue paure, e si abbandona a Dio. Si riconosce peccatore, incapace di credere e di accettare con gioia e riconoscenza quello che Dio gli offre. E Gesù non lo allontana, non lo rimprovera, né lo trasforma in modo da renderlo perfetto. Gesù accetta Pietro così com’è, ed è lui, così com’è, che diventerà pescatore di uomini. O, meglio, che da ora in poi pescherà per la vita.

Pietro è consapevole che il suo rapporto con Dio è cambiato e qualcosa cambierà inevitabilmente anche nel suo rapporto con gli altri. Pietro e i suoi amici, prima, pescavano per se stessi, per la loro sopravvivenza prendendo nelle loro reti pesci destinati a morire. Da ora in poi pescheranno uomini e donne ai quali offriranno la vita, la speranza, la gioia del cambiamento, quello stesso cambiamento che loro stanno vivendo con Gesù. Un cambiamento che li lascia apparentemente tali e quali, li lascia nel loro lavoro abituale, li lascia con i lo­ro dubbi, con le loro paure, con le loro incomprensioni, ma anche con la certezza che Dio è con loro. E incomprensioni ce ne saranno veramente tante fra Gesù e i suoi discepoli: abbandono, tradimento, delusione. Eppure Gesù ha chiamato proprio quegli uomini e quelle donne, nella loro umanità, con i loro difetti, con i loro limiti, per testimoniare ed offrire la vita così come loro sapevano fare.
Quale altro Dio sceglierebbe fra le sue creature i suoi collaboratori? Quale altro Dio inviterebbe le sue creature a seguirlo, senza schiavizzarle, senza cambiarle, senza porre delle condizioni?
Come Pietro, Giacomo e Giovanni, così anche noi siamo invitati a riconoscere e vivere la vita che Dio ci offre e a portarla agli altri e alle altre, ad essere pescatori per la vita. Non in azioni grandiose, non in seguito a trasformazioni eccezionali, non con discorsi perfettamente costruiti, ma nella nostra vita e nei nostri rapporti di ogni giorno, ma illuminati, sostenuti e guidati da Dio.

Che il nostro agire possa veramente essere per la vita; che le nostre azioni possano testimoniare la nostra gioia nel partecipare alla vita di Dio come peccatori e peccatrici da lui accolti e accolte, scelti e scelte come suoi collaboratori per diffondere il suo amore, la sua grazia, la sua speranza. Amen.

(Past. Daniela Santoro)